venerdì 6 febbraio 2015

Vita sociale di osservatorio!

di Cristina Baglio.


Martedì, come previsto, mi sono recata agli uffici ESO di Vitacura, un'altra zona della città di Santiago. Qualche mese fa infatti, poco dopo aver saputo che mi erano state concesse 3 notti di osservazione al telescopio, mi hanno contattata dagli uffici ESO, chiedendomi se fossi interessata a tenere un seminario di 30 minuti sul mio lavoro. Avendo accettato, il mio soggiorno alla guesthouse di Santiago è stato prolungato di un giorno.
Gli uffici ESO di Vitacura distano una ventina di minuti in macchina dalla guesthouse, e sono estremamente organizzati. Mentre aspetto di parlare, su uno schermo nell'atrio scorrono immagini bellissime prese con i vari telescopi di La Silla e Paranal, i due principali osservatori ESO in Cile, intervallate dagli annunci dei vari seminari che si terranno nel mese di febbraio (il mio, senza farlo apposta, è annunciato su uno sfondo rosa shocking. Sarà perché sono una donna?).
La comunità scientifica di Santiago è molto giovane e, da quanto ho capito, molto variabile. Infatti ciascuno di loro deve periodicamente recarsi a uno degli osservatori per lavorare ai vari telescopi, e quindi i ricercatori spesso sono via. Ad ogni modo, c'era abbastanza gente da avere un pubblico sostanzioso (e curioso) al mio seminario, che quindi è andato piuttosto bene.

Mercoledì mattina di buon'ora mi sono recata all'aeroporto di Santiago insieme a David, un dottorando australiano che lavora a Ginevra e che ho conosciuto alla guesthouse. Infatti per raggiungere l'osservatorio di La Silla è stato necessario prendere un aereo per la città di La Serena, da cui poi con un autobus organizzato da ESO abbiamo potuto finalmente arrivare alla meta. Durante il viaggio in autobus, durato più di tre ore, abbiamo potuto ammirare l'oceano Pacifico da una parte, e il deserto dall'altra. Infatti, sebbene ancora non si possa parlare di deserto vero e proprio, tutto appare secco e sabbioso, con pochissime piante, in prevalenza cactus.
Non appena arrivata, ho fatto un giro per l'Osservatorio per iniziare ad ambientarmi. Le camere sono distanti dalla “zona giorno”, per permettere agli astronomi che dormono durante il giorno di riposare. Nella zona giorno invece ci sono la mensa, la lavanderia, la biblioteca, e persino una palestra e una sala da biliardo.
L'Osservatorio di La Silla è diverso da quanto avevo visto andando ad osservare a La Palma, alle Canarie, in quanto gli astronomi non devono recarsi direttamente al telescopio, ma si riuniscono tutti nella stessa stanza, chiamata control room, in cui ci sono tutti i computer necessari per mandare i comandi ai telescopi e per fare una prima analisi dei dati che si prendono.
La parte più bella dell'Osservatorio sono, ovviamente, i telescopi. Ce ne sono molti qui a La Silla, a partire dai più piccoli REM, lo Swiss telescope, ecc) fino ai più grandi: NTT e il 3.6 m.
Tutto il personale è molto gentile e attento, soprattutto con le donne: non mi hanno permesso di portare la valigia in camera e mi hanno accompagnata durante tutto il giro del posto, per esempio. Simona, un'amica di Milano che si trova a La Silla in questi giorni per lavorare al telescopio da 2.2 metri, mi racconta che questo è il comportamento che tutti assumono quando arrivano delle donne all'Osservatorio (cioè molto raramente: quando Simona se ne andrà, rimarro l'unica astronoma a La Silla).
Prima di cena, ho visitato lo Swiss telescope: un piccolo telescopio con un diametro di 1.2 metri, colorato con i colori della bandiera della Svizzera (rosso e bianco). Il primo giorno a La Silla si è concluso in un modo molto divertente: i ragazzi dello Swiss telescope, tra cui anche David, hanno preparato la fonduta! Una bella cenetta in compagnia prima che cali il sole, e quindi che chi deve osservare debba recarsi nella control room (non è il mio caso, visto che le mie osservazioni dovranno aspettare fino a venerdì per iniziare).

martedì 3 febbraio 2015

Finalmente a Santiago del Cile

di Cristina Baglio!

