mercoledì 16 dicembre 2015

Quando l'Italia aspirava alle stelle

A molti, anche fra "gli addetti ai lavori", può far piacere pensare in qualche modo all'astrofisica come ad un mondo relativamente poco legato ai vari aspetti del quotidiano, sostanzialmente astratto, e non certamente vincolato alle dinamiche sociali e politiche.

Non è vero, ovviamente, da molti punti di vista. E non solamente perché la ricerca scientifica, ora come anche in passato, richiede investimenti e quindi risorse, ma anche perché talvolta assume un significato simbolico che in determinati periodi storici va addirittura ad influenzare scelte politiche e sociali. 

E così è stato verso la fine degli anni '70 dell'ottocento, anni che rappresentano un momento molto importante per la storia del Regno d'Italia. Con la "presa di Roma" il processo risorgimentale era in gran parte compiuto, e sul tappeto emergevano tutti i grandi problemi legati alla gestione ed organizzazione del nuovo stato unitario. Fra questi, sicuramente fra i più impellenti, c'era quello della stabilizzazione finanziaria delle casse del nuovo stato che usciva dalle continue campagne militari delle guerre d'indipendenza pesantemente indebitato.
Fra le varie misure escogitate dalla nuova classe dirigente di sicuro la più nota, se non altro per le sue caratteristiche di iniquità sociale, fu la famigerata tassa sul macinato che fu promulgata per la prima volta nel 1868 quando capo del governo era Luigi Menabrea, scienziato ed intellettuale di notevole spessore. Il pareggio di bilancio, risultato oggettivamente non di poco conto, fu raggiunto nel 1876 con Marco Minghetti presidente del Consiglio e Quintino Sella onnipresente ministro delle finanze in più occasioni. Non è lo scopo che ci prefiggiamo oggi, ma Menabrea meriterebbe un approfondimento a parte. Basti dire che la sua opera, in francese, fu tradotta in inglese da Ada Byron, figlia del poeta Lord Byron, più nota come Ada Lovelace, e matematica di grande valore. Il lavoro di Menabrea, ampliato in grande misura dalla Lovelace, divenne poi la base delle elaborazioni di Charles Babbage, considerato non a torto come il padre del concetto moderno di calcolatore elettronico. 

Schiaparelli nella famosa illustrazione della
Domenica del Corriere
È in questo scenario, con un'eredità sociale difficile fra disordini popolari e lotta al brigantaggio, che il Paese comincia ad affrontare un ambizioso programma di ammodernamento infrastrutturale e culturale. Ed è nel 1878 che si apre un dibattito parlamentare per una spesa che a molti, anche allora, sembrava essere alquanto improduttiva, e per certi versi forse anche immorale, in un Paese ancora estremamente povero per un'ampia fascia di popolazione: la costruzione di un grande telescopio per l'Osservatorio Astronomico di Brera, uno strumento che avrebbe permesso al suo illustre direttore, Giovanni Schiaparelli, di risolvere finalmente il grande enigma dei canali di Marte.

Negli ultimi decenni dell'800, infatti, uno degli argomenti scientifici più caldi e dibattuti era quello delle condizioni ambientali alla superficie dei pianeti vicino alla Terra. Proprio in quegli anni telescopi dal diametro e qualità adeguata cominciavano ad essere disponibili, ed i più valenti astronomi si dedicavano a lunghissime ore di osservazione documentando con disegni ed appunti quello che appariva negli oculari dei loro strumenti. Marte, come sanno benissimo gli astrofili, è facilmente riconoscibile ad occhio nudo anche per il suo evidente colore rosso, ma al telescopio appare solo come un disco di piccole dimensioni. Tuttavia per la combinazione delle orbite intorno al Sole della Terra e di Marte ogni circa due anni accade che i due pianeti si trovino ad una distanza reciproca molto ridotta ed era, ed è, in queste epoche che le osservazioni visuali possono permettere di distinguere dettagli della superficie marziana. Le calotte polari, le principali caratteristiche orografiche, ed i cambiamenti stagionali attirarono così l'attenzione degli scienziati del tempo. E fra questi Schiaparelli, ma non solo lui, vide un fitto reticolo (i famosi canali) che sembravano cambiare struttura con le stagioni e che potevano suggerire la possibilità che fosse un poderoso sistema di irrigazione di una avanzata civiltà marziana.
Un manoscritto originale di Schiaparelli
L'epoca in cui tutto questo avveniva era il tardo ottocento, ovvero un periodo storico in cui l'eccitazione per il progresso tecnologico era probabilmente al suo apice ed in breve il tema dei canali uscì dallo stretto dibattito scientifico per entrare a gran forza nella cultura popolare dando vita al perdurante mito dei marziani, con tutta una ampia produzione letteraria, da H.G. Wells a Robert Heinlein, ed oltre, che ancora conosciamo e coltiviamo. Va detto, per la verità, che Schiaparelli descrisse i risultati delle sue osservazioni anche in una serie di scritti pubblicato con il titolo di "La Vita sul Pianeta Marte", disponibili gratuitamente anche su diverse piattaforme di e-reading, dove l'autore con un tono tranquillo e meditato disserta sulle varie cause naturali per spigare le sue osservazioni ma anche non mancando, alla fine, e ben chiarendo che stava dando libero sfogo alla fantasia, di ipotizzare anche cause artificiali legate ad un'ipotetica civiltà marziana. 

Poco importa, in questa sede, che l'acquisto del nuovo e grande telescopio, con certamente grande sconcerto dello Schiaparelli, non solo non mostrava con maggiore chiarezza i supposti canali, ma al contrario ne rendeva l'osservazione più complessa dando supporto a coloro che, anche allora, risultavano scettici rispetto alla reale esistenza di queste strutture.

Il dibattito parlamentare che portò all'approvazione della spesa è di enorme interesse politico e culturale. Ne abbiamo ora facile accesso in quanto recentemente Gerardo Bianco,   ministro della Pubblica Istruzione nei primi anni '90, ha curato un interessante resoconto dello stesso pubblicato nel numero 3 del 2015 della rivista "Studi Desanctisiani", di Fabrizio Serra Editore. Dal dibattito si deduce, ad esempio, che il ruolo dell'allora ministro della Pubblica Istruzione Francesco De Sanctis fu assolutamente centrale nella vicenda, anche più di Quintino Sella, da sempre mentore e sostenitore dello Schiaparelli. Leggendo il resoconto si apprezza innanzitutto l'elevatezza del dibattito. I temi pragmatici non mancano, così come anche temi di qualche peso retorico o persino, diremmo oggi, populista. Nella discussione però emergeva con chiarezza come i membri del parlamento regio pensavano di discutere di un investimento il cui significato andava ben oltre uno strumento scientifico per un istituto, ma che poteva diventare simbolo di un paese, l'iItalia, che finalmente si riappropriava del ruolo che le spettava fra le nazioni. Temi di impatto nazionalistico e tardo-risorgimentale, senza dubbio, ma non privi di eleganza e sostanza. Vediamo, ad esempio, il commento alla legge da parte di Stanislao Cannizzaro, valente e noto chimico: 

