martedì 20 settembre 2016

BeppoSAX: gli italiani lo fanno meglio

In pochi casi il cambio di decade che si ebbe fra gli anni '70 ed '80 fu così significativo anche al di là del puro cambio numerico. Realmente un periodo storico, un'epoca, era al termine ed un'altra cominciava, con l'usuale carico di contraddizioni. Gli anni '80, non solo in Italia, rappresentarono la chiusura di un periodo storico che vedeva nell'esasperazione dei contrasti ideologici la sua massima caratterizzazione, e l'inizio di un periodo di ripensamento, di disimpegno, ma anche di fuoriuscita da stereotipi e tabù che nel sentire comune erano diventati insopportabili. Con una felice metafora, certamente non equidistante ideologicamente, nel passaggio dagli anni '70 agli anni '80 simbolicamente si passò dal cupo grigio degli anni di piombo al colore delle televisioni commerciali. O, con un'enfasi di segno opposto, dagli inni di battaglia del punk-rock dei Sex Pistols alle spiagge caraibiche del duetto pop per eccellenza degli Wham.

In Italia, dal punto di vista politico, gli anni '80 hanno un protagonista indiscusso: il Partito Socialista Italiano, il PSI, guidato da Bettino Craxi, segretario dal 1976 al 1993. Questo movimento politico parte, anche se spesso in aperta polemica, della complessa galassia dei movimenti di ispirazione marxista divenne invece negli anni '80 il portabandiera di una visione del mondo quantomai opposta con convinte aperture verso concetti economici liberisti e verso la cultura imprenditoriale, il cosiddetto socialismo liberale

Dal punto di vista economico gli anni '80 sono stati anni per certi versi "ruggenti" per il nostro Paese. Una politica economica fortemente espansiva, condotta dai governi a guida Craxi e formati da quello che allora si chiamava pentapartito, portò ad anni di turbinoso sviluppo economico anche se, come apparve chiaro qualche anno dopo, non disgiunti da fattori di instabilità. Il debito pubblico infatti cominciò la sua ascesa vorticosa passando da circa il 60% del PIL nei primi anni '80 al 120% del PIL dei primi anni '90. E tuttavia le aziende italiane acquisirono mercati esteri e diventarono fortemente internazionali, ed in generale il Paese si mostrava effervescente e desideroso di lasciarsi alle spalle il passato di produttore di emigranti per sentirsi, a tutti gli effetti, una potenza economica di rilievo.

È quindi in questo scenario frizzante che, nel 1981, il Piano Spaziale Nazionale, un documento tramite il quale si voleva pianificare le attività legate al settore spaziale, non solo scientifiche, del Paese, prevedeva l'ambizioso obiettivo del lancio di un satellite scientifico nazionale. Due aspetti di questo passaggio vanno debitamente enfatizzati. Prima di tutto è bene ricordare che le ambizioni italiane in campo spaziale non erano affatto velleitarie. Anche se probabilmente ignoto a molti nostri connazionali, l'Italia, nel dicembre del 1964, è stato fra i primi paesi al mondo ad avere mostrato di possedere le capacità di lancio di un satellite in orbita, dopo naturalmente Stati Uniti ed Unione Sovietica. E, anche più importante, fu in grado con le attività della piattaforma di lancio San Marco di ottenere una percentuale di successi nei lanci assolutamente rimarchevole. D'altra parte è però altrettanto opportuno ricordare che l'impegno, non solo finanziario, per la programmazione, progetto, sviluppo, lancio e gestione di un satellite è di enorme portata. Si tratta di dover definire dei protocolli di azione che, specialmente qualche decennio fa, erano molto lontani dalle tipiche modalità di azione in campo scientifico. La necessità di pianificare una programmazione a lungo termine, lo sviluppo di una missione complessa può richiedere facilmente un decennio, il dover definire una opportuna catena gerarchica e di responsabilità, ed il combinare in maniera proficua il lavoro di persone dalla provenienza professionale molto diversificata rappresentavano, e rappresentano anche oggi, una sfida formidabile per qualunque "sistema".

Al bando risposero tre progetti, due per astronomia ai raggi X ed uno per osservazioni infrarosse, e dopo una breve fase di valutazione, nel 1982, quando l'Italia vinceva il suo terzo campionato mondiale di calcio, fu scelto il progetto vincente che risultò quello denominato come Satellite per l'Astronomia X (SAX). Con un nome che, effettivamente, più minimalista di così non poteva essere e che non sembrava rendere onore alla patria del design, cominciava un'avventura che si rivelerà lunga e spinosa, ma anche coronata alla fine da un successo epocale. Come commentato con soddisfatta ironia da Enrico Costa, uno degli scienziati più coinvolti nel progetto, in un'intervista a Govert Schilling, autore del libro "Flash!: The Hunt for the Biggest Explosions of the Universe", è noto a chiunque visitasse Roma che "gli italiani non erano in grado neppure di organizzare un bus dall'aeroporto"! Ma un osservatorio orbitale di prima grandezza evidentemente sì.