Eccomi di nuovo in partenza, e questa volta per una meta – se possibile – ancora più bella ed esotica: il Cile

Il telescopio ESO "NTT"
Tutto è iniziato quando, qualche mese fa, ho scritto con l'aiuto dei miei supervisors un proposal a ESO per ottenere alcune notti all'NTT (New Technology Telescope), a La Silla. Sono stata ovviamente molto felice quando mi hanno comunicato di aver accettato la mia richiesta, anche se sapevo che avrebbe significato il dovermi fare un bel viaggio da sola, che è una cosa che normalmente mi spaventa molto (e in effetti è stato così anche questa volta). Per contestualizzare, NTT si trova a La Silla, che è uno dei siti mondiali migliori per effettuare osservazioni (nonché il primo sito scelto da ESO per costruire il proprio osservatorio). Si trova infatti a sud del deserto dell'Atacama, sulla montagna Cerro La Silla (2400 m di altitudine), il che lo rende un posto con scarsissima umidità, caratteristica fondamentale per poter ottenere dei buoni dati. NTT e un telescopio da circa 4 metri (3.58 m), gemello del Telescopio Nazionale Galileo (TNG) delle Canarie, e permette, grazie agli strumenti EFOSC2 e SOFI, di effettuare osservazioni (fotometria , spettroscopia e polarimetria) nelle lunghezze d'onda ottiche e infrarosse, il che lo rende perfetto per i miei scopi. Infatti la mia idea è quella di cercare l'emissione di getti relativistici di particelle da sistemi binari X persistenti di piccola massa, ovvero binarie in accrescimento contenenti un oggetto compatto (una stella di neutroni o un buco nero di massa stellare) e una stella di sequenza principale. Se questi getti vengono prodotti, la radiazione emessa dai sistemi binari può risultare intrinsecamente polarizzata fino a livelli di qualche per cento in ottico (e anche di più in infrarosso); per questo motivo, per 3 notti a partire da venerdì 6 febbraio, cercherò di osservare alcuni sistemi binari X con tecniche di polarimetria, sperando di poter contribuire ad aumentare quello che oggi si conosce (poco) sull'emissione di questi getti. 

Comunque, dopo un viaggio molto faticoso (circa 26 ore in tutto) sono finalmente arrivata alla guesthouse ESO di Santiago del Cile, un posto decisamente accogliente. Dall'aspetto sembrerebbe una villetta, con un bellissimo giardino, una piscina all'aperto, fiori... Ci sono pochissimi ospiti in questo periodo dell'anno (qui è come se fosse agosto in Italia, per intenderci), quindi sto riuscendo a conoscere un po' tutti. Come al solito, sono la più giovane, quindi gli altri ospiti si stanno prodigando in consigli di ogni genere (da cosa sia meglio mangiare/bere qui a Santiago a cosa fare quando sarò al telescopio). 

Domani mi recherò agli uffici ESO di Vitacura, qui vicino, dove conoscerò la comunità scientifica del luogo, e avrò anche l'occasione di parlare del mio lavoro in un seminario di mezz'ora che mi hanno chiesto di tenere in mattinata. 
Tutto promette molto bene insomma. A presto per altri aggiornamenti dal Cile!

lunedì 2 febbraio 2015

Viaggi astronomici

Qualche tempo fa (qui) abbiamo parlato di come si svolgono le attività osservative per gli astronomi. E lo abbiamo fatto seguendo una campagna osservativa alle Canarie di una giovane dottoranda milanese, Cristina Baglio.

Effettivamente, come abbiamo più volte ricordato, il compiere osservazioni con un telescopio è una prerogativa di solo una  "sotto-famiglia" di astrofisici, quelli che si occupano di osservazioni con telescopi ottici. Ma ci sono astrofisici specializzati nell'utilizzo di strumentazioni pensate per altre lunghezze d'onda, dal radio alle altissime energie, così come anche persone più legate alle problematiche teoriche, al calcolo numerico, ecc. E, per la verità, nella moderna astrofisica molto spesso queste separazioni sono solo simboliche, la moderna ricerca richiede un approccio "aperto", e le tecniche osservative ed interpretative diventano parte di un unico percorso cognitivo.


