venerdì 17 maggio 2013

Scienza e pubblicità

Ovvero i complessi rapporti che intercorrono fra la pubblicizzazione dei propri risultati, il legittimo desiderio che questi siano noti magari anche al grande pubblico, e l'esigenza di accuratezza e rigore che è tipico dell'attività scientifica.

Non è un mistero che questi rapporti siano complessi e spesso burrascosi. Nella realtà lo sono spesso da diversi punti di vista, quelli dei vari attori di questa vicenda. Per gli scienziati è difficile comunicare ed essere compresi, spesso con la precisa sensazione che la controparte dei media punti solo alla frase ad effetto con tanti saluti per l'accuratezza. E con, anche abbastanza spesso, anche il risultato di diventare oggetto di ironia dei colleghi. 
Ma anche da parte dei media la relazione con gli scienziati è spesso difficile. Si ha un po' la sensazione di avere a che fare con dei bambini viziati ed egocentrici che pensano che i tempi stretti della comunicazione mediatica così come l'esigenza di raggiungere un pubblico più ampio possibile valgano per tutti tranne che per loro.

E' in effetti anche per queste ragioni che praticamente tutti gli enti di ricerca si sono dotati di personale con competenze di tipo giornalistico e solida preparazione scientifica, sull'esempio, manco a dirlo, delle principali istituzioni scientifiche americane dove la pratica della comunicazione scientifica è una disciplina di rango universitario praticamente da sempre.

I risultati di questi cambio di attitudine sono in effetti spesso buoni. L'Istituto Nazionale di Astrofisica, per esempio pubblica periodicamente dei notiziari che contengono notizie, interviste, materiale audiovisivo, ecc. che sembrano godere dell'apprezzamento del pubblico. Ed in generale lo stesso vale anche per gli altri enti di ricerca italiani e stranieri. Sicuramente fra gli appassionati molto note sono le pagine dell'Osservatorio Europeo dell'Emisfero Sud e delle Agenzie Spaziali Italiana ed Europea.

Tuttavia non sempre, è bene dirlo, la comunicazione scientifica verso il grande pubblico rispetta quei criteri che l'attività scientifica, in quanto tale, dovrebbe implicare. Senza dubbio, per lo meno su tempi abbastanza lunghi, è difficile millantare risultati e scoperte in ambito scientifico, almeno per le scienze di base. La stessa metodologia scientifica, indipendentemente dalla qualità delle persone coinvolte, fornisce gli anticorpi con i quali la truffa o almeno il millantato credito possono essere combattuti e per lo più anticipati. Quando però si parla con il pubblico il dialogo diventa a senso unico, e per natura stessa della comunicazione specialistica chi riceve il messaggio non ha strumenti per valutarne se non la veridicità almeno magari la portata. 

Ed è così che sulla stampa generalista appaiono mirabolanti scoperte a giorni alterni. Cure per ogni genere di malattia a portata di mano, tecnologie futuristiche già in corso di sperimentazione, soluzioni a quasi ogni problema che attanaglia il nostro pianeta. Dal riscaldamento globale all'inquinamento, la fame di energia, ecc. E, ovviamente, il vero dramma di tutto questo non sta nella voglia di protagonismo di qualche scienziato o magari nella superficialità di qualche giornalista, ma nel fatto che una comunicazione scientifica non curata a dovere in determinati settori può ingenerare aspettative nel grande pubblico talvolta molto pericolose. Il dibattito sulle cure a base di cellule staminali in corso nel nostro paese, e per la verità in tutto il mondo, ne è un esempio lampante.

Ma anche lo scenario senza dubbio meno critico delle scienze di base non è esente da questo fenomeno.  Dico meno critico perché se spaccio oggi l'ennesima scoperta di un pianeta extrasolare, siamo ormai andando veloci verso il migliaio, come una rivoluzione dell'astrofisica non succede poi nulla di veramente grave per chi riceve questa notizia senza filtro. Tuttavia il fenomeno esiste. Nell'opinione pubblica rimane forte l'idea che chi si occupa di scienza sia in qualche modo abbastanza speciale, magari anche dal punto di vista etico. Piace l'immagine dello scienziato al di fuori degli interessi di bottega e dedito solo alla conoscenza. E, sebbene alcuni di questi aspetti non siano indegni di considerazione, va detto che nella realtà nessuna delle meschinità umane è sconosciuta alla comunità degli scienziati. Di ogni parte del mondo. Gelosie, carrierismi, prevaricazioni, disonestà di vario livello, ecc. Abbiamo ampia familiarità con tutto quanto anche se, anche questo è vero, come si accennava all'inizio, la metodologia scientifica in quanto tale offre in ogni settore strumenti e protocolli per tenere sotto controllo questi fenomeni.

