sabato 29 giugno 2013

Un pensiero alla morte di Margherita Hack

Margherita Hack è stata certamente protagonista di una vita straordinaria. Scienziato di valore, impegnata nella vita intellettuale e politica del paese. 

Però mi piace ricordarla per un'impresa, un'autentica avventura editoriale, che l'ha vista coinvolta insieme a Corrado Lamberti nel dare vita ad una rivista di divulgazione scientifica che per qualche decennio ha costituito il punto di riferimento assoluto nel settore. Si tratta, ovviamente, de l'Astronomia. Anche oggi a distanza di anni ricordo con piacere quando da adolescente contavo i giorni per l'uscita in edicola del nuovo numero e cominciavo a leggerlo dalla fine, da una rubrica chiamata "Rampa di lancio". 

Perché l'Astronomia è stata importante? Perché in barba a tutti gli scontati stereotipi sul panorama culturale italiano, orrendo risultato della tracimazione della competizione politica nel sociale, non si era mai visto prima, e non solo in Italia a dire il vero, una rivista di settore superare i ristretti confini del pubblico di nicchia per diventare di rispettabile tiratura e modellare un'idea di nuova di divulgazione scientifica. Aperta alla cultura umanistica, ricca di spunti intellettuali, e sempre originale e creativa.

E fu anche divertente, anni dopo, quando diventai anch'io astronomo, conoscere di persona molti degli autori di articoli divulgativi che a sul tempo avevo letteralmente divorato. 

Non posso dire che l'Astronomia mi abbia influenzato nella decisione di diventare astronomo, lo avevo già deciso molto prima, ma certamente mi ha accompagnato nel crescere della convinzione e della consapevolezza. E non penso di sbagliare dicendo che questa rivista è stata la compagna di formazione di un'intera generazione di astronomi italiani.

Credo che per molti di noi, professionisti dell'astronomia, pochi riconoscimenti professionali potrebbero essere più graditi. E nel caso di Margherita Hack, ampiamente meritati.




venerdì 21 giugno 2013

La fisica rende?

Oggi parliamo di soldi. Di business. Niente romanticismo, l'uomo che guarda all'infinito, ed altro bla-bla poetico... solo vile pecunia.

Parliamo cioè di un tema che, sebbene spesso accennato e declamato, manca in molti casi di una trattazione rigorosa: la scienza, e nello specifico la fisica, che ruolo rivestono per le economie dei nostri paesi? É possibile monetizzare il valore della fisica per il PIL dei paesi europei in generale e quindi anche del nostro in particolare?

Lo spunto per questo post nasce da uno studio prodotto dalla European Physical Society (EPS, Società Europea di Fisica) con lo scopo di dare risposta a delle domande ben specifiche: 
  1. Quanto è importante la fisica per le economie dei paesi europei?
  2. Quanto è conveniente mantenere ed aumentare gli investimenti nel settore?
Lo studio è stato commissionato ad un ente indipendente ed esterno, il Centre for Economics and Business Research (Cebr) utilizzando come base dati la (preziosa, aggiungo io) raccolta, pubblicamente disponibile, di Eurostat.
Lo studio copre tutti i 27 paesi dell'Unione Europea con l'aggiunta di Norvegia e Svizzera e riguarda il quadriennio 2007-2010. Il documento completo, abbastanza corposo ed in inglese, lo potete scaricare qui.

Alcuni risultati generali sono sintetizzati nella stessa introduzione ed implicano oggettivamente considerazioni di notevole valore. In pratica si scopre che il settore ha un'importanza in relazione al numero di impiegati e quindi anche di valore associato superiore a settori considerati certamente non a torto strategici come le costruzioni o il commercio. Ed in generale anche in tempi di contrazione economica le imprese del settore appaiono più solide e meno soggette agli effetti del periodo.

Ma vediamo alcuni risultati in maggiore dettaglio con l'ausilio talvolta di grafici opportuni.

Il primo punto importante è l'ammontare del "giro d'affari", in inglese "turnover" dovuto alle aziende nel settore. Con fluttuazioni importanti dovute all'andamento dell'economia globale, il valore è fra i 3500 e 4000 miliardi di euro annui. Una cifra oggettivamente di grande rilievo.
Questo giro d'affari si divide fra vari paesi europei con la Germania che anche in questo si conferma la principale economia continentale. 