Sia come sia, è comunque vero che gli astronomi osservativi che lavorano con i grandi telescopi ottici hanno spesso la possibilità visitare alcuni dei luoghi più affascinanti del pianeta. I moderni telescopi sono infatti inevitabilmente situati in zone lontane da ogni forma di inquinamento luminoso, in aree remote e scarsamente popolate. Dai deserti del sud America alle cime dei vulcani delle isole Hawaii. 

E senza dubbio questi viaggi rappresentano una delle fasi più importanti della vita professionale di un astronomo. L'organizzazione delle osservazioni, la necessita di acquisire dimestichezza con strumentazioni sofisticate, ed in generale la gestione delle attività dove ogni minuto di "tempo telescopio" è prezioso definiscono un'interessante insieme di operazioni che possono sollevare la curiosità anche del grande pubblico di appassionati.

Ed a questo scopo, approfittando di una nuova missione osservativa di Cristina, questa volta verso l'emisfero sud, ed esattamente verso l'Osservatorio Astronomico di La Silla, proponiamo un nuovo "diario di viaggio". Seguiremo cioè Cristina durante la sua missione in modo da guadagnare una veduta privilegiata sulla vista professionale di un giovane astronomo alle prese con aspetti complessi ma anche affascinanti del suo lavoro.

Mentre scriviamo queste righe Cristina è in procinto di arrivare a Santiago del Cile da Milano. A breve quindi avremo il piacere di seguire le sue "cronache".



 


venerdì 14 novembre 2014

Comete, spese, e PIL

Il 12 novembre abbiamo seguito con trepidazione l'"accometaggio", concediamoci un simpatico  neologismo, della sonda Philae sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. L'interesse, quasi si potrebbe dire l'entusiasmo, del grande pubblico per l'evento è stato palpabile. In Italia come nel resto del mondo. E certamente si è trattato di un'impresa dal punto di vista ingegneristico oggettivamente eccezionale.

Una delle prime immagini dal "suolo" cometario inviate da Philae
Oggi stiamo ricevendo informazioni un po' più dettagliate ed elaborate. Sappiamo che l'atterraggio non è stato per nulla semplice, e che la sonda ha probabilmente rimbalzato in qualche occasione, ma che appare essere in buone condizioni. Una delle prime immagini inviate a Terra dalla sonda, in cui si vede una delle gambe della stessa con in primissimo piano il terreno cometario, ha degli aspetti persino commoventi.
Commoventi, dico, sia per la suggestione del pensiero di questo oggettino costruito dall'uomo, a mezz'ora luce da Terra, che lavora su un corpo celeste rimasto indisturbato dai tempi della formazione del sistema solare. Ma anche per il pensiero del lavoro di tante persone che per lungo tempo ha accompagnato questa missione. Pensata verso la fine degli anni '80, sviluppata nella seconda metà del decennio successivo e lanciata nel 2004. E quindi in volo nello spazio da un decennio e, tramite orbite accuratamente calcolate, arrivata all'appuntamento con la cometa. Ingegneri, tecnici, scienziati di varie estrazioni, al lavoro in un contesto soprannazionale frutto della cooperazione europea. Philip Dick componeva, qualche anno fa, il famosissimo romanzo "do androids dream of electric sheep?" (in italiano, "il cacciatore di androidi"). Viene da pensare, giochiamo senza inibizioni per un po', se il robottino sulla 67P aveva pensieri suoi quando, atterrando, si è trovato a rimbalzare e rotolare sulla superficie della cometa!

Europa ieri e oggi...
Tornando seri, oggi, nel pieno sviluppo di una crisi economica che si è trasformata, o è sempre stata, in una crisi sociale, culturale, di principi e valori, e che inevitabilmente dovrebbe portarci a porci delle domande importanti sul nostro stile di vita e modello di sviluppo, appare quasi retorico ricordare cosa non molti decenni fa l'Europa è stata. A fianco possiamo vedere una composizione fotografica, certamente retorica, ma non priva di significato, che mostra un terreno sfregiato da buche di artiglieria o bombardamento. L'Europa della Grande Guerra, 100 anni fa. E il rendering pittorico di Philae sulla cometa, esempio indiscutibile di dove la cooperazione internazionale può portare. La cooperazione di noi tutti.