E' insomma difficile ingannare colleghi scienziati a lungo. Ma quando si presentano risultati al grande pubblico, e magari anche a politici ed imprenditori, ovvero un pubblico non generalista ma comunque senza competenze specifiche, il rischio del vendere fumo senza arrosto esiste. Ed è forte. Se poi lo scopo della comunicazione è magari quello di impressionare gruppi di possibili finanziatori entriamo in un regime estremamente sdrucciolevole.
Il caso, di questi giorni, in cui in un comunicato stampa un gruppo di ricerca si attribuisce la paternità di una scoperta mai avvenuta prima in astrofisica, con tanto di plauso pubblico del ministro competente, richiede una profonda riflessione a tutta la comunità scientifica. Si tratta, purtroppo, diciamolo chiaramente,  di millantato credito. Non tanto per l'argomento in se, più che degno di discussione e di coinvolgere visioni non canoniche, ma per le modalità che più che ad informare sembrano indirizzate a convincere. Quando la comunicazione scientifica prende a prestito la parte più deteriore della comunicazione commerciale è un chiaro segno di degenerazione del sistema. Ed al ministro Carrozza auguriamo di scegliere i suoi consiglieri con maggiore saggezza.

venerdì 29 marzo 2013

Mappe Stellari

Devo riconoscere che le mappe hanno sempre esercitato un certo fascino su di me. Presumo come conseguenza di qualche lettura di formazione, cose tipo l'Isola del Tesoro, o chissà cos'altro. Fatto sta che, già adolescente, mi feci regalare da mio padre una delle cartine topografiche dell'Istituto Geografico Militare, il famoso IGM, che raffigurava la zona in cui vivevo allora. E ricordo con divertimento, un po' nerd, non lo nego, i tentativi di allineare la mappa con una bussola, misurare l'azimut delle varie strutture visibili per determinare la posizione. Riconoscere le colture, i sentieri nei campi, ecc. 
Si dirà che si tratta di giochi fantasiosi da adolescente sognatore. Vero. Però tutt'ora conservo sull'harddisk del computer, da qualche parte, una bella mappa galatica della Federazione dei Pianeti della saga di Star Trek dove si possono ammirare le estensioni dei territori Klingon e Romulani, oltre che, naturalmente, federali. E questa risale a molti meno anni fa'...

Ebbene, a che pro questa introduzione da provetto geografo? 

Il fatto è che anche gli astronomi più cresciuti si dilettano di cartografia. E se effettivamente l'obiettivo è spesso la nostra galassia, la Via Lattea, o addirittura la vicinanza solare, talvolta si guarda più lontano e si cerca di costruire mappe della distribuzione di galassie in porzioni quanto più ampie possibile di universo.

Uno dei risultati pià recenti, ed affascinanti, di questo fervore cartografico è stato pubblicato di recente, e si tratta dei risultati, ancora parziali a dire il vero, di una survey denominata VIPERS: ovvero VIMOS Public Extragalactic Redshift Survey. Si tratta infatti di un poderoso sforzo che ha visto un ampio team internazionale impegnato per anni, e che lo sarà ancora a lungo, per ottenere misure di spostamento verso il rosso, il redshift, per quante più galassie possibile entro determinati criteri a distanze corrispondenti a periodi in cui l'universo aveva da circa 5 a 8 miliardi di anni.

Ma andiamo per ordine. Il responsabile di questa survey è una nostra vecchia conoscenza, Luigi Guzzo, dell'INAF / Osservatorio Astronomico di Brera. E lo strumento utilizzato per queste osservazioni si chiama VIMOS, un massicio spettrografo che alimenta una delle unità che formano il Very Large Telescope, presso il Cerro Paranal in Cile. La caratteristica principale di questo strumento, in relazione a questo lavoro, è la possibilità di ottenere spettri per molti oggetti in un'unica posa, permettendo quindi di affrontare lunghi programmi osservativi in tempi ragionevoli. 
Al momento infatti, la survey VIPERS ha ottenuto risultati per circa 55000 galassie, ed il programma prevede in arrivare alla fine a circa 100000!