Per comprendere meglio la portata di questo giro d'affari possiamo vedere la redditività di queste attività per unità di personale impiegato. Se volete, in maniera un po' semplificata, quanto produce ogni impiegato in questo settore confrontato con altri settore economicamente importanti, come il manifatturiero, le costruzioni ed il commercio al dettaglio. Di fatto, mediando negli anni dell'analisi, ogni impiegato produce quasi 250000€/annui, simile al settore manifatturiero e molto superiore agli altri.

Anche dal punto di vista del numero di impiegati sul totale il numero è rispettabile. Si tratta fra i paesi considerati nell'analisi di circa 15-16 milioni di persone, corrispondenti al 13,2-13,3% della forza lavoro totale. E' interessante anche vedere come questa percentuale varia nei vari paesi.
Svizzera, Germania, Repubblica Ceca e paesi Scandinavi appaiono avere le percentuali più rilevanti mentre Portogallo ed Austria sembrano invece occupare le posizioni più basse in termini di percentuali di occupati.

Per valutare con maggiore precisione il contributo economico di questo settore industriale si può misurare il cosiddetto "valore aggiunto", vale a dire la creazione di ricchezza una volta che le spese (materiali, ecc.) sono sottratte dal computo.
Per le industrie del settore si parla di circa 1200 miliardi di euro/annui corrispondenti a più di 80000 €/annui per impiegato, molto più degli altri settori considerati e segno chiaro di come l'industria di alta tecnologia sia caratterizzata da un'elevata redditività.

E' possibile analizzare gli stessi dati divisi per paese, come nella figura qui di seguito:
Come si vede la Norvegia svetta, risultato è dovuto all'elevatissima redditività di industrie legate all'estrazione di petrolio e gas. L'Italia è un po' sotto la media europea, e quindi purtroppo abbastanza lontana dai paesi più competitivi nell'area.

Il documento originale è un'autentica miniera di informazioni una volta che sia analizzato in dettaglio, i pochi esempi qui riportati sono tuttavia già in grado di indicare chiaramente come aziende che necessitano di conoscenze e tecnologia che genericamente possiamo associare alla fisica sono un asse portante dell'economia europea. 

In effetti, se si controlla nel documento stesso cosa si intende esattamente per aziende legate alla fisica si scopre che nella categoria ci sono settori fra loro anche molto differenti, dalle attività estrattive alla produzione di materiali "tecnici", dall'elettronica ed ottica ad ovviamente il settore aeronautico. Tutti questi settori sono accomunati dall'esigenza di avere accesso a tecnologie avanzate ma non necessariamente di assoluta avanguardia. Intendendo con questo tecnologie e conoscenze che possono essere patrimonio di buoni studi universitari e post-universitari e non solo di laboratori di ricerca sia pubblici che privati.

In questo contesto appare quindi fondamentale il ruolo giocato da un'istruzione di qualità. Laddove sono attive università di qualità la disponibilità di persona formato nei settori di necessità (insieme ovviamente agli altri requisiti naturali come pubblica amministrazione efficiente, sicurezza, ecc.) implica la floridezza di attività industriali che sono caratterizzate da elevata redditività anche al netto delle spese da sostenere e che, in aggiunta, come ben delineato nel documento commissionato dall'EPS, hanno anche la caratteristica di essere meno sensibili ai cicli economici rispetto ad altri settori egualmente strategici.

É quindi quasi superfluo concludere che una reale sinergia fra servizi pubblici, formazione e ricerca appare essere un meccanismo che pur necessitando di non piccoli investimenti risulta in grado di fornire una ricaduta positiva ampiamente oltre anche le minime aspettative.

venerdì 17 maggio 2013

Scienza e pubblicità

Ovvero i complessi rapporti che intercorrono fra la pubblicizzazione dei propri risultati, il legittimo desiderio che questi siano noti magari anche al grande pubblico, e l'esigenza di accuratezza e rigore che è tipico dell'attività scientifica.

Non è un mistero che questi rapporti siano complessi e spesso burrascosi. Nella realtà lo sono spesso da diversi punti di vista, quelli dei vari attori di questa vicenda. Per gli scienziati è difficile comunicare ed essere compresi, spesso con la precisa sensazione che la controparte dei media punti solo alla frase ad effetto con tanti saluti per l'accuratezza. E con, anche abbastanza spesso, anche il risultato di diventare oggetto di ironia dei colleghi. 
Ma anche da parte dei media la relazione con gli scienziati è spesso difficile. Si ha un po' la sensazione di avere a che fare con dei bambini viziati ed egocentrici che pensano che i tempi stretti della comunicazione mediatica così come l'esigenza di raggiungere un pubblico più ampio possibile valgano per tutti tranne che per loro.