"le nazioni illuminate si guardano bene dalla volgare distinzione tra le investigazioni utili e quelle di lusso, conoscendo già che tutte le parti del scibile umano si collegano e coadiuvano reciprocamente e progrediscono o decadono insieme"

Un commento quanto mai attuale sulla veramente molto poco fondata separazione fra ricerca di base ed applicata. Oppure dello stesso De Sanctis, nel rintuzzare i pochi commenti negativi all'acquisto: 

"Noi dobbiamo non sentirci al di sotto di nessuno quando vogliamo sviluppare le nostre facoltà intellettuali. Crede egli l'onorevole Senatore Pepoli che, parlando di ferrovie e di tassa di macinato, l'Italia affermi innanzi al mondo la sua esistenza morale? Ma non è questo che fa grandi i popoli; e se abbiamo voluto l'Italia, facciamo almeno che quest'Italia possa innanzi agli altri apparire degna de' suoi alti destini"

Fa una certa impressione, per altro, vedere con quale lucidità l'umanista De Sanctis vedesse nella scienza un sapere nobile e certamente non relegato nell'angusto regime delle cose utili ma poco di più.

Sia come sia, il telescopio fu acquistato e venne installato a Brera dove rimase fino al 1935 quando venne trasportato alla sede di Merate dell'Osservatorio Astronomico di Brera per cercare cieli più bui e non influenzati dalla turbinosa espansione della città di Milano di quegli anni (e dei successivi...). A Merate il telescopio rimase operativo fino a circa gli anni '60. Lo sviluppo tecnologico ovviamente rese progressivamente obsoleto il telescopio che fini smontato nei magazzini dell'Osservatorio quando non addirittura "cannibalizzato" per completare strumenti di nuova concezione sviluppati dai tecnici dell'istituto di Brera.

La storia di questo strumento sembrava, quindi, essere arrivata al capolinea, anche se in realtà una nuova consapevolezza dell'importanza della preservazione e valorizzazione del patrimonio storico non solo artistico ma anche scientifico ed industriale ne ha aperto un nuovo capitolo. Di tutta questa fase, però, parleremo ampiamente nella prossima parte di questo intervento.

giovedì 16 luglio 2015

Astrofisici: in via d'estinzione?

I fisici di varie specialità, e quindi anche gli astrofisici, come più in generale la ricerca di scientifica di base e gran parte di quella applicata, sono finanziati dallo Stato. Vale a dire, in varia forma, dalle tasse dei contribuenti. È quindi un diritto, se non anche almeno in parte un dovere, chiedersi come vengono spesi questi soldi e con quali risultati.

Il tema della valutazione della produttività di un investimento è naturalmente argomento tutt'altro che banale, sebbene nel caso delle scienze fisiche l'obiettivo è più semplice che in altri contesti in quanto esistono diversi criteri bibliometrici che hanno il pregio di fornire un elevato livello di oggettività. Non sto ora a dilungarmi sul'ampio e non ingiustificato dibattito sui criteri valutativi (ne abbiamo parlato in passato ampiamente). Basti dire a questo scopo che tanto più ampie sono le comunità sottoposte a valutazione tanto più i criteri utilizzati sono affidabili.

Se, quindi, si vuole avere un'idea non soggettiva di quanto la ricerca scientifica italiana, ed in particolare quella astrofisica, siano competitive in un contesto planetario, questi criteri offrono un buon livello di affidabilità. Qualche tempo fa un valido collega dell'INAF, Raffale Gratton, dell'Osservatorio Astronomico di Padova, si è preso la briga di compiere uno studio piuttosto accurato mettendo a confronto le produzioni scientifiche degli astrofisici dei principali paesi attivi nella ricerca in questo settore arrivando alla conclusione che l'Italia è fra il quarto e quinto posto assoluto a seconda di quale criterio si utilizzi. Ai primi posti abbiamo gli Stati Uniti, la Germania, il Regno Unito e la Francia, quest'ultima con parametri pressoché identici ai nostri. Quando però si va a considerare il prodotto interno lordo, il famoso PIL, il Paese scende nelle classifiche sino a circa l'ottavo posto fra le nazioni considerate. Tutto questo, senza entrare in dettagli che per altro sono discussi nel lavoro citato, ci dice che in sostanza in nostro Paese in astrofisica (ed in realtà da altri studi si vede che questo è vero in generale per tutte le scienze fisiche) è molto più competitivo di quello che il sia pure ingente peso economico lascerebbe presagire. In effetti non scopriamo nulla di veramente nuovo, la scienza italiana rappresenta una delle eccellenze del Paese, concedetemi un grassetto in questo caso penso meritato.

Non che i problemi manchino, o anzi addirittura abbondino, ma al lato pratico il "sistema Italia", inteso come scuola, università, enti di ricerca, ecc. appare essere in salute molto migliore di come una talvolta (o spesso) superficiale visione populista del settore lascerebbe intendere. E sull'importanza anche economica della ricerca scientifica abbiamo anche in questo caso già discusso in passato.

Tuttavia le preoccupazioni per il futuro sono invece legittime. E sono molte. Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad una progressiva diminuzione dell'investimento in formazione universitaria, e l'avvento della grande crisi economica intorno al 2008 ha fatto il resto, portando ad esempio alla sostanziale impossibilità di assumere giovani ricercatori anche solo in sostituzione dei più anziani andati in pensione. E questo a margine di una internazionalizzazione sempre più spinta della ricerca italiana, con collaborazioni anche ad altissimo livello di responsabilità in una molteplicità di progetti scientifici di punta nei prossimi decenni.

Il Consiglio Scientifico dell'INAF, ha compiuto alcuni studi per cercare di determinare come l'astrofisica italiana si presenterà nei prossimi decenni, ed i risultati sono in parte attesi ma egualmente inquietanti: con l'attuale tasso di sostituzioni, a partire da circa il 2020 il numero di scienziati INAF comincerà a decrescere rapidamente arrivando rapidamente a mettere in crisi la possibilità per l'ente di compiere i propri doveri istituzionali:

Naturalmente il "numero" non è il solo parametro importante. L'età attuale media degli astrofisica italiani dell'INAF è di poco meno di 50 anni, ovvero elevata, ma non eccessiva. A meno che non sia possibile porre rimedio a questo stato di cose, ovvero con un numero di assunzioni permanentemente inferiore a quello delle immissioni, in breve avremmo un ente decisamente troppo anziano per intraprendere progetti ambiziosi e di lunga portata. In un certo senso, mi si passi una metafora calcistica, INAF è ora come una squadra di calcio competitiva e matura, con in aggiunta alcune individualità di valore assoluto, ma che per varie ragioni ha abolito il settore giovanile e non è in grado di agire sul mercato degli acquisti. Nel corso di alcuni anni la squadra potrà competere ai massimi livelli, ma sul lungo termine uscirà progressivamente di scena. Basti dire che al momento solo 3 ricercatori hanno meno di 35 anni!