Ma, esattamente, fuor di retorica, dove è che siamo arrivati? Senza dubbio tutto questo è scenografico ed anche affascinante, ma ne vale la pena, in un continente flagellato da disoccupazione, debiti incombenti, movimenti xenofobi, ed in generale da una diffusa e percepibile sensazione di sfiducia e di disastro imminente? Ha senso spendere una marea di soldi quando si tagliano le spese dei servizi in ogni settore? Domande non solo non-retoriche, ma direi persino doverose.

A riguardo, alcuni conoscenti mi hanno segnalato questo servizio giornalistico. Guardatelo, è fortemente sintomatico. Ora, vorrei evitare di cadere nella sterile polemica politica interna, non è rilevante in se. Dalla stessa testata sono arrivati servizi molto migliori su questa impresa. Ma questo servizio specifico, che nelle intenzioni voleva probabilmente essere "leggero", di "costume", con un occhio strizzato all'uomo della strada che ha ben altri problemi a cui pensare, è riuscito ad inserire in pochi minuti una vera "summa" di dove la pochezza di pensiero, la superficialità, e presunzione stanno rischiando di portarci. Un esempio di anti-giornalismo, i cui danni nei riguardi della pubblica opinione, che ha ben diritto di chiedersi come vengono spesi i soldi delle proprie tasse, sono potenzialmente enormi. 

Quanto costa Rosetta?
Tuttavia, come si diceva, magari in maniera goffa e dozzinale, il servizio in questione ha portato alla luce domande che senza dubbio una parte almeno dell'opinione pubblica si pone. Discutiamone quindi con calma.
Innanzitutto il costo della missione è stato (è...) ovviamente rilevante. Si tratta, cifra tonda, di qualcosa vicino a 1,4 miliardi di Euro. Per avere un'idea si tratta di una cifra comparabile allo 0,1% del prodotto interno lordo (PIL) del nostro Paese in un anno. La cifra però ovviamente va distribuita per tutta la durata, inclusa la fase di sviluppo della missione, e divisa per i contribuenti europei. Non è difficile calcolare che, quindi, per ogni cittadino europeo la missione Rosetta sia costata qualcosa tipo 3-4€. Meno, molto meno, di un cinema in grossomodo vent'anni di lavoro. O, se volete, pochi decimi di Euro per anno. E con questo capitale si è costruito tutto. La potenza delle collaborazioni è che rende possibile con un carico finanziario davvero modesto per i cittadini imprese di grande portata come queste, e come molte altre.

Tuttavia, sebbene l'avere coscienza di quanto le attività spaziali scientifiche costino in realtà pochissimo nel budget complessivo aiuti a porre la questione in una prospettiva corretta, la cifra in se non esaurisce la discussione. La questione è che per quanto piccola sia la spesa, queste cifre vengono tolte ad altri capitoli di spesa potenzialmente più urgenti o rilevanti. É meglio mandare un robottino su una cometa o dare una migliore assistenza domiciliare a degli anziani? O garantire un supporto a famiglie in difficoltà economica? O ad una qualunque delle attività sociali mai sufficientemente apprezzate e finanziate?

L'argomento è complesso, a rischio perenne di derive demagogiche di cui, per altro, i parlamenti nazionali ed europei conoscono bene gli effetti. Ma in ultima analisi può essere presentato in maniera semplice. E la risposta è chiara: vale la pena sempre di investire in conoscenza ed innovazione, ed il confronto con le esigenze primarie immediate è ingannevole.