Lo studio dello spostamento verso il rosso di tutte queste galassie ha uno scopo principale, quello di ottenere tramite questo misure di distanza delle galassie in studio. Infatti, ricordo velocemente qui,  esiste una relazione precisa fra il redshift e la distanza in cosmologia. La conoscenza quindi della distanza e della posizione di un così gran numero di galassie permette di capire come la materia si distribuisce nell'universo. 

Le mappe che si ottengono in questo modo hanno un'apparenza non familiare, ovviamente. In realtà quello che accade è che si selezionano alcune direzioni in cielo, e lungo quelle direzioni si cerca di ottenere informazioni per tutte le galassie che siano osservabili entro le capacità della strumentazione disponibile ed in base ad altri criteri che sono legati allo scopo scientifico del progetto. In pratica avremo come dei coni, centrati sull'osservatore, verso l'universo lontano. Nell'immagine qui sotto, per esempio, vediamo la mappa basata sulle prime 55000 galassie osservate nella survey VIPERS:
La quantità di informazioni che gli astrofisici sanno ottenere da queste mappe è enorme, ma a prima vista quello che senza dubbio colpisce è che la distribuzione delle galassie, i puntini blu nella figura, non appare certamente uniforme. Si identificano varie strutture che possiamo definire come filamenti, vuoti, agglomerati, ecc. 

La scoperta di questa configurazione portò in passato anche ad ipotesi variamente fantasiose sulla struttura di grande scala dell'universo, dall'idea di una qualche regolarità, un po' come un cristallo, a invarianze di scala del tipo dei frattali.
Nella realtà la configurazione che si osserva è il frutto complesso dell'azione della gravità generata dalla materia di cui le galassie sono formate, la materia barionica, ma anche dalla materia ed energia oscura ed il tutto in uno spazio in espansione quale è il nostro universo. 

Lo scopo ultimo di questo genere di ricerche, oltre all'ottenere preziosissime informazione statistiche su centinaia di migliaia di galassie, è infatti proprio quello di essere in grado di identificare e caratterizzare alcuni dei processi che hanno portato alla formazione delle galassie nell'universo primordiale, osservando come oggi le stesse si sono raggruppate in strutture di vario tipo. 


mercoledì 6 febbraio 2013

Piccoli Omini Verdi

Siamo nell'inverno del 1967, intorno a Cambridge, Inghilterra.

Adoperando un radiotelescopio di nuova generazione un gruppo di astronomi scopre la prima pulsar, una stella di neutroni rotante, visibile da Terra grazie ad un potente e periodico impulso di onde radio. Un po' come da una nave si può vedere la luce di un faro di notte. E la pulsazione era decisamente impressionante per un oggetto astrofisico: un impulso ogni 1,3s della durata di una frazione di secondo. Insomma... un autentico "bip". Intervallato, regolare. Nulla di nemmeno lontanamente simile a quanto osservato prima di allora.

La scoperta si deve a Jocelyn Bell e Antony Hewish. La prima a quel tempo era una giovane studentessa alle prese con il suo dottorato di ricerca con Hewish come relatore. Successivamente, nel 1974, per questa scoperta fu assegnato il premo Nobel al solo Hewish provocando a tutt'oggi diverse polemiche per il mancato riconoscimento alla Bell.

Una scoperta fondamentale, comunque. Oggi conosciamo migliaia di pulsar, e in diversi casi il periodo di rotazione di questi oggetti compatti, spesso più piccoli della Terra ma con un massa comparabile a quella del Sole, è di pochi millesimi di secondo. 

Però non sono le pulsar, direttamente almeno, l'argomento di questo intervento. 