Il satellite SAX in fase di integrazione
Il progetto entrò quindi nelle fasi decisive di sviluppo e con l'aggiunta di una partecipazione olandese si trovò ad avere a disposizione un insieme di strumenti scientifici per le osservazioni nella banda X di prim'ordine, e per l'epoca mai realizzato prima. Le osservazioni ai raggi X erano, e sono, uno dei settori di maggiore ed impetuoso sviluppo della moderna astrofisica, e dopo i primi lavori, pionieristici ed in parte anche visionari, del futuro premio Nobel Riccardo Giacconi, le tecnologie erano ormai mature per un grande salto di qualità. I temi oggetto di studio del satellite erano quelli classici dell'astrofisica ai raggi X del tempo, come le corone stellari ed i nuclei galattici attivi  ma anche, con un'intuizione che si rivelerà vincente, i gamma-ray burst, allora ancora lontani da diventare uno degli argomenti di ricerca più caldi degli anni '90 e successivi.
I piani di lancio prevedevano lo stesso negli anni 1986 o 1987, obiettivo ambizioso ma necessario. Mantenere una missione spaziale pronta per il lancio, anche quando le fasi di studio, sviluppo, costruzione ed integrazione risultino concluse, presenta un costo rilevante. Esistono poi tutta una serie di questioni organizzative che portano a richiedere che i tempi di lancio siano il più possibile certi, ad esempio perché una parte importante del personale tecnico coinvolto nello sviluppo di una missione poi si dedica ad altri progetti e così via.

Ma per SAX le cose andarono diversamente, come per altro accade spesso per satelliti scientifici. Il vettore per il lancio doveva essere lo Space Shuttle, croce e delizia del sistema di lancio statunitense di quegli anni. Quello che doveva essere un sistema efficiente ed economico si rivelò senza dubbio efficiente, ma tremendamente costoso e, soprattuto, non affidabile. Nel 1986 infatti abbiamo il primo dei due grandi incidenti che hanno tristemente funestato la vita operativa delle navette. Il Challenger, poco dopo il lancio, esplose provocando la perdita dei membri dell'equipaggio ed il fermo di tutte le attività di lancio per più di due anni.

SAX in preparazione per il lancio
Per SAX questo fermo ebbe ripercussioni molto pesanti, mettendo seriamente a rischio la prosecuzione del progetto e la realizzazione della missione. E non fu solo per l'aggravio di costi, importante, dovuto al ritardo. Dovendo di fatto rinunciare all'utilizzo dello Shuttle si dovette riprogettare il lancio con un vettore Atlas-Centaur cosa che non deve essere pensata come un intervento di minimo spessore. Un diverso vettore implica un diverso profilo di lancio, con necessità di nuove analisi e verifiche termiche, dinamiche e vibrazionali. E non ultimo una nuova rilevante quantità di soldi per la gestione del tutto. Ma anche ritardi che portarono, nel 1993, il ministro per l'Università e Ricerca Scientifica Umberto Colombo, nel governo presieduto da Azeglio Ciampi, nel pieno della tempesta finanziaria che aveva colpito la Lira, e certamente su sollecitazione di parte del mondo scientifico, a chiedere una valutazione indipendente sull'opportunità di continuare con il progetto allo European Science Committee della European Science Foundation. Gli anni '80 si erano decisamente conclusi. A questo comitato il progetto fu presentato da tre scienziati: Livio Scarsi, Giuseppe Cesare Perola e Luigi Piro che, evidentemente, furono molto efficaci in quanto il comitato stesso raccomandò con convinzione il suo proseguimento.

Nel frattempo, già dal 1988 in effetti, era stata creata l'Agenzia Spaziale Italiana ed anch'essa compì una revisione interna del progetto nel 1993 con egualmente la conclusione che il progetto dovesse essere ancora supportato con convinzione. E fu così che quasi 15 anni dopo la sua prima ideazione, e circa 800 miliardi di lire di costo, nel 1996, poco dopo le elezioni politiche che videro la colazione dell'Ulivo guidata da Romano Prodi vincente di misura sulla coalizione di centro-destra,  SAX fu finalmente lanciato. E, come è d'uso in questi casi, fu ribattezzato dopo il lancio in onore di Giuseppe Occhialini, uno dei padri nobili dell'astrofisica delle alte energie in Italia, BeppoSAX.

Tanto travagliata è stata la storia del progetto pre-lancio quanto coronata da successi è stata la vita operativa del satellite. Una lista delle scoperte sarebbe lunga e per altro in rete si trova facilmente molto materiale a riguardo (ad esempio qui dei brevi commenti dal sito dell'ASI). Senza dubbio la parte del leone è stata rivestita dalle scoperte legate ai gamma-ray bursts con l'osservazione nel febbraio del 1997 del cosiddetto "afterglow", un'emissione successiva al lampo di alte energie vero e proprio e prevista teoricamente ma mai, prima di allora, chiaramente identificata. Da allora in avanti, a catena, una sequenza continua di scoperte che portarono, come scrive Luigi Piro in un interessante articolo che ripercorre la storia del progetto (qui, in inglese), a più di 1500 lavori scientifici pubblicati ed un'eredità che consacrò l'astrofisica italiana come entità di prima grandezza anche nell'esclusivo settore dell'astrofisica dallo spazio.

Nell'aprile del 2003, poco dopo dell'ingresso delle truppe americane a Bagdad nell'ambito di quella che è comunemente nota come Seconda Guerra del Golfo, BeppoSAX viene fatto rientrare in atmosfera in maniera controllata sopra l'Oceano Pacifico. Si conclude così una vicenda intricata, complessa, ma anche di grande successo, che ha attraversato tutti gli anni '80 e '90 per concludersi nei primi anni del nuovo millennio. E che ha contribuito alla formazione o alla definitiva affermazione di tutta una generazione di scienziati italiani che, grazie a SAX, hanno potuto godere del privilegio non comune di avere fra le mani il migliore e più avanzato strumento scientifico di un certo periodo storico.

Un'eredità impegnativa per un Paese che però proprio pochi anni dopo la fine della missione cominciava un rovinoso processo di disimpegno verso il mondo della ricerca scientifica e dell'università al quale ancora oggi non è stato posto rimedio.