Il perché si sia arrivati a questa situazione è materia complessa. Senza dubbio i vari provvedimenti per il pubblico impiego che in questi anni hanno cercato di ridurne il costo giocano un ruolo dominante e, sebbene io sia cosciente della complessità tecnica della questione, è comunque un peccato che nessun governo abbia fino ad ora provato a considerare il settore universitario e di ricerca come ad altissima priorità e quindi escluso dai provvedimenti d'urgenza. Probabilmente però ci sono anche gli effetti di scelte strategiche effettuate quando INAF è stato creato, poco più di una decina di anni fa, che hanno privilegiato più il breve termine che una strategia lungimirante (ad esempio, ma non solo, le famigerate riforme "a costo zero").

Esistono però altri aspetti di preoccupazione per il futuro dell'astrofisica italiana. Il nostro sistema accademico, sia in Università che negli enti di ricerca, prevede tre "gradini" di carriera, mimando in parte le strutture militari (ufficiali subalterni, superiori, e generali). Con la differenza, ovviamente, che non essendo le nostre strutture gerarchiche la normale distribuzione nelle tre fasi, dovrebbe seguire grossomodo la formula magica "45-30-25%". E, in effetti, se si considerano le università e gli enti di ricerca in settori confrontabili con INAF questo è sostanzialmente quello che accade:
Accade per tutti, in realtà, tranne proprio che per INAF. Per gli astrofisici italiani di fatto non esiste alcuna possibilità pratica di carriera (e quindi stipendio, responsabilità, ecc.) in completa asincronia con il resto del settore. La mia sensazione è che anche fra i colleghi dell'INAF non ci sia piena coscienza di questo stato di cose. In un certo senso, visto che fra gli obiettivi statutari di un ente di ricerca c'è anche quello di creare un contesto professionale adeguato ai propri scienziati, questo obiettivo è stato fino ad ora ampiamente fallito. Si badi che la questione non è banalmente sono quella degli aumenti di stipendio che si possono ottenere con una ragionevole progressione di carriera. Quello che sta accadendo è che per gli astrofisici italiani diventa sempre più complesso essere parte di commissioni, comitati, ecc. laddove sia richiesto un minimo titolo accademico. E questo, giusto per evitare ambiguità, in completa indipendenza da considerazioni di qualità che invece, come abbiamo visto, sembrano premiare l'ente in maniera convincente.

In pratica, quello che si otterrà è la marginalizzazione degli astrofisici nel contesto della ricerca italiana, processo che plausibilmente non tarderà a mostrare i suoi effetti in termini di distribuzione di risorse, progettualità, ecc. anche in questo caso entro pochi anni. Ed anche in questo caso le cause di questo stato di cose sono complesse, ed insieme a difetti diremmo genetici della creazione dell'INAF, abbiamo senza dubbio errori strategici conditi probabilmente anche da una certa immaturità della comunità scientifica nel dibattere di temi che non siano solamente quelli tecnici del settore.

E quindi? 
La risposta alle preoccupazioni per il futuro purtroppo non l'abbiamo, e senza dubbio rimuovere il problema quasi che fosse in un certo senso irrituale discuterlo apertamente non aiuta. Il timore, solo in parte condivisibile, è che mostrare all'autorità politica la drammaticità della situazione del personale INAF ne possa indebolire la posizione in fase, appunto, di negoziazione di risorse e strutture. Si tratta comunque in ogni caso di una posizione di breve prospettiva, in quanto il problema è ormai ineludibile. La speranza è che velocemente si possa formare una nuova generazioni di scienziati, e di politici, che sappia riportare la scienza e gli scienziati, come anche in Italia in passato è stato, al centro dell'agenda per lo sviluppo del Paese.




martedì 26 maggio 2015

SKA: non si balla più

Poco più di un mese fa ci eravamo lasciati con l'attesa per la decisione finale sulla sede del quartiere generale dello Square Kilometer Array, più noto come SKA.

SKA, giusto per re-inquadrare la questione, è un ambizioso progetto che si svilupperà appieno in almeno un quindicennio a partire da ora per andare a costituire un radiotelescopio di grandi dimensioni e che rivoluzionerà la radioastronomia. Si tratta insomma di un progetto scientifico estremamente avanzato con tutte le enormi ricadute industriali ed economiche dell'impresa.

Per mettere a punto una "macchina" così colossale, come è ormai in uso nelle attività scientifiche di punta, si è formato un consorzio plurinazionale in modo da ridurre la spesa ed aumentare le competenze a disposizione, anche industriali, per la fase di progettazione e realizzazione dell'opera. Al momento al consorzio aderiscono 11 paesi, indicati nella mappa in figura, e diversi altri seguono con interesse il progetto o è in corso di negoziazione il loro ingresso.

I paesi (al novembre 2014) che aderiscono al consorzio SKA

L'Italia partecipa al consorzio da alcuni anni, anche se stiamo solo ora arrivando alle fase, diciamo così, operative. Le fasi dove vengono definite le commesse industriali, le sedi delle varie strutture. E, con oggettiva sorpresa dei più, inclusi dei partner del progetto, il nostro Paese decise di mettersi in corsa per ospitare il quartier generale dell'organizzazione, in diretta competizione con il Regno Unito. Io per primo, ammetto, che quando venni a sapere di questa candidatura non sono riuscito a nascondere un certo scetticismo, misto comunque ad una piacevole sorpresa, in quanto fino ad allora la partecipazione italiana a SKA sembrava, per motivi di budget, più un "essere parte del gruppone" che molto altro. La sede proposta era comunque una splendida struttura storica di Padova, il Castello Carrarese, recentemente restaurata.

Una veduta del Castello Carrarese

La valutazione è stata inizialmente assegnata ad un comitato tecnico/scientifico che doveva tenere conto di diversi fattori come, ad esempio, la consistenza della comunità scientifica locale, le infrastrutture di trasporto a grande scala e locali, e così via. Ovviamente una parte importante del processo di valutazione doveva essere legato agli impegni a lungo termine garantiti dalle autorità politiche. Su questo punto per altro, dopo anni di disimpegno, pare che invece le autorità del nostro Paese siano state lucide e presenti. Ed in effetti la valutazione portò al risultato, per certi versi dirompente ed inaspettato all'interno del consorzio SKA, di vedere la proposta italiana nettamente preferita (qui alcuni accenni alla valutazione, in inglese). La storia è complessa, ne abbiamo già parlato in precedenza, ma una seconda tornata di valutazione nella quali i due contendenti hanno avuto la possibilità di ripresentare le proprie credenziali ebbe lo stesso risultato. Ed il comitato tecnico/scientifico sancì che sebbene entrambe le sedi proposte fossero più che adeguate allo scopo, la soluzione italiana era per molti versi quella preferita.