E' in effetti anche per queste ragioni che praticamente tutti gli enti di ricerca si sono dotati di personale con competenze di tipo giornalistico e solida preparazione scientifica, sull'esempio, manco a dirlo, delle principali istituzioni scientifiche americane dove la pratica della comunicazione scientifica è una disciplina di rango universitario praticamente da sempre.

I risultati di questi cambio di attitudine sono in effetti spesso buoni. L'Istituto Nazionale di Astrofisica, per esempio pubblica periodicamente dei notiziari che contengono notizie, interviste, materiale audiovisivo, ecc. che sembrano godere dell'apprezzamento del pubblico. Ed in generale lo stesso vale anche per gli altri enti di ricerca italiani e stranieri. Sicuramente fra gli appassionati molto note sono le pagine dell'Osservatorio Europeo dell'Emisfero Sud e delle Agenzie Spaziali Italiana ed Europea.

Tuttavia non sempre, è bene dirlo, la comunicazione scientifica verso il grande pubblico rispetta quei criteri che l'attività scientifica, in quanto tale, dovrebbe implicare. Senza dubbio, per lo meno su tempi abbastanza lunghi, è difficile millantare risultati e scoperte in ambito scientifico, almeno per le scienze di base. La stessa metodologia scientifica, indipendentemente dalla qualità delle persone coinvolte, fornisce gli anticorpi con i quali la truffa o almeno il millantato credito possono essere combattuti e per lo più anticipati. Quando però si parla con il pubblico il dialogo diventa a senso unico, e per natura stessa della comunicazione specialistica chi riceve il messaggio non ha strumenti per valutarne se non la veridicità almeno magari la portata. 

Ed è così che sulla stampa generalista appaiono mirabolanti scoperte a giorni alterni. Cure per ogni genere di malattia a portata di mano, tecnologie futuristiche già in corso di sperimentazione, soluzioni a quasi ogni problema che attanaglia il nostro pianeta. Dal riscaldamento globale all'inquinamento, la fame di energia, ecc. E, ovviamente, il vero dramma di tutto questo non sta nella voglia di protagonismo di qualche scienziato o magari nella superficialità di qualche giornalista, ma nel fatto che una comunicazione scientifica non curata a dovere in determinati settori può ingenerare aspettative nel grande pubblico talvolta molto pericolose. Il dibattito sulle cure a base di cellule staminali in corso nel nostro paese, e per la verità in tutto il mondo, ne è un esempio lampante.

Ma anche lo scenario senza dubbio meno critico delle scienze di base non è esente da questo fenomeno.  Dico meno critico perché se spaccio oggi l'ennesima scoperta di un pianeta extrasolare, siamo ormai andando veloci verso il migliaio, come una rivoluzione dell'astrofisica non succede poi nulla di veramente grave per chi riceve questa notizia senza filtro. Tuttavia il fenomeno esiste. Nell'opinione pubblica rimane forte l'idea che chi si occupa di scienza sia in qualche modo abbastanza speciale, magari anche dal punto di vista etico. Piace l'immagine dello scienziato al di fuori degli interessi di bottega e dedito solo alla conoscenza. E, sebbene alcuni di questi aspetti non siano indegni di considerazione, va detto che nella realtà nessuna delle meschinità umane è sconosciuta alla comunità degli scienziati. Di ogni parte del mondo. Gelosie, carrierismi, prevaricazioni, disonestà di vario livello, ecc. Abbiamo ampia familiarità con tutto quanto anche se, anche questo è vero, come si accennava all'inizio, la metodologia scientifica in quanto tale offre in ogni settore strumenti e protocolli per tenere sotto controllo questi fenomeni.