Vediamo però di capire perché con una serie di ragionamenti semplici e non tecnici, avvertendo che su queste pagine abbiamo trattato di queste temi in varie forme più volte in passato (informatica, istruzione, grandi infrastrutture scientifiche, cultura, ecc.). Il punto chiave di tutto il ragionamento è comprendere innanzitutto che per poterci permettere tutti i servizi di cui abbiamo bisogno, e che lo Stato direttamente o indirettamente è delegato ad elargire, è necessario avere a disposizione le risorse finanziarie per farlo. Sembra una banalità, ma non lo è per nulla. Il gratuito, in realtà, non esiste. Nemmeno il prezioso ed encomiabile servizio di volontariato. I servizi richiedono competenze, strutture e spesso tecnologia, e tutto questo costa. Uno dei pregiudizi più diffusi, ovviamente basati sull'enorme cumulo di ingiustizie con cui quotidianamente abbiamo a che fare, è che se le risorse fossero meglio distribuite... "ce ne sarebbe per tutti". Tutto questo non è privo di logica, è un fenomeno ben noto in economia, dove una adeguata politica fiscale che guidi una redistribuzione dei redditi di vario genere porta ad economie più efficienti e competitive. Ed al contrario, dove le differenze fra i primi e gli ultimi della classe sono eccessive, di solito anche le strutture economiche sono inefficienti. Ma in sostanza, fatto salvo che una maggiore equità sarebbe un grande passo avanti in tutti i sensi, per avere le risorse per poter fornire i servizi che sempre in maggiore intensità sono richiesti bisogna avere un'economia in grado di produrle. E non è certo una grande scoperta che le risorse vengono create tramite il lavoro. Ed a questo punto la domanda si trasforma sul come si può fare a rendere il lavoro più produttivo. E la risposta la sappiamo da sempre. C'è necessità di innovazione tecnologica e di sviluppo di competenze tecniche. In pratica, se vogliamo avere aziende che producono reddito è necessario che queste aziende, in qualunque settore, siano in grado di competere sul mercato globale (altrimenti chiudono... mi pare ne sappiamo qualcosa in Italia). E se questa competizione non vogliamo che la si conquisti con politiche di contenimento salariale, cosa che per altro sta avvenendo da tempo in tutta Europa, l'unica alternativa è quella della formazione e dello sviluppo tecnologico. Quindi da qui l'importanza primarie della scuola di ogni ordine e grado e della ricerca scientifica. Un robottino sulla cometa potrà dare risposte che i planetologi cercano da tanto, ed aumentare il nostro livello di conoscenza e consapevolezza. Temi che non è possibile quantificare realmente nella loro importanza fondamentale. Ma anche se fossimo, contrariamente all'Ulisse dantesco, "fatti come bruti" e conseguire virtù e conoscenza non ci interessasse più di tanto, avere mandato Philae a mezz'ora luce dalla Terra ha permesso a generazioni di ingegneri di acquisire le competenze ed esperienza per risolvere problemi complessi. Pensate alle questioni di navigazione, elettronica, comunicazioni, generazione di energia. Per non parlare delle competenze nell'organizzazione di lavori in contesti complessi e multi-nazionali, il cosiddetto management. E queste competenze non rimangono nell'ambiente scientifico. Gli scienziati, nelle Università ed Enti di Ricerca, formano studenti, laureandi e dottorandi, e questi portano le loro competenze nel mondo del lavoro. E le aziende che sanno valorizzare queste competenze, ce ne sono molte più di quanto si pensi anche in Italia, sono in grado di offrire capacità produttive di altissimo valore aggiunto. Ovvero, perdonate la brutalità, fanno guadagnare molti soldi...

Il punto è che l'importanza della competenza specifica, il "know-how" come dicono gli anglosassoni, non viene chiaramente percepita nella quotidianità. Può sembrare, ingannevolmente, che basterebbe ad esempio un po' più di buon senso e magari di onestà per sistemare tutto. Questi sono certamente  requisiti di base, ovvero non se ne può fare a meno, ma su quelli va costruita una struttura di formazione e valorizzazione che richiede grandi imprese scientifiche e tecnologiche.