La palla quindi a questo punto è passata al "board" di SKA, ovvero la struttura di governo di SKA con rappresentanti di tutti i paesi membri. Ed è qui che invece, con notevole disappunto da parte italiana, la soluzione inglese, Manchester, è risultata la preferita con ampia maggioranza (parrebbe 5 voti a favore di Manchester, 1 a favore di Padova, e 5 astenuti). Andando a vedere un po' più in dettaglio la votazione del "board" di SKA quello che emerge è una curiosa alleanza legata ai paesi parte del Commonwealth, con invece gli altri partner coinvolti a preferire appunto una prudente astensione. Presumibilmente il timore di perdere il controllo del progetto, che ricordo fin dall'inizio ha visto la componente inglese giocare un ruolo centrale, insieme ad un'operazione di lobbying evidentemente non riuscita con gli altri membri, ha portato al risultato finale.

Sia come sia, per quanto in tutta questa vicenda non siano mancati passaggi oggettivamente discutibili, dove il fair play scientifico ha lasciato il posto ad un brutale pragmatismo politico/industriale, è stato fatto notare come il Paese sia stato in grado di competere al meglio quando la scienza e le competenze tecniche erano in gioco. Quando invece è stata la politica a prendere il sopravvento siamo abbastanza nettamente naufragati sebbene, va detto, l'avversario era decisamente ostico e non sia ovvio che ci siano state mancanze specifiche anche da questo punto di vista.

Il futuro ora è incerto. Senza dubbio le ottime ragioni scientifiche ed industriali per essere parte del progetto permangono sostanzialmente inalterate. Al contrario, l'aver dovuto cedere sul lato quartier generale, potrebbe autorizzare una ragionevole negoziazione su altri ruoli. C'è solo da sperare che non ci si faccia guidare dall'aspetto emotivo e si ragioni con la prospettiva pluri-decennale che un progetto di questa portata comporta. In un certo senso l'avventura comincia ora.



lunedì 13 aprile 2015

Alieni, no grazie?

L'idea di poter arrivare, un giorno, ad un contatto fisico con una razza aliena è ormai parte dell'immaginario collettivo, non solo di fantascienza, da più di un secolo. Si tratterebbe, se vogliamo essere precisi, di un caso di incontro ravvicinato del terzo tipo, secondo una popolare classificazione.

Il popolarissimo E.T.!
Ed in effetti ogni tanto anche sulla stampa cosiddetta generalista arrivano notizie che magari comunque alla fonte non sono del tutto inventate, nel senso che esiste un riferimento reale, sia pure spesso letto o pubblicato  in maniera parzialmente romanzata o imprecisa. Ad esempio recentemente si è parlato di un'affermazione di fonte NASA secondo la quale in qualche decennio avremo l'evidenza e magari anche il contatto fisico con forme di vita extra-terresti (qui, come riportato da Focus). Oppure, semplicemente, anche più spesso, abbiamo notizie completamente inventate usualmente attribuite a qualche misterioso scienziato da titoli roboanti di qualche sperduta, talvolta inesistente, università in giro per il mondo. In questo caso in genere basta leggere due righe per rendersi conti che siamo di fronte a gossip ufologico, talvolta divertente, senz'altro, ma mai serio.

Rimane vero, però, che il tema ha un suo fascino intrinseco per altro del tutto giustificato. Esiste infatti una disciplina, nota come eso-biologia, che si occupa, al momento in maniera pressoché del tutto speculativa, di considerare il tema della vita extraterrestre in maniera scientifica. E non sarà certo una sorpresa per nessuno scoprire che l'argomento è ampiamente dibattuto, e senza dubbio anche soggetto, come tutto del resto, alle suggestioni culturali del momento.
Qualche decennio fa' l'opinione più diffusa era che comunque il fenomeno "vita" dovesse essere qualcosa di estremamente raro, frutto senza dubbio della coscienza della complessità dei fenomeni coinvolti nei processi biologici che si cominciavano a comprendere in qualche dettaglio. Oggi si è fatta strada invece una visione diversa che tende a pensare che la "vita" possa essere un fenomeno estremamente comune, quasi banale in un certo senso, che si instaura per conseguenza delle leggi della fisica in ogni luogo in cui ci siano delle condizioni minimali.
In entrambi i casi, come si diceva, è agevole vedere qualche influsso del contesto sociale in cui determinate idee vengono sviluppate, e certamente il dibattito è destinato a fiorire nei prossimi anni al progredire delle esplorazioni del sistema solare.

Sia come sia, però, se si passa dalla vita biologica elementare a forme di vita dotate di una qualche forma di intelligenza le cose cambiano, e notevolmente. È abbastanza noto anche fra il grande pubblico, infatti, il cosiddetto paradosso di Fermi. La sostanza di questo ragionamento può essere tradotta nella considerazione che se l'universo, o anche solo la nostra galassia, è piena di pianeti che possono ospitare forme di vita, ed almeno su alcuni la vita ha generato esseri senzienti dotati di capacità tecnologiche, è domanda pertinente quella di chiedersi dove, quindi, questi esseri sarebbero. Se l'universo pullula di vita, visto che il nostro Sole e con esso la Terra, ha poco meno di 5 miliardi di anni rispetto ai quasi 14 dell'universo nel suo complesso, ci saranno anche civiltà più evolute ed antiche della nostra. Solo che fino ad oggi noi non ne abbiamo alcuna traccia.

Le soluzioni al paradosso sono tantissime (qui un interessante articolo divulgativo in inglese), e tutte con significati degni di essere analizzati. Ad esempio, in questo contesto si da per scontato che i viaggi interstellari siano possibili, ma se la velocità della luce fosse un limite realmente invalicabile, come per altro abbiamo ottimi motivi di pensare, potrebbe non essere il caso. E quindi, con un tocco di antropocentrismo finalistico, potremmo domandarci cosa serve allora avere un universo così grande se anche alla velocità della luce ci vorrebbero comunque anni per raggiungere anche solo le stelle più vicine (in realtà la questione non è così semplice, ed il tempo necessario per il viaggio sarebbe lunghissimo per un osservatore sul nostro pianeta, ma molto più breve per l'ipotetico astronauta, il famoso paradossi dei gemelli della relatività einsteiniana).
Alternativamente ci si potrebbe anche domandare se sia poi vero che le civiltà nascono e si evolvono migliorando sempre la loro tecnologia fino a diventare capaci dei viaggi fra le stelle. Estinzioni, stagnazioni, involuzioni, i possibili motivi perché una civiltà intelligente possa non desiderare o potere esplorare l'universo sono tantissimi, e per altro spesso sviscerati ed analizzati dagli autori di fantascienza in molte forme altamente suggestive (ad esempio la civiltà solariana dei cicli asimoviani).
Oppure ancora, potrebbe semplicemente essere il caso che non siamo molto interessanti, ed i viaggiatori dello spazio banalmente ci ignorano... altro tema caro alla fantascienza (la prima direttiva della saga di Star Trek).