E' insomma difficile ingannare colleghi scienziati a lungo. Ma quando si presentano risultati al grande pubblico, e magari anche a politici ed imprenditori, ovvero un pubblico non generalista ma comunque senza competenze specifiche, il rischio del vendere fumo senza arrosto esiste. Ed è forte. Se poi lo scopo della comunicazione è magari quello di impressionare gruppi di possibili finanziatori entriamo in un regime estremamente sdrucciolevole.
Il caso, di questi giorni, in cui in un comunicato stampa un gruppo di ricerca si attribuisce la paternità di una scoperta mai avvenuta prima in astrofisica, con tanto di plauso pubblico del ministro competente, richiede una profonda riflessione a tutta la comunità scientifica. Si tratta, purtroppo, diciamolo chiaramente,  di millantato credito. Non tanto per l'argomento in se, più che degno di discussione e di coinvolgere visioni non canoniche, ma per le modalità che più che ad informare sembrano indirizzate a convincere. Quando la comunicazione scientifica prende a prestito la parte più deteriore della comunicazione commerciale è un chiaro segno di degenerazione del sistema. Ed al ministro Carrozza auguriamo di scegliere i suoi consiglieri con maggiore saggezza.

venerdì 29 marzo 2013

Mappe Stellari

Devo riconoscere che le mappe hanno sempre esercitato un certo fascino su di me. Presumo come conseguenza di qualche lettura di formazione, cose tipo l'Isola del Tesoro, o chissà cos'altro. Fatto sta che, già adolescente, mi feci regalare da mio padre una delle cartine topografiche dell'Istituto Geografico Militare, il famoso IGM, che raffigurava la zona in cui vivevo allora. E ricordo con divertimento, un po' nerd, non lo nego, i tentativi di allineare la mappa con una bussola, misurare l'azimut delle varie strutture visibili per determinare la posizione. Riconoscere le colture, i sentieri nei campi, ecc. 
Si dirà che si tratta di giochi fantasiosi da adolescente sognatore. Vero. Però tutt'ora conservo sull'harddisk del computer, da qualche parte, una bella mappa galatica della Federazione dei Pianeti della saga di Star Trek dove si possono ammirare le estensioni dei territori Klingon e Romulani, oltre che, naturalmente, federali. E questa risale a molti meno anni fa'...

Ebbene, a che pro questa introduzione da provetto geografo? 

Il fatto è che anche gli astronomi più cresciuti si dilettano di cartografia. E se effettivamente l'obiettivo è spesso la nostra galassia, la Via Lattea, o addirittura la vicinanza solare, talvolta si guarda più lontano e si cerca di costruire mappe della distribuzione di galassie in porzioni quanto più ampie possibile di universo.

Uno dei risultati pià recenti, ed affascinanti, di questo fervore cartografico è stato pubblicato di recente, e si tratta dei risultati, ancora parziali a dire il vero, di una survey denominata VIPERS: ovvero VIMOS Public Extragalactic Redshift Survey. Si tratta infatti di un poderoso sforzo che ha visto un ampio team internazionale impegnato per anni, e che lo sarà ancora a lungo, per ottenere misure di spostamento verso il rosso, il redshift, per quante più galassie possibile entro determinati criteri a distanze corrispondenti a periodi in cui l'universo aveva da circa 5 a 8 miliardi di anni.

Ma andiamo per ordine. Il responsabile di questa survey è una nostra vecchia conoscenza, Luigi Guzzo, dell'INAF / Osservatorio Astronomico di Brera. E lo strumento utilizzato per queste osservazioni si chiama VIMOS, un massicio spettrografo che alimenta una delle unità che formano il Very Large Telescope, presso il Cerro Paranal in Cile. La caratteristica principale di questo strumento, in relazione a questo lavoro, è la possibilità di ottenere spettri per molti oggetti in un'unica posa, permettendo quindi di affrontare lunghi programmi osservativi in tempi ragionevoli. 
Al momento infatti, la survey VIPERS ha ottenuto risultati per circa 55000 galassie, ed il programma prevede in arrivare alla fine a circa 100000!

Lo studio dello spostamento verso il rosso di tutte queste galassie ha uno scopo principale, quello di ottenere tramite questo misure di distanza delle galassie in studio. Infatti, ricordo velocemente qui,  esiste una relazione precisa fra il redshift e la distanza in cosmologia. La conoscenza quindi della distanza e della posizione di un così gran numero di galassie permette di capire come la materia si distribuisce nell'universo. 

Le mappe che si ottengono in questo modo hanno un'apparenza non familiare, ovviamente. In realtà quello che accade è che si selezionano alcune direzioni in cielo, e lungo quelle direzioni si cerca di ottenere informazioni per tutte le galassie che siano osservabili entro le capacità della strumentazione disponibile ed in base ad altri criteri che sono legati allo scopo scientifico del progetto. In pratica avremo come dei coni, centrati sull'osservatore, verso l'universo lontano. Nell'immagine qui sotto, per esempio, vediamo la mappa basata sulle prime 55000 galassie osservate nella survey VIPERS:
La quantità di informazioni che gli astrofisici sanno ottenere da queste mappe è enorme, ma a prima vista quello che senza dubbio colpisce è che la distribuzione delle galassie, i puntini blu nella figura, non appare certamente uniforme. Si identificano varie strutture che possiamo definire come filamenti, vuoti, agglomerati, ecc. 