In buona sostanza, le grandi imprese scientifiche (ma non solo) permettono di convertire con grande efficienza i finanziamenti pubblici in competenze che tornano al mondo industriale ed imprenditoriale, e più in generale alla società. La collaborazione europea, sulla quale si dovrebbe essere molto più cauti nel celebrare giudizi dozzinali con leggerezza, ha permesso alle economie europee di crescere e produrre ricchezza e benessere. E, per dirla in breve ma in maniera efficace, ogni soldo speso per la grande (ma anche piccola) scienza, ne produce molti di più. Badate che si tratta di un tema che è stato studiato seriamente, e che si potrebbe in altra sede quantificare in termini di resa dell'investimento (fra il 20 ed il 50%). Permettendo, qui ovviamente semplifico un po', di finalmente chiudere il cerchio che unisce Philae sulla cometa ed i nostri anziani che hanno bisogno di assistenza sanitaria specializzata.

Tagliamo le prime, ci dobbiamo scordare anche le seconde.




mercoledì 12 novembre 2014

E quindi è arrivato il gran giorno!

Personalmente non sono un planetologo, vale a dire non appartengo a quella categoria di astrofisici che si occupa di pianeti e, in senso esteso, di tutti i corpi "minori" del Sistema Solare. Anzi, a dire il vero, dovremmo dire dei sistemi solari, al plurale, visto che abbiamo ormai evidenza di circa un paio di migliaia di pianeti intorno ad altre stelle, i cosiddetti eso-pianeti. Ed il loro numero è in continuo e rapido aumento.

Mi occupo, al contrario, di oggetti cosmologici, le cui distanze si misurano in miliardi di anni luce, e non in unità astronomiche! Però per oggi almeno, le padroni della scena sono loro: le comete! Oggetti di taglia molto ridotta, una decina di km di lunghezza, grossomodo, con forme irregolari. 

La cometa 67P/Churyumov-Garesimenko fotografata dalla sonda Rosetta
Il grande evento è, immagino, conosciuto anche ai non addetti ai lavori. Oggi da una sonda, Rosetta, si distaccherà un piccolo oggetto, il "lander", chiamato "Philae", che in circa 7 ore dovrebbe depositarsi dolcemente sulla superficie della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko! Nel momento in cui sto scrivendo queste note Philae si sta distaccando dalla sonda madre, Rosetta.

Motivi per studiare le comete in effetti ce ne sono moltissimi, si tratta di oggetti la cui formazione risale agli albori del sistema solare, ed è ampiamente possibile che una parte importante dell'acqua del nostro pianeta sia stata dovuta ad un gran numero di impatti cometari nelle prime fasi di formazione della Terra.

Però quello a cui oggi stiamo per assistere è anche uno straordinario evento ingegneristico. La cometa sui cui si appoggerà Philae, come si vede anche abbastanza bene nelle immagini diffuse dall'ESA, è formata da due grosse strutture di qualche km di dimensione, ed è quindi un corpo dalla ridottissima gravità superficiale. Tuttavia è anche un oggetto in rapida rotazione, ha un periodo di circa 12 ore. Di conseguenza portare la piccola sonda a contatto del suolo cometario dolcemente, ed evitare che rimbalzi via o si scontri in maniera brusca è tutt'altro che un compito agevole.
Se pensiamo che Rosetta è stata lanciata nel 2004, dieci anni fa, e per tutto questo tempo è stata sottoposta all'ambiente decisamente non amichevole dello spazio interplanetario le preoccupazioni dei tecnici che guidano questa missione sono ben comprensibili.

Il cortile interno del palazzo della Pinacoteca di Brera
Si potrebbe scrivere a lungo sulle comete, dalla formazione ad evoluzione, al loro ruolo nella cultura e letteratura, ecc. Tuttavia, quale occasione migliore di questa per invece parlarne dal vivo? Oggi pomeriggio, grossomodo dalle 16 fino a poco prima delle 18, l'"accometaggio" è previsto intorno alle 17 ora italiana, nella magnifica sede del Palazzo di Brera, a Milano, alcuni colleghi dell'Osservatorio Astronomico di Brera, ed il sottoscritto, si troveranno con il pubblico per seguire in diretta il susseguirsi degli eventi ed interagire con il pubblico e gli appassionati.

Appuntamento quindi oggi pomeriggio a Brera, per un pomeriggio cometario!



lunedì 6 ottobre 2014

Fantascienza d'annata!