Tuttavia esiste anche la banale possibilità che, semplicemente, non siamo stati ancora "trovati". L'universo è grande, e magari siamo l'analogo galattico dei nativi sud-americani che, fino all'arrivo delle caravelle spagnole, potevano benissimo pensare di essere gli unici al mondo.
Su questo tema ci sono state anche recentemente delle prese di posizione piuttosto singolari secondo le quali, in realtà, sarebbe molto meglio e forse anche necessario sperare che questo stato di cose perduri per molto tempo ancora (ultimo in ordine di tempo, Stephen Hawking). Detto in altra maniera, è realmente saggio cercare di attirare l'attenzione di civiltà extra-terresti? L'analogia con le popolazioni pre-colombiane, o anche in realtà con qualunque popolazione che abbia avuto a che fare con una visita di una potenza "superiore" per tecnologia apparirebbe qui stringente. Ogni volta che questo è accaduto, indipendentemente da razza, religione e periodo storico, per la popolazione meno evoluta il destino non è mai stato felice.
Va qui ricordato che sono in effetti ormai alcuni decenni che mandiamo segnali radio nello spazio con informazioni varie sul nostro pianeta, dove siamo, quanti siamo, come siamo fatti, ecc. L'idea, suggestiva, è quella di poter un giorno ricevere una risposta e quindi magari aprire un canale di comunicazione con un'altra civiltà. Il ben noto progetto SETI. Ma anche senza avere trasmissioni mirate, la sola esistenza delle telecomunicazioni terrestri, la radio e televisione ad esempio, implica che verso lo spazio vengono continuamente emesse trasmissioni con, potenzialmente, una quantità enorme di informazioni su di noi.

E quindi la domanda fondamentale: è saggio tutto questo? Di solito a questa obiezione che, in termini brutali sembrerebbe per la verità di una certa solidità, si danno risposte che, in buon sostanza, sono basate su un assunto primario: le eventuali popolazioni extraterrestri così evolute da viaggiare nello spazio saranno anche inevitabilmente dotate di un senso etico superiore a quello di noi terrestri. L'idea che lo sviluppo porti con se anche la crescita dei valori è un antico pregiudizio positivista, non privo di fascino. Anche qui non è difficile vedere l'influsso del pensiero comune del tempo in cui determinate idee sono state prodotte o discusse. Il concetto che equipara il progresso in ogni caso ad un miglioramento, in ogni settore, permeava tutta la società occidentale almeno fino alla fine del secolo passato. Oggi le cose sono diverse, ed insieme al crescere di movimenti in varia forma anti-scientifici, ecco che fioccano i distinguo ed i richiami ad un prudente isolamento.
Non so se da tutto questo sia completamente lecito trarre lezioni sociologiche, nel senso che se da una parte i toni di queste considerazioni sembrano tradurre in pratica un concetto generale di sfiducia e scetticismo verso il diverso in ogni forma, dall'altra magari c'è il rischio di dare eccessiva portata ad un banale esercizio intellettuale stante comunque, al momento almeno, la completa mancanza di evidenze reali di visitatori dallo spazio.

Vero, è, comunque, che l'idea di una Terra che si isola e si nasconde per precauzione, erigendo muri e frontiere in funzione di un futuro comunque distopico, non è esattamente il contesto in cui ci piacerebbe vivere e lavorare.

mercoledì 8 aprile 2015

Ballando lo SKA

Molto probabilmente la parola SKA per la maggior parte delle persone non dirà molto, o al massimo  evocherà un genere musicale per altro di notevole interesse e sviluppo.

Per gli appassionati ed i professionisti di astronomia, invece, l'acronimo SKA si avvia a diventare uno dei più importanti e comuni nei prossimi decenni. SKA sta per Square Kilometre Array, ed è, molto in soldoni, uno straordinario radiotelescopio formato da migliaia di antenne distribuite su un'area larga circa 3000 chilometri. Come è stato detto, certamente con un po' di enfasi, in questo caso non del tutto mal posta, il progetto punta a trasformare la Terra in un unico gigantesco radiotelescopio!

Immagine pittorica di alcune delle future antenne di SKA
Si tratta di un'impresa realmente titanica, con un costo stimato intorno ai 2 miliardi di Euro. E con un tempo di sviluppo completo vicino ai due decenni. È facilmente intuibile che una tale avventura scientifica e tecnologica sia possibile solo grazie ad un'ampia collaborazione internazionale. Al momento fra i paesi del consorzio abbiamo Australia, Canada, Cina, Germania, Gran Bretagna,  India, Nuova Zelanda, Sud Africa, Svezia, Paesi Bassi ed appunto Italia. E diversi altri stanno negoziando l'ingresso. 

Non è un caso che nella lista ci siano diversi paesi emergenti, evidentemente desiderosi di fare "il gran salto" ed entrare a far parte dei paesi importanti per la scienza. Le impressionanti ricadute tecnologiche che deriveranno dallo sviluppo ed utilizzo di questa strumentazione sono un diretto viatico verso la competitività industriale dei paesi che maggiormente contribuiranno alla sua costruzione. Questa fase di febbrile negoziazione ricorda in parte i primi decenni del secondo dopoguerra in Europa, dove vennero poste le basi di grandi organizzazioni scientifiche come il CERN e l'ESO.

Della scienza di SKA e con SKA avremo comunque modo di parlare ampiamente in futuro, quando il progetto entrerà nelle sue fasi operative che prevedono, nel corso degli anni, la costruzione di una serie di "pre-cursori", vale a dire versioni ridotte della struttura finale tramite i quali però si potranno cominciare ad affrontare alcuni dei temi scientifici principali.
Una cosa che invece sta accadendo proprio in questi giorni è la decisione su dove dovrà essere posto il quartier generale dell'osservatorio. Abbiamo già capito, vista la dimensione della struttura, che naturalmente SKA non sarà il tipico osservatorio al quale siamo abituati a pensare, non sarà ad esempio localizzato in un posto specifico. La maggior parte delle antenne saranno installate in un'ampia area nell'emisfero sud, fra Australia e Sud Africa. E, in un certo senso come bilanciamento, il quartier generale, dove cioè verranno prese le decisioni principali e definita la strategia di utilizzo, sarà nell'emisfero nord, e precisamente in Europa. E per ospitare questa struttura ci sono in lizza due candidati: le città di Manchester, nel Regno Unito, e Padova, in Italia. La decisione su quale sia la prescelta è ovviamente complessa in quanto richiede di valutare un'ampia classe di parametri. Dall'interesse ed attività della comunità scientifica, la facilità di accesso e la presenza di strutture ricettive adeguate, come anche, la presenza di solide garanzie finanziarie da parte dei rispettivi governi. Il quartier generale di un'impresa scientifica di questo genere, infatti, è qualcosa che va oltre un "normale" istituto scientifico. Diventerà infatti in un certo qual modo il luogo naturale dove scienziati di tutto il pianeta si incontreranno e lavoreranno. Sarà teatro di dibatti, convegni, obiettivo di studenti e ricercatori di ogni provenienza.

Ad onor del vero su questa vicenda si è innescato un piccolo giallo internazionale. Nulla che in effetti non sia la quotidianità in questioni di questa natura. Quello che accade è che in realtà la valutazione sarebbe già stata effettuata da un apposito comitato verso la fine di marzo, con una chiara preferenza verso la soluzione italiana. Tuttavia la controparte inglese ha chiesto ed ottenuto che ci sia una seconda valutazione per dare tempo ai concorrenti di riformulare le offerte. La nota rivista scientifica Nature ha dedicato alla vicenda un editoriale (qui, in inglese) non lesinando critiche esplicite alla gestione della cosa. Una lettura interessante ed istruttiva per chi ancora pensa che la scienza sia una specie di area neutra al di fuori di interessi nobili e talvolta anche meno nobili.



venerdì 13 febbraio 2015

Dove si tocca il cielo con un dito!


di Cristina Baglio.