La scoperta di questa configurazione portò in passato anche ad ipotesi variamente fantasiose sulla struttura di grande scala dell'universo, dall'idea di una qualche regolarità, un po' come un cristallo, a invarianze di scala del tipo dei frattali.
Nella realtà la configurazione che si osserva è il frutto complesso dell'azione della gravità generata dalla materia di cui le galassie sono formate, la materia barionica, ma anche dalla materia ed energia oscura ed il tutto in uno spazio in espansione quale è il nostro universo. 

Lo scopo ultimo di questo genere di ricerche, oltre all'ottenere preziosissime informazione statistiche su centinaia di migliaia di galassie, è infatti proprio quello di essere in grado di identificare e caratterizzare alcuni dei processi che hanno portato alla formazione delle galassie nell'universo primordiale, osservando come oggi le stesse si sono raggruppate in strutture di vario tipo. 


mercoledì 6 febbraio 2013

Piccoli Omini Verdi

Siamo nell'inverno del 1967, intorno a Cambridge, Inghilterra.

Adoperando un radiotelescopio di nuova generazione un gruppo di astronomi scopre la prima pulsar, una stella di neutroni rotante, visibile da Terra grazie ad un potente e periodico impulso di onde radio. Un po' come da una nave si può vedere la luce di un faro di notte. E la pulsazione era decisamente impressionante per un oggetto astrofisico: un impulso ogni 1,3s della durata di una frazione di secondo. Insomma... un autentico "bip". Intervallato, regolare. Nulla di nemmeno lontanamente simile a quanto osservato prima di allora.

La scoperta si deve a Jocelyn Bell e Antony Hewish. La prima a quel tempo era una giovane studentessa alle prese con il suo dottorato di ricerca con Hewish come relatore. Successivamente, nel 1974, per questa scoperta fu assegnato il premo Nobel al solo Hewish provocando a tutt'oggi diverse polemiche per il mancato riconoscimento alla Bell.

Una scoperta fondamentale, comunque. Oggi conosciamo migliaia di pulsar, e in diversi casi il periodo di rotazione di questi oggetti compatti, spesso più piccoli della Terra ma con un massa comparabile a quella del Sole, è di pochi millesimi di secondo. 

Però non sono le pulsar, direttamente almeno, l'argomento di questo intervento. 

Come è facile immaginare, nel 1967, l'epoca ha una sua importanza, siamo in piena "epoca spaziale", il segnale pulsato e così "artificiale" da diversi punti di vista, se non altro confrontato con ciò che si conosceva a quel tempo dei segnali astrofisici "naturali", fu una sorpresa dirompente per i ricercatori coinvolti nella scoperta. E, sebbene a tutt'oggi non è chiarissimo a che livello, la possibilità che non si trattasse di una sorgente astrofisica ma della prima evidenza di una civiltà extraterrestre fu presa in considerazione. Si parlò, infatti, di "Little Green Men", "Piccoli Omini Verdi". Espressione senza dubbio scherzosa con la quale la Bell indicò sul tabulato cartaceo delle osservazioni (siamo nel 1967...), a mano, il segnale in questione. 
Secondo diverse testimonianze intorno ed all'interno del gruppo di ricerca protagonista della scoperta, quello guidato da Hewish appunto, nessuno prese mai veramente sul serio la possibilità che non si fosse di fronte ad un fenomeno naturale. 
Eppure un certo dibattito su come ci di dovesse comportare in caso invece di un contatto extraterrestre si aprì. Per esempio chi si doveva coinvolgere? Poteva rimanere una semplice scoperta scientifica gestita da un piccolo gruppo di scienziati? Si doveva provare una risposta? Non sarebbe addirittura stato meglio non rivelare la propria presenza per evitare il rischio di essere "colonizzati"?