Ricordo uno spot pubblicitario degli anni '90, mi pare, che vedeva un tizio abbastanza carismatico con degli occhiali a specchio, sui quali venivano proiettate delle figure luminose in rapido movimento, che diceva: "potevamo stupirvi con effetti speciali ma noi siamo scienza, e non fantascienza"! E poi continuava pubblicizzando non ricordo cosa...

Qualche settimana fa, invece, il presidente dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), Giovanni Bignami, ospite di una trasmissione televisiva, discuteva ovviamente di temi di divulgazione astronomici. Ad un certo punto il conduttore accennò ad un argomento legato alla fantascienza cercando però come di scusarsi per la commistione fra scienza e fantascienza, evidentemente pensata essere quasi offensiva per uno scienziato di professione. Al contrario Bignami invece, brevemente, spiego come la fantascienza, la fantasia in generale, possa essere una compagna di viaggio di uno scienziato senza che le due cose generino contraddizioni, se non addirittura alimentandosi positivamente a vicenda.

Basterebbe magari citare il caso di Fred Hoyle, prolifico e talentuoso scienziato ma anche autore di fantascienza di gran livello. E ce ne sarebbero volendo molti altri, in alcuni casi scrittori di professione con formazione o passato da scienziati professionisti (ad esempio Isaac Asimov) o scienziati prestati alla professione di narratore come il collega Valerio D'Elia, dell'Osservatorio di Roma, recente autore de "La Prole di Adec".

Però la scusa per questo lungo incipit è in realtà solo per segnalarvi quello che, di recente "dissotterrato" dagli archivi da appassionati cinefili, è probabilmente il più vecchio film di fantascienza italiano mai realizzato. Si tratta di "Matrimonio interplanetario", del 1910. Disponibile ad esempio qui (o qui)!

Un fotogramma di "Matrimonio interplanetario".
La storia è quantomai improbabile, ma anche simpatica. In pratica un gaudente astronomo terrestre si invaghisce di una principessa marziana e, tramite varie fasi che non divulgo per non togliere la sorpresa,  alla fine la coppia celebrerà un nobile matrimonio simbolicamente in campo neutro, sulla Luna! Sono una dozzina di minuti di film muto, 5 anni dopo la morte di Jules Verne, e 45 dalla pubblicazione di "Dalla Terra alla Luna" di cui si percepisce chiaramente l'influenza.

Di solito l'ambito titolo di "primo film di fantascienza" della storia viene attribuito al famoso "Le Voyage Dans La Lune", direttamente preso dal racconto di Verne, che risale a soli 8 anni prima, il 1902. Anche in questo caso la pellicola (qui) è breve, una decina di minuti, ma con un po' di comprensione per l'epoca risulta ancora godibile. 

Se siete appassionati, ovvio!




venerdì 3 ottobre 2014

Estinzioni...

Abbastanza spesso, in astrofisica, ci si imbatte in lavori che cercano di determinare se alcuni degli eventi che conosciamo accadere nello spazio possano avere causato alcune delle estinzioni che sappiamo essere avvenute nel corso della storia della vita biologica sul nostro pianeta.

Andiamo dal tema, noto e ben fondato, della caduta di asteroidi sulla Terra, a quelli non meno intriganti, o inquietanti se vogliamo, degli effetti di una esplosione di una supernova nelle vicinanze del sistema solare o, più di recente, di un gamma-ray burst (GRB).

Per quanto riguarda la caduta di asteroidi il tema è in realtà legato alla valutazione precisa degli effetti, alla probabilità di caduta in futuro, e alla ricerca di tracce fossili di eventi nel passato. Anche solo guardando la superficie della Luna con un piccolo telescopio è immediato rendersi conto che il bombardamento meteorico, almeno nel passato della vita del sistema solare, è stato intenso. È se questi oggetti hanno impattato sulla Luna non ci sono ragionevoli dubbi sul fatto che anche la Terra è stata sottoposta allo stesso trattamento. E, a dire il vero, si conoscono diversi crateri da impatto sulla superficie del nostro pianeta. Per chi fosse interessato ad un approfondimento di questo tema Alessandro Manara, collega dell'INAF / Osservatorio Astronomico di Brera, ha pubblicato un interessante libretto divulgativo dal titolo molto evocativo: "La Terra nel mirino".