Il giorno dopo la mia prima notte di osservazione, sabato, dopo una sveglia nel primo pomeriggio e una colazione veloce, ho fatto una lunga passeggiata, passando da tutti i telescopi presenti a La Silla. La camminata è abbastanza lunga ed è un ottimo modo per arrivare stanchi a sera, vanificando il fatto di aver dormito fino a tardi, ma decisamente ne vale la pena dal punto di vista paesaggistico. Inoltre il sabato a La Silla può capitare, come è successo a me, di incontrare gruppi di persone da La Serena che si sono prenotati per visitare i telescopi, e che ti rivolgono domande del tipo: “Are you an astronomer, or a normal person?”, lasciandoti sbigottito a pensare che tu vorresti poter essere entrambe le cose, quindi anche dal punto di vista delle relazioni umane la passeggiata è consigliabile!

Il magnifico arco della Via Lattea con le Nubi di Magellano da La Silla.
Immagine di Christian Obermeier.

Prima di cena, come il giorno precedente, mi sono recata nella sala di controllo per parlare con George, l'astronomo di supporto, delle calibrazioni che vanno prese per le misure della notte. Le osservazioni, che sono iniziate dopo l'analisi dell'immagine da parte del tecnico del telescopio, hanno preso il via verso le 21:30, quando il sole era ormai del tutto tramontato, e la luna ancora non era sorta. Durante quella notte questa condizione di “bassa luminosità” si è protratta per la prima volta da quando ho messo piede a La Silla per un tempo abbastanza lungo da permettermi di osservare il cielo. Che meraviglia! Dopo pochissimi secondi per abituare gli occhi al buio, subito ho potuto vedere con chiarezza la costellazione della Croce del Sud, appena sopra gli edifici della foresteria, da cui verso l'alto partiva la Via Lattea. Non avevo idea che fosse possibile vederla con così tanta chiarezza, riconoscendo addirittura le zone più scure e ben delimitate in cui la polvere interstellare assorbe la radiazione (una di queste si trovava vicinissima alla Croce del Sud)! Inoltre si possono vedere moltissime zone nebulose nel cielo, tra le quali con l'aiuto di una mappa abbiamo riconosciuto l'ammasso aperto M44, il cosiddetto “Beehive cluster”, conosciuto anche come Presepe. Ultime, ma non di certo come importanza, le bellissime Nubi di Magellano, la grande e la piccola, erano perfettamente visibili vicino alla Via Lattea. Queste mi hanno stupita moltissimo per la loro dimensione angolare, molto più grande di quanto mi immaginassi. Appaiono come delle nuvolette chiare sullo sfondo scuro del cielo, e si osservano anche guardandole direttamente, a differenza di quanto accade quando le nebulosità sono appena visibili.

Una volta sorta la luna, che mi ha impedito di continuare a godere dello spettacolo del cielo, sono tornata nella sala di controllo per proseguire le osservazioni (che nel frattempo stavano ovviamente andando avanti). Questa notte il programma è molto più semplice rispetto alla prima, visto che si osserva in ottico (EFOSC2), e EFOSC2 è molto più performante rispetto a SOFI per quanto riguarda la polarimetria, visto che viene usato molto più spesso. In particolare, visto che è dotato di una lamina a mezz'onda, non è necessario ruotare completamente l'intero strumento per ottenere le osservazioni polarimetriche, e di conseguenza non ho dovuto controllare in ogni immagine che il target dell'osservazione fosse ancora nel campo di vista (la sera prima era successo che il target uscisse dal campo proprio a causa della rotazione). Durante la notte inoltre ho ricevuto il consenso da parte del direttore di La Silla a osservare due target aggiuntivi, binarie X recentemente andate in outburst e quindi con una certa probabilità di presentare dei getti. Quindi ho dovuto leggermente rivedere il programma per inserirli entrambi, ma è stato semplice visto che, quando ho programmato le serate, ero stata molto larga con i tempi. Anche questa seconda notte di osservazioni quindi si è conclusa molto bene, senza intoppi e difficoltà.

La costa del Pacifico nei pressi di Valparaiso
La domenica nuovamente inizia con una lunga passeggiata, l'ultima di questo mio soggiorno a La Silla considerando che il giorno dopo sarei tornata a Santiago. L'ultima sera a La Silla il meteo è perfetto e la Luna sorge ancora più tardi, quindi (oltre che a permettermi un'osservazione del cielo ancora più sorprendente della sera prima) il programma è andato molto bene, con un seeing bassissimo per tutta la durata della notte. Anche in questo caso ho utilizzato lo strumento EFOSC2, sempre in modalità polarimetria.
Il lunedì sono ripartita per Santiago, dopo aver ottenuto la mitica tazza ricordo di La Silla, premio per aver sottomesso il report di fine missione. Il viaggio in Cile si è concluso con la visita della città di Santiago, e con una puntatita veloce al ghiacciato (nonostante lì sia estate) Oceano Pacifico.
Ritorno a casa arricchita di tante esperienze e desiderosa di mettermi all'opera nella parte più interessante del lavoro, che, come sempre, è capire che cosa questi dati che ho preso hanno da dirmi!
La Silla, ci si rivede presto (spero!).

domenica 8 febbraio 2015

Un telescopio di cui innamorarsi!

di Cristina Baglio

La mattina del mio secondo giorno a La Silla ho potuto recarmi a visitare il telescopio REM (Rapid Eye Mount), in quanto, per effettuare alcune semplici operazioni in cupola, avevo richiesto e ottenuto le chiavi della cupola il giorno prima. REM è un telescopio robotico dal diametro di 60 centimetri che conquista il cuore di ogni astronoma grazie al suo meraviglioso colore: infatti, a quanto pare per un piccolo errore al momento dell'ordine, REM risulta essere di una fantastica sfumatura di fuxia (peccato per il cucciolo di tarantola all'ingresso, che ha certamente rovinato l'atmosfera)! Tra i suoi vari utilizzi, REM è in grado di puntare molto rapidamente transienti X in outburst e Gamma Ray Burst che vengono osservati dal satellite Swift permettendo così di ottenere quasi simultaneamente una misura della loro controparte ottica.