Come è facile immaginare, nel 1967, l'epoca ha una sua importanza, siamo in piena "epoca spaziale", il segnale pulsato e così "artificiale" da diversi punti di vista, se non altro confrontato con ciò che si conosceva a quel tempo dei segnali astrofisici "naturali", fu una sorpresa dirompente per i ricercatori coinvolti nella scoperta. E, sebbene a tutt'oggi non è chiarissimo a che livello, la possibilità che non si trattasse di una sorgente astrofisica ma della prima evidenza di una civiltà extraterrestre fu presa in considerazione. Si parlò, infatti, di "Little Green Men", "Piccoli Omini Verdi". Espressione senza dubbio scherzosa con la quale la Bell indicò sul tabulato cartaceo delle osservazioni (siamo nel 1967...), a mano, il segnale in questione. 
Secondo diverse testimonianze intorno ed all'interno del gruppo di ricerca protagonista della scoperta, quello guidato da Hewish appunto, nessuno prese mai veramente sul serio la possibilità che non si fosse di fronte ad un fenomeno naturale. 
Eppure un certo dibattito su come ci di dovesse comportare in caso invece di un contatto extraterrestre si aprì. Per esempio chi si doveva coinvolgere? Poteva rimanere una semplice scoperta scientifica gestita da un piccolo gruppo di scienziati? Si doveva provare una risposta? Non sarebbe addirittura stato meglio non rivelare la propria presenza per evitare il rischio di essere "colonizzati"?

Temi tutt'altro che virtuali come si può vedere nell'accurata ed affascinante ricostruzione storica che è stata pubblicata pochi giorni fa a cura di Alan Penny, astronomo presso l'Università di St. Andrews. L'articolo, accurato ma leggibile anche da non specialisti, in inglese, è disponibile a questo link

Si tratta di un'occasione unica per approfondire, ma anche per divertirsi, nel seguire tramite documenti dell'epoca e raccolte successive che cosa accadde di speciale in quel ormai non più vicinissimo inverno del '67.





venerdì 25 gennaio 2013

La complessa semplicità dell'atomo di idrogeno

"E' stato di gran lunga l'evento più incredibile che sia capitato nella mia vita. E' stato come sparare un colpo di cannone contro un foglio di carta e vedere il proiettile rimbalzare e colpirci."

Quello che parla, con un po' di enfasi, ammettiamolo, è Lord Ernest Rutheford, premio Nobel per la chimica nel 1908. Si riferisce ai risultati di un famosissimo (fra i fisici...) esperimento nel quale dei nuclei di elio, le particelle alfa, venivano fatte collidere con una sottile lamina di metallo. L'esperimento in questione mostrò che gli atomi, di cui allora non si aveva ancora conoscenza se non generica, dovevano avere una struttura abbastanza peculiare: la massa concentrata al centro, e gli elettroni diffusi intorno fino ad una distanza 10000 volte più grande.

Questo è solo uno dei passaggi chiave in quella storia assolutamente eccitante e palpitante che è lo sviluppo della fisica atomica a cavallo fra i secoli diciannovesimo e ventesimo. Vediamo in azione alcuni fra i più "bei" nomi degli anni d'oro della fisica: Thomson padre e figlio, Rutherford, Bohr, de Broglie, Einstein, Schrodinger, Heisenberg, Dirac e molti altri...

Ed il passaggio dal modello planetario di Bohr alla funzione d'onda di Schrodinger segna la transizione fra la "vecchia" e "nuova" meccanica quantistica. Non solo una nuova teoria fisica, ma tanto quanto la più o meno contemporanea teoria della relatività generale di Einstein, segna un nuovo modo di pensare e di interpretare la realtà.

Venerdì primo febbraio, alle 17:30, presso il Liceo Scientifico L. Mascheroni di Bergamo, organizzato dalla Società Italiana di Scienze Matematiche e Fisiche, Mathesis, parleremo proprio di questa affascinante avventura intellettuale.


mercoledì 12 dicembre 2012

Che fai tu, luna, in ciel?

Il celeberrimo inizio del "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia" di Leopardi ci traghetta direttamente verso un'affascinante iniziativa del Museo Nazionale della Scienza e Tecnologia "Leonardo da Vinci" di Milano.

L'iniziativa è dedicata alla Luna, in occasione del quarantesimo anniversario dell'ultima missione Apollo. La numero 17. L'Apollo 17 è la missione che più di ogni altra ha arricchito il nostro patrimonio di immagini lunari, rendendoci familiari con la "magnifica desolazione" lunare, come la ebbe a definire Buzz Aldrin, il pilota dell'Apollo 11.
Harrison Schmitt al lavoro durante la missione Apollo 17
Il programma è quantomai intrigante, devo ammettere, e si svolgerà nel fine settimana del 15 e 16 dicembre prossimi.
Sabato avremo in realtà l'occasione di toccare con mano, si fa per dire, la moderna esplorazione planetaria con un collegamento con il Jet Propulsion Laboratory della NASA nel quale si scoprirà come si muove e lavora sulla superficie marziana il rover Curiosity.
Domenica, invece, si avrà un'occasione unica. Si apriranno gli archivi del museo e si potranno ammirare oggetti suggestivi come frammenti di roccia lunare, i manuali di addestramento degli astronauti NASA ed i piani di volo delle missioni. 