Invece se si passa a considerare eventi esterni al sistema solare, come appunto le supernove, non ci sono molti dubbi che eventi del genere possano essere distruttivi per la biosfera terrestre. Il punto è però valutare la distanza a cui l'evento deve accadere per avere effetti importanti, la probabilità, ecc. Esiste una svariata pubblicistica seria sull'argomento, per non parlare di un'infinità di materiale di qualità più o meno dubbia. Invece eccellente, ma esplicitamente sul lato "fantasy", e meritorio di una citazione, è l'intrigante racconto di fantascienza di Arthur C. Clarke (sì, quello di "Odissea 2001 nello spazio"!) dal titolo di "La stella". Si tratta della storia di un'esplorazione terrestre su un lontano pianeta su cui si trovano i resti di una civilta che è stata distrutta dall'esplosione del loro sole come supernova. Uno degli scienziati scopre, all'apice del racconto, che calcolando il tempo di propagazione della luce dell'esplosione la stella di Betlemme, la guida secondo la tradizione dei Magi, era proprio l'eco lontano dell'esplosione di questa supernova. Ingenerando quindi un interessante paradosso scenico fra l'apparizione della stella dei Magi, e la drammatica distruzione di una civiltà, nella realtà costituite dallo stesso fenomeno.

Più recente, invece, è l'ingresso nell'ambito club dei potenziali portatori di apocalisse dei GRB. A differenza dell'esplosione di supernove, i GRBs hanno la caratteristica di colpire per un tempo molto inferiore ma intensità proporzionalmente superiore, e si tratta in ogni caso di un fenomeno intrinsecamente molto più raro. Tuttavia la combinazione della molto maggiore distanza a cui l'essere investiti da un GRB potrebbe essere letale e della più bassa probabilità ha generato un risultato in parte  sorprendente: nella passata vita della Terra esiste una elevata probabilità che il nostro pianeta sia stato investito da un evento del genere (cosa che non implica però certezza...), e circa il 50% di probabilità che questo sia accaduto negli ultimi 500 milioni di anni. 
Ciò che rende questi risultati anche più suggestivi è che sono stati di recente pubblicati da uno dei padri nobili della teoria interpretativa più diffusa per i GRB: lo scienziato israeliano Tsvi Piran. Il lavoro è liberamente scaricabile qui. Si tratta di un articolo molto tecnico, naturalmente, ma essenzialmente si basa sul fatto che in passato i GRB erano notevolmente più frequenti che nell'universo attuale, e considerando l'evoluzione che oggi in parte consciamo della dimensione tipica delle galassie, si arriva alla sconcertante conclusione che a causa dell'effetto distruttivo dei GRB sull'ecosfera di un pianeta di tipo terrestre la vita (come noi la conosciamo) è molto improbabile che si possa essere sviluppata nelle parti interne delle galassie come la nostra, ma diventa invece possibile nelle zone periferiche. Dove, non a caso quindi, secondo questa idea, il nostro sistema solare si trova. Ma c'è di più. Dal momento che la nostra galassia è piuttosto massiccia ed estesa, la gran parte delle galassie dell'universo è di taglia molto più ridotta della nostra, gli autori di questo lavoro calcolano che solo il 10% delle galassie sono in grado di ospitare la vita (come noi la conosciamo). La gran parte delle galassie dell'universo sarebbe stata dunque "sterilizzata" dai GRB! 

Sebbene lo studio provenga da scienziati di indubbia reputazione non c'è dubbio che il dibattito si sia acceso con ampi schieramenti di scettici e favorevoli. Abbiamo infatti ancora una conoscenza parziale di diversi degli ingredienti dello studio, per cui siamo ben lontani dal poter proporre una visione esente da critiche sostanziali.
Rimane comunque piuttosto suggestivo il vedere come il progredire delle conoscenze astrofisiche leghi sempre più l'esistenza della vita sul nostro pianeta ad eventi e fenomeni ad esso fisicamente  remoti ma evidentemente connessi.

Un argomento di riflessione certamente non privo di fascino.