Alcune rocce con disegnati degli affascinanti petroglifi
Nel pomeriggio, insieme a un gruppo di astronomi presenti a La Silla, ho invece fatto una suggestiva
(ma piuttosto stancante) passeggiata tra le desertiche montagne che circondano l'Osservatorio di La Silla, alla ricerca di petroglifi! I petroglifi sono disegni simbolici che venivano realizzati incidendo e scavando la roccia; possono essere osservati in molte regioni diverse della Terra, e sono generalmente associati all'epoca preistorica. Ne abbiamo effettivamente riconosciuti moltissimi, la maggior parte raffiguranti uomini e lama, ma anche stelle, fiori e altri disegni. Mi ha molto colpita che questi reperti abbiano potuto sopravvivere alle intemperie (vento più che altro, visto che qui non piove spesso) e conservarsi bene per tutto questo tempo, senza minimamente deteriorarsi. Sulla strada del ritorno, ho incontrato il secondo animale indesiderato della giornata: un piccolo serpentello. Dicono che i serpenti in Cile non siano velenosi, ma io per sicurezza me ne sono allontanata alla svelta!

La sera sono rimasta nella sala di controllo dei telescopi il più possibile, per cominciare ad abituarmi a stare sveglia tutta la notte, in vista delle osservazioni che sarebbero iniziate l'indomani. Inoltre quella stessa sera ho avuto l'occasione di assistere all'osservazione di un primo target, un'altra binaria X, usando lo spettrografo dello strumento EFOSC2 I dati ottenuti con questa osservazione erano stati richiesti qualche giorno prima dal mio supervisor e dovevano essere presi in service mode, ovvero dall'osservatore di turno (George, il mio astronomo di supporto). La serata non prometteva bene, a causa di diverse nuvole che coprivano il cielo; tuttavia il meteo è stato clemente per un tempo sufficiente a ottenere gli spettri che ci servivano!

Cristina con il magnifico crinale di La Sila sullo sfondo
La mattina del 6 febbraio ho cercato di restare a letto il più possibile, per non rischiare di crollare a metà della mia prima vera e propria notte di osservazioni. La giornata è trascorsa tranquilla, a parte per una breve visita a REM per un altro piccolo intervento e per mostrarlo ad alcuni astronomi, che non erano mai stati in cupola. Verso le 18, mi sono recata nella sala di controllo per verificare che tutto fosse a posto e che fossero state prese le immagini di calibrazione di cui avrò bisogno per la risuzione dei dati, una volta rientrata in Italia. Lì ho incontrato Xavier, uno dei tecnici diurni dei telescopi, che si è offerto di accompagnarmi a visitare i telescopi più grandi dell'Osservatorio: NTT e il 3.6 metri. Entrambi mi hanno colpita moltissimo! Il primo, NTT, ha una cupola facilmente distinguibile da quella degli altri telescopi, in quanto è squadrata e ottagonale (il suo gemello alle Canarie, TNG, viene spesso assimilato a una MOKA per la sua particolare forma), ed è stata progettata così in modo da permettere che l'aria esterna entri in cupola seguendo un flusso laminare, e quindi creando la miglior condizione possibile per la stabilità termica degli specchi (e quindi migliorando la qualità delle immagini). La pecca di questo design è che il telescopio è interamente esposto alla corrente, e per questo motivo la velocità del vento a cui diventa necessario chiudere la cupola è più bassa per NTT che per qualunque altro telescopio presente a La Silla. Ho potuto avvicinarmi così tanto al telescopio, che volendo avrei potuto toccare lo specchio (ma avrei rischiato di essere radiata per sempre, quindi ho preferito evitare).
Il telescopio da 3.6 m
Il 3.6 metri invece è un telescopio gigantesco, imponente. Completamente diverso da NTT quindi, nonostante la dimensione dello specchio sia praticamente la stessa. Al momento ospita lo strumento HARPS, grazie al quale moltissimi pianeti extrasolari vengono scoperti e studiati.

La mia prima serata di osservazioni si svolge con lo strumento SOFI montato su NTT. Con SOFI ho potuto osservare nelle bande infrarosse JHK cinque binarie X, persistenti e transienti, sia utilizzando tecniche di polarimetria, che di più semplice fotometria. Nella prima mezz'ora, dalle 21 circa (ovvero quando il cielo è sufficientemente scuro) il tecnico del telescopio (tecnica nel mio caso: Carla) deve svolgere la cosiddetta "analisi dell'immagine", dopo di che si può iniziare con il programma. Fortunatamente non ci sono stati troppi inconvenienti, anche se ero stata troppo ottimista sull'orario. Entro il sorgere del sole (verso le 6:00) ad ogni modo sono riuscita a completare tutte le osservazioni in programma e ho quindi potuto lasciare la sala di controllo per riposare, in attesa della seconda notte di osservazioni in programma per il giorno dopo.


venerdì 6 febbraio 2015

Vita sociale di osservatorio!

di Cristina Baglio.


Martedì, come previsto, mi sono recata agli uffici ESO di Vitacura, un'altra zona della città di Santiago. Qualche mese fa infatti, poco dopo aver saputo che mi erano state concesse 3 notti di osservazione al telescopio, mi hanno contattata dagli uffici ESO, chiedendomi se fossi interessata a tenere un seminario di 30 minuti sul mio lavoro. Avendo accettato, il mio soggiorno alla guesthouse di Santiago è stato prolungato di un giorno.
Gli uffici ESO di Vitacura distano una ventina di minuti in macchina dalla guesthouse, e sono estremamente organizzati. Mentre aspetto di parlare, su uno schermo nell'atrio scorrono immagini bellissime prese con i vari telescopi di La Silla e Paranal, i due principali osservatori ESO in Cile, intervallate dagli annunci dei vari seminari che si terranno nel mese di febbraio (il mio, senza farlo apposta, è annunciato su uno sfondo rosa shocking. Sarà perché sono una donna?).
La comunità scientifica di Santiago è molto giovane e, da quanto ho capito, molto variabile. Infatti ciascuno di loro deve periodicamente recarsi a uno degli osservatori per lavorare ai vari telescopi, e quindi i ricercatori spesso sono via. Ad ogni modo, c'era abbastanza gente da avere un pubblico sostanzioso (e curioso) al mio seminario, che quindi è andato piuttosto bene.

