giovedì 16 luglio 2015

Astrofisici: in via d'estinzione?

I fisici di varie specialità, e quindi anche gli astrofisici, come più in generale la ricerca di scientifica di base e gran parte di quella applicata, sono finanziati dallo Stato. Vale a dire, in varia forma, dalle tasse dei contribuenti. È quindi un diritto, se non anche almeno in parte un dovere, chiedersi come vengono spesi questi soldi e con quali risultati.

Il tema della valutazione della produttività di un investimento è naturalmente argomento tutt'altro che banale, sebbene nel caso delle scienze fisiche l'obiettivo è più semplice che in altri contesti in quanto esistono diversi criteri bibliometrici che hanno il pregio di fornire un elevato livello di oggettività. Non sto ora a dilungarmi sul'ampio e non ingiustificato dibattito sui criteri valutativi (ne abbiamo parlato in passato ampiamente). Basti dire a questo scopo che tanto più ampie sono le comunità sottoposte a valutazione tanto più i criteri utilizzati sono affidabili.

Se, quindi, si vuole avere un'idea non soggettiva di quanto la ricerca scientifica italiana, ed in particolare quella astrofisica, siano competitive in un contesto planetario, questi criteri offrono un buon livello di affidabilità. Qualche tempo fa un valido collega dell'INAF, Raffale Gratton, dell'Osservatorio Astronomico di Padova, si è preso la briga di compiere uno studio piuttosto accurato mettendo a confronto le produzioni scientifiche degli astrofisici dei principali paesi attivi nella ricerca in questo settore arrivando alla conclusione che l'Italia è fra il quarto e quinto posto assoluto a seconda di quale criterio si utilizzi. Ai primi posti abbiamo gli Stati Uniti, la Germania, il Regno Unito e la Francia, quest'ultima con parametri pressoché identici ai nostri. Quando però si va a considerare il prodotto interno lordo, il famoso PIL, il Paese scende nelle classifiche sino a circa l'ottavo posto fra le nazioni considerate. Tutto questo, senza entrare in dettagli che per altro sono discussi nel lavoro citato, ci dice che in sostanza in nostro Paese in astrofisica (ed in realtà da altri studi si vede che questo è vero in generale per tutte le scienze fisiche) è molto più competitivo di quello che il sia pure ingente peso economico lascerebbe presagire. In effetti non scopriamo nulla di veramente nuovo, la scienza italiana rappresenta una delle eccellenze del Paese, concedetemi un grassetto in questo caso penso meritato.

Non che i problemi manchino, o anzi addirittura abbondino, ma al lato pratico il "sistema Italia", inteso come scuola, università, enti di ricerca, ecc. appare essere in salute molto migliore di come una talvolta (o spesso) superficiale visione populista del settore lascerebbe intendere. E sull'importanza anche economica della ricerca scientifica abbiamo anche in questo caso già discusso in passato.

Tuttavia le preoccupazioni per il futuro sono invece legittime. E sono molte. Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad una progressiva diminuzione dell'investimento in formazione universitaria, e l'avvento della grande crisi economica intorno al 2008 ha fatto il resto, portando ad esempio alla sostanziale impossibilità di assumere giovani ricercatori anche solo in sostituzione dei più anziani andati in pensione. E questo a margine di una internazionalizzazione sempre più spinta della ricerca italiana, con collaborazioni anche ad altissimo livello di responsabilità in una molteplicità di progetti scientifici di punta nei prossimi decenni.

Il Consiglio Scientifico dell'INAF, ha compiuto alcuni studi per cercare di determinare come l'astrofisica italiana si presenterà nei prossimi decenni, ed i risultati sono in parte attesi ma egualmente inquietanti: con l'attuale tasso di sostituzioni, a partire da circa il 2020 il numero di scienziati INAF comincerà a decrescere rapidamente arrivando rapidamente a mettere in crisi la possibilità per l'ente di compiere i propri doveri istituzionali:

Naturalmente il "numero" non è il solo parametro importante. L'età attuale media degli astrofisica italiani dell'INAF è di poco meno di 50 anni, ovvero elevata, ma non eccessiva. A meno che non sia possibile porre rimedio a questo stato di cose, ovvero con un numero di assunzioni permanentemente inferiore a quello delle immissioni, in breve avremmo un ente decisamente troppo anziano per intraprendere progetti ambiziosi e di lunga portata. In un certo senso, mi si passi una metafora calcistica, INAF è ora come una squadra di calcio competitiva e matura, con in aggiunta alcune individualità di valore assoluto, ma che per varie ragioni ha abolito il settore giovanile e non è in grado di agire sul mercato degli acquisti. Nel corso di alcuni anni la squadra potrà competere ai massimi livelli, ma sul lungo termine uscirà progressivamente di scena. Basti dire che al momento solo 3 ricercatori hanno meno di 35 anni!