Il programma dell'iniziativa
Insomma, una pacchia per gli appassionati! E va detto che con qualche sorpresa anche oggi, a decenni da quegli eventi, pochi eventi del '900 possono vantare il titolo ben meritato di "epopea" come la, diciamolo pure con retorica, conquista della Luna. Anni fa mi fu proposto di tenere una serie di conferenze sulle esplorazioni spaziali, evidentemente basandosi sul tanto popolare quanto errato assunto che un astronomo debba necessariamente essere anche esperto di spazio. Nella realtà non è così, ma è anche vero che per tutti coloro che negli tardi anni '60 e primi anni '70 erano bambini,  e successivamente nella vita hanno avuto la fortuna di potersi dedicare ad un'attività scientifica, le missioni Apollo e l'atmosfera magica di quel periodo, accompagnata dalle prime immagini in bianco e nero degli astronauti saltellanti sulla Luna, hanno lasciato un'impronta indelebile. Quelle conferenze, di fatto, ebbero un successo di pubblico (di critica non so...) clamoroso. Ed in tempi di crisi globale, il tornare per qualche tempo ad un'epoca, piena di contraddizioni, dove però sembrava che non ci fosse un problema che con passione e dedizione non potesse essere risolto, probabilmente male non fa. Magari anche solo per reagire con un confronto critico all'epoca attuale dove invece sembra che nessun problema possa essere mai risolto, e l'unica alternativa per il futuro sembra essere quella di salvarsi fino a che è possibile.

Che la magnifica desolazione ci ispiri ancora un po'.


venerdì 9 novembre 2012

Come si divulga la spettroscopia?

Tema eccitante che sicuramente toglierà il sonno a tutti i lettori...

A parte gli scherzi, però, effettivamente il problema esiste. 

A tutti coloro che, a vario titolo, si occupano di divulgazione scientifica, in astrofisica in particolare, è chiaro che anche di fronte all'uditorio più svogliato qualche bella immagine astronomica attira sempre l'attenzione. Scartabelliamo lo scrigno magico dell'Astronomy Picture of the Day (APOD), per esempio, ed oggi troviamo la nebulosità di Melotte 15, e di fronte ad un'immagine oggettivamente magnifica non è difficile intrattenere qualunque pubblico.

Le magnifiche nebulosità di Mel 15
Le cose però cambiano se oltre ad eccitare l'immaginazione di chi ci ascolta, cosa per altro sempre positiva se si fa attenzione al giusto bilancio fra fascino, poesia, e scienza, si vuole compiere autentica divulgazione scientifica. Ovvero parlare di fisica ed astrofisica fornendo qualche maggiore informazione di un'occasionale finestra sulle meraviglie del cosmo.

Me ne sono accorto direttamente quando mi è stato proposto di scrivere un articolo divulgativo per il mensile di divulgazione scientifica "le Stelle". Il tema doveva essere, ed è stato, quello di parlare di uno strumento estremamente innovativo che grazie anche al lavoro di molti astronomi dell'INAF è operativo da qualche anno con il telescopio VLT di ESO. Si tratta dello spettrografo X-shooter, oggettivamente uno degli strumenti astronomici più innovativi entrato "in linea" negli anni recenti. Essenzialmente si tratta di uno strumento che grazie all'uso di componenti ottiche avanzate permette agli astronomi di osservare, ovvero nel caso specifico di prendere spettri, dall'ultravioletto all'infrarosso durante la stessa osservazione.
X-shooter

E qui abbiamo già dei problemi, perché parlare di componenti ottiche avanzate (dei dicroici, se siete curiosi...) presenta qualche difficoltà. Ma anche senza entrare in dettagli tecnici in fondo secondari, è già non banale spiegare in maniera possibilmente interessante e chiara perché la spettroscopia è importante e cosa serve.