Mercoledì mattina di buon'ora mi sono recata all'aeroporto di Santiago insieme a David, un dottorando australiano che lavora a Ginevra e che ho conosciuto alla guesthouse. Infatti per raggiungere l'osservatorio di La Silla è stato necessario prendere un aereo per la città di La Serena, da cui poi con un autobus organizzato da ESO abbiamo potuto finalmente arrivare alla meta. Durante il viaggio in autobus, durato più di tre ore, abbiamo potuto ammirare l'oceano Pacifico da una parte, e il deserto dall'altra. Infatti, sebbene ancora non si possa parlare di deserto vero e proprio, tutto appare secco e sabbioso, con pochissime piante, in prevalenza cactus.
Non appena arrivata, ho fatto un giro per l'Osservatorio per iniziare ad ambientarmi. Le camere sono distanti dalla “zona giorno”, per permettere agli astronomi che dormono durante il giorno di riposare. Nella zona giorno invece ci sono la mensa, la lavanderia, la biblioteca, e persino una palestra e una sala da biliardo.
L'Osservatorio di La Silla è diverso da quanto avevo visto andando ad osservare a La Palma, alle Canarie, in quanto gli astronomi non devono recarsi direttamente al telescopio, ma si riuniscono tutti nella stessa stanza, chiamata control room, in cui ci sono tutti i computer necessari per mandare i comandi ai telescopi e per fare una prima analisi dei dati che si prendono.
La parte più bella dell'Osservatorio sono, ovviamente, i telescopi. Ce ne sono molti qui a La Silla, a partire dai più piccoli REM, lo Swiss telescope, ecc) fino ai più grandi: NTT e il 3.6 m.
Tutto il personale è molto gentile e attento, soprattutto con le donne: non mi hanno permesso di portare la valigia in camera e mi hanno accompagnata durante tutto il giro del posto, per esempio. Simona, un'amica di Milano che si trova a La Silla in questi giorni per lavorare al telescopio da 2.2 metri, mi racconta che questo è il comportamento che tutti assumono quando arrivano delle donne all'Osservatorio (cioè molto raramente: quando Simona se ne andrà, rimarro l'unica astronoma a La Silla).
Prima di cena, ho visitato lo Swiss telescope: un piccolo telescopio con un diametro di 1.2 metri, colorato con i colori della bandiera della Svizzera (rosso e bianco). Il primo giorno a La Silla si è concluso in un modo molto divertente: i ragazzi dello Swiss telescope, tra cui anche David, hanno preparato la fonduta! Una bella cenetta in compagnia prima che cali il sole, e quindi che chi deve osservare debba recarsi nella control room (non è il mio caso, visto che le mie osservazioni dovranno aspettare fino a venerdì per iniziare).

martedì 3 febbraio 2015

Finalmente a Santiago del Cile

di Cristina Baglio!

Eccomi di nuovo in partenza, e questa volta per una meta – se possibile – ancora più bella ed esotica: il Cile

Il telescopio ESO "NTT"
Tutto è iniziato quando, qualche mese fa, ho scritto con l'aiuto dei miei supervisors un proposal a ESO per ottenere alcune notti all'NTT (New Technology Telescope), a La Silla. Sono stata ovviamente molto felice quando mi hanno comunicato di aver accettato la mia richiesta, anche se sapevo che avrebbe significato il dovermi fare un bel viaggio da sola, che è una cosa che normalmente mi spaventa molto (e in effetti è stato così anche questa volta). Per contestualizzare, NTT si trova a La Silla, che è uno dei siti mondiali migliori per effettuare osservazioni (nonché il primo sito scelto da ESO per costruire il proprio osservatorio). Si trova infatti a sud del deserto dell'Atacama, sulla montagna Cerro La Silla (2400 m di altitudine), il che lo rende un posto con scarsissima umidità, caratteristica fondamentale per poter ottenere dei buoni dati. NTT e un telescopio da circa 4 metri (3.58 m), gemello del Telescopio Nazionale Galileo (TNG) delle Canarie, e permette, grazie agli strumenti EFOSC2 e SOFI, di effettuare osservazioni (fotometria , spettroscopia e polarimetria) nelle lunghezze d'onda ottiche e infrarosse, il che lo rende perfetto per i miei scopi. Infatti la mia idea è quella di cercare l'emissione di getti relativistici di particelle da sistemi binari X persistenti di piccola massa, ovvero binarie in accrescimento contenenti un oggetto compatto (una stella di neutroni o un buco nero di massa stellare) e una stella di sequenza principale. Se questi getti vengono prodotti, la radiazione emessa dai sistemi binari può risultare intrinsecamente polarizzata fino a livelli di qualche per cento in ottico (e anche di più in infrarosso); per questo motivo, per 3 notti a partire da venerdì 6 febbraio, cercherò di osservare alcuni sistemi binari X con tecniche di polarimetria, sperando di poter contribuire ad aumentare quello che oggi si conosce (poco) sull'emissione di questi getti. 

Comunque, dopo un viaggio molto faticoso (circa 26 ore in tutto) sono finalmente arrivata alla guesthouse ESO di Santiago del Cile, un posto decisamente accogliente. Dall'aspetto sembrerebbe una villetta, con un bellissimo giardino, una piscina all'aperto, fiori... Ci sono pochissimi ospiti in questo periodo dell'anno (qui è come se fosse agosto in Italia, per intenderci), quindi sto riuscendo a conoscere un po' tutti. Come al solito, sono la più giovane, quindi gli altri ospiti si stanno prodigando in consigli di ogni genere (da cosa sia meglio mangiare/bere qui a Santiago a cosa fare quando sarò al telescopio). 

Domani mi recherò agli uffici ESO di Vitacura, qui vicino, dove conoscerò la comunità scientifica del luogo, e avrò anche l'occasione di parlare del mio lavoro in un seminario di mezz'ora che mi hanno chiesto di tenere in mattinata. 
Tutto promette molto bene insomma. A presto per altri aggiornamenti dal Cile!

lunedì 2 febbraio 2015

Viaggi astronomici

Qualche tempo fa (qui) abbiamo parlato di come si svolgono le attività osservative per gli astronomi. E lo abbiamo fatto seguendo una campagna osservativa alle Canarie di una giovane dottoranda milanese, Cristina Baglio.

Effettivamente, come abbiamo più volte ricordato, il compiere osservazioni con un telescopio è una prerogativa di solo una  "sotto-famiglia" di astrofisici, quelli che si occupano di osservazioni con telescopi ottici. Ma ci sono astrofisici specializzati nell'utilizzo di strumentazioni pensate per altre lunghezze d'onda, dal radio alle altissime energie, così come anche persone più legate alle problematiche teoriche, al calcolo numerico, ecc. E, per la verità, nella moderna astrofisica molto spesso queste separazioni sono solo simboliche, la moderna ricerca richiede un approccio "aperto", e le tecniche osservative ed interpretative diventano parte di un unico percorso cognitivo.


Sia come sia, è comunque vero che gli astronomi osservativi che lavorano con i grandi telescopi ottici hanno spesso la possibilità visitare alcuni dei luoghi più affascinanti del pianeta. I moderni telescopi sono infatti inevitabilmente situati in zone lontane da ogni forma di inquinamento luminoso, in aree remote e scarsamente popolate. Dai deserti del sud America alle cime dei vulcani delle isole Hawaii. 

E senza dubbio questi viaggi rappresentano una delle fasi più importanti della vita professionale di un astronomo. L'organizzazione delle osservazioni, la necessita di acquisire dimestichezza con strumentazioni sofisticate, ed in generale la gestione delle attività dove ogni minuto di "tempo telescopio" è prezioso definiscono un'interessante insieme di operazioni che possono sollevare la curiosità anche del grande pubblico di appassionati.

Ed a questo scopo, approfittando di una nuova missione osservativa di Cristina, questa volta verso l'emisfero sud, ed esattamente verso l'Osservatorio Astronomico di La Silla, proponiamo un nuovo "diario di viaggio". Seguiremo cioè Cristina durante la sua missione in modo da guadagnare una veduta privilegiata sulla vista professionale di un giovane astronomo alle prese con aspetti complessi ma anche affascinanti del suo lavoro.

Mentre scriviamo queste righe Cristina è in procinto di arrivare a Santiago del Cile da Milano. A breve quindi avremo il piacere di seguire le sue "cronache".