Il perché si sia arrivati a questa situazione è materia complessa. Senza dubbio i vari provvedimenti per il pubblico impiego che in questi anni hanno cercato di ridurne il costo giocano un ruolo dominante e, sebbene io sia cosciente della complessità tecnica della questione, è comunque un peccato che nessun governo abbia fino ad ora provato a considerare il settore universitario e di ricerca come ad altissima priorità e quindi escluso dai provvedimenti d'urgenza. Probabilmente però ci sono anche gli effetti di scelte strategiche effettuate quando INAF è stato creato, poco più di una decina di anni fa, che hanno privilegiato più il breve termine che una strategia lungimirante (ad esempio, ma non solo, le famigerate riforme "a costo zero").

Esistono però altri aspetti di preoccupazione per il futuro dell'astrofisica italiana. Il nostro sistema accademico, sia in Università che negli enti di ricerca, prevede tre "gradini" di carriera, mimando in parte le strutture militari (ufficiali subalterni, superiori, e generali). Con la differenza, ovviamente, che non essendo le nostre strutture gerarchiche la normale distribuzione nelle tre fasi, dovrebbe seguire grossomodo la formula magica "45-30-25%". E, in effetti, se si considerano le università e gli enti di ricerca in settori confrontabili con INAF questo è sostanzialmente quello che accade:
Accade per tutti, in realtà, tranne proprio che per INAF. Per gli astrofisici italiani di fatto non esiste alcuna possibilità pratica di carriera (e quindi stipendio, responsabilità, ecc.) in completa asincronia con il resto del settore. La mia sensazione è che anche fra i colleghi dell'INAF non ci sia piena coscienza di questo stato di cose. In un certo senso, visto che fra gli obiettivi statutari di un ente di ricerca c'è anche quello di creare un contesto professionale adeguato ai propri scienziati, questo obiettivo è stato fino ad ora ampiamente fallito. Si badi che la questione non è banalmente sono quella degli aumenti di stipendio che si possono ottenere con una ragionevole progressione di carriera. Quello che sta accadendo è che per gli astrofisici italiani diventa sempre più complesso essere parte di commissioni, comitati, ecc. laddove sia richiesto un minimo titolo accademico. E questo, giusto per evitare ambiguità, in completa indipendenza da considerazioni di qualità che invece, come abbiamo visto, sembrano premiare l'ente in maniera convincente.

In pratica, quello che si otterrà è la marginalizzazione degli astrofisici nel contesto della ricerca italiana, processo che plausibilmente non tarderà a mostrare i suoi effetti in termini di distribuzione di risorse, progettualità, ecc. anche in questo caso entro pochi anni. Ed anche in questo caso le cause di questo stato di cose sono complesse, ed insieme a difetti diremmo genetici della creazione dell'INAF, abbiamo senza dubbio errori strategici conditi probabilmente anche da una certa immaturità della comunità scientifica nel dibattere di temi che non siano solamente quelli tecnici del settore.

E quindi? 
La risposta alle preoccupazioni per il futuro purtroppo non l'abbiamo, e senza dubbio rimuovere il problema quasi che fosse in un certo senso irrituale discuterlo apertamente non aiuta. Il timore, solo in parte condivisibile, è che mostrare all'autorità politica la drammaticità della situazione del personale INAF ne possa indebolire la posizione in fase, appunto, di negoziazione di risorse e strutture. Si tratta comunque in ogni caso di una posizione di breve prospettiva, in quanto il problema è ormai ineludibile. La speranza è che velocemente si possa formare una nuova generazioni di scienziati, e di politici, che sappia riportare la scienza e gli scienziati, come anche in Italia in passato è stato, al centro dell'agenda per lo sviluppo del Paese.