Qui, per fortuna, il bravo Andrea Simoncelli, appassionato divulgatore scientifico, mi è giunto in soccorso e, a quattro mani, siamo riusciti a produrre l'articolo in questione che è pubblicato nel numero di novembre della rivista. Si intitola: "Fantastici spettri dai mille colori".
Naturalmente è tutto da dimostrare che siamo riusciti nell'intento, ovvero divulgare senza annoiare e, magari, riuscire a comunicare un poco dell'eccitazione degli specialisti per le macchine "per fare scienza" che la moderna tecnologia ci mette a disposizione. Al momento i primi responsi sembrano positivi, e vedremo se in futuro potremmo tornare a tentare di nuovo un simile esperimento.


martedì 30 ottobre 2012

Speed geeking a Genova

E che roba sarebbe?

Ammetto che talvolta la "mania" di usare termini anglosassoni possa produrre effetti persino pacchiani.

Lo "speed geeking", comunque, leggo dalla brochure dell'evento che ora introdurrò, è: "un nuovo modo veloce e partecipativo di presentare la scienza, vede in campo ricercatori e tecnici dell'industria intenti a raccontarci le loro esperienze con i telescopi dell'ESO, sia dal punto di vista della costruzione che dell'uso e dei risultati scientifici".

Chiaro?

Immagino di no, ma non fa nulla. Quello che invece è importante è che a Genova, nell'ambito del Festival della Scienza, abbiamo una serie di iniziative per festeggiare un compleanno davvero speciale: i 50 anni dalla fondazione dell'ESO, lo European Southern Observatory, o Osservatorio Europeo dell'Emisfero Sud.

Davvero sarebbe difficile immaginare la moderna astrofisica europea senza l'ESO e ciò che dall'esistenza di questa istituzione è derivato: meccanismi collaborativi fra astronomi di paesi diversi, sviluppo di procedure operative sovra-nazionali, internazionalizzazione spinta dei contesti lavorativi, ecc. Era il 1982 quando l'Italia entrava a fare parte dell'ESO che, naturalmente, già esisteva da vent'anni. E certamente era un'Italia e un Europa diversa quella che imbastiva piani scientifici sempre più ambiziosi da quella di adesso, sempre più chiusa in se stessa impaurita da qualunque sfida o difficoltà.

Ma speriamo che i tempi siano maturi per risalire la china. 

Referente italiano per il network di divulgazione scientifica di ESO è una valida collega dell'INAF / Osservatorio Astronomico di Brera: Anna Wolter. E, appunto, fra le varie iniziative legate a questo genetliaco c'è, domani, mercoledì 31 ottobre, lo "speed geeking", dove alcuni scienziati utenti di ESO potranno comunicare le proprie esperienza al pubblico sperimentando questa per certi versi innovativa modalità di comunicazione della scienza.

La sede è presso la Nuova Biblioteca Universitaria di Genova - ex Hotel Colombia Excelsior, all'interno della mostra "Sempre più lontano". In via Balbi 40. Qui potete trovare una mappa. Ci saranno due eventi distinti per il pubblico, alle 11:30 ed alle 15:00. 

Dino Fugazza, un altro collega di Brera, ed io, insieme a diversi altri astronomi dell'INAF perteciperemo allo speed geeking cercando di comunicare al pubblico presente come, nella nostra vita professionale, tramite gli strumenti di ESO, siamo riusciti ad affrontare le varie sfide dei nostri settori di ricerca. 
 
Io parlerò, per esempio, di come è diversa, rispetto a come la gente tipicamente immagina il lavoro dell'astronomo, l'attività di chi si occupa dei lampi di luce gamma, o gamma-ray burst. E' stata definita astronomia "vibrante", ed il termine sebbene certamente un po' enfatico non è fuori luogo. Guidare osservazioni di fenomeni la cui durata si misura in secondi e che sono completamente non predicibili richiede tecnologie d'avanguardia ed un'organizzazione su scala realmente planetaria. A tutti gli effetti un'affascinante avventura intellettuale che tutt'ora catapulta, parola da intendere in senso quasi letterale, gli studenti che cominciano a lavorare in questo settore in un mondo dinamico ed interconnesso dove a qualunque ora, quando un evento interessante è rivelato da qualche satellite, si è chiamati a presiedere osservazioni con le meraviglie tecnologiche a nostra disposizione come il VLT.
 
Appuntamento allora, pioggia permettendo purtroppo, a Genova!