Temi tutt'altro che virtuali come si può vedere nell'accurata ed affascinante ricostruzione storica che è stata pubblicata pochi giorni fa a cura di Alan Penny, astronomo presso l'Università di St. Andrews. L'articolo, accurato ma leggibile anche da non specialisti, in inglese, è disponibile a questo link

Si tratta di un'occasione unica per approfondire, ma anche per divertirsi, nel seguire tramite documenti dell'epoca e raccolte successive che cosa accadde di speciale in quel ormai non più vicinissimo inverno del '67.





venerdì 25 gennaio 2013

La complessa semplicità dell'atomo di idrogeno

"E' stato di gran lunga l'evento più incredibile che sia capitato nella mia vita. E' stato come sparare un colpo di cannone contro un foglio di carta e vedere il proiettile rimbalzare e colpirci."

Quello che parla, con un po' di enfasi, ammettiamolo, è Lord Ernest Rutheford, premio Nobel per la chimica nel 1908. Si riferisce ai risultati di un famosissimo (fra i fisici...) esperimento nel quale dei nuclei di elio, le particelle alfa, venivano fatte collidere con una sottile lamina di metallo. L'esperimento in questione mostrò che gli atomi, di cui allora non si aveva ancora conoscenza se non generica, dovevano avere una struttura abbastanza peculiare: la massa concentrata al centro, e gli elettroni diffusi intorno fino ad una distanza 10000 volte più grande.

Questo è solo uno dei passaggi chiave in quella storia assolutamente eccitante e palpitante che è lo sviluppo della fisica atomica a cavallo fra i secoli diciannovesimo e ventesimo. Vediamo in azione alcuni fra i più "bei" nomi degli anni d'oro della fisica: Thomson padre e figlio, Rutherford, Bohr, de Broglie, Einstein, Schrodinger, Heisenberg, Dirac e molti altri...

Ed il passaggio dal modello planetario di Bohr alla funzione d'onda di Schrodinger segna la transizione fra la "vecchia" e "nuova" meccanica quantistica. Non solo una nuova teoria fisica, ma tanto quanto la più o meno contemporanea teoria della relatività generale di Einstein, segna un nuovo modo di pensare e di interpretare la realtà.

Venerdì primo febbraio, alle 17:30, presso il Liceo Scientifico L. Mascheroni di Bergamo, organizzato dalla Società Italiana di Scienze Matematiche e Fisiche, Mathesis, parleremo proprio di questa affascinante avventura intellettuale.


mercoledì 12 dicembre 2012

Che fai tu, luna, in ciel?

Il celeberrimo inizio del "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia" di Leopardi ci traghetta direttamente verso un'affascinante iniziativa del Museo Nazionale della Scienza e Tecnologia "Leonardo da Vinci" di Milano.

L'iniziativa è dedicata alla Luna, in occasione del quarantesimo anniversario dell'ultima missione Apollo. La numero 17. L'Apollo 17 è la missione che più di ogni altra ha arricchito il nostro patrimonio di immagini lunari, rendendoci familiari con la "magnifica desolazione" lunare, come la ebbe a definire Buzz Aldrin, il pilota dell'Apollo 11.
Harrison Schmitt al lavoro durante la missione Apollo 17
Il programma è quantomai intrigante, devo ammettere, e si svolgerà nel fine settimana del 15 e 16 dicembre prossimi.
Sabato avremo in realtà l'occasione di toccare con mano, si fa per dire, la moderna esplorazione planetaria con un collegamento con il Jet Propulsion Laboratory della NASA nel quale si scoprirà come si muove e lavora sulla superficie marziana il rover Curiosity.
Domenica, invece, si avrà un'occasione unica. Si apriranno gli archivi del museo e si potranno ammirare oggetti suggestivi come frammenti di roccia lunare, i manuali di addestramento degli astronauti NASA ed i piani di volo delle missioni. 

Il programma dell'iniziativa
Insomma, una pacchia per gli appassionati! E va detto che con qualche sorpresa anche oggi, a decenni da quegli eventi, pochi eventi del '900 possono vantare il titolo ben meritato di "epopea" come la, diciamolo pure con retorica, conquista della Luna. Anni fa mi fu proposto di tenere una serie di conferenze sulle esplorazioni spaziali, evidentemente basandosi sul tanto popolare quanto errato assunto che un astronomo debba necessariamente essere anche esperto di spazio. Nella realtà non è così, ma è anche vero che per tutti coloro che negli tardi anni '60 e primi anni '70 erano bambini,  e successivamente nella vita hanno avuto la fortuna di potersi dedicare ad un'attività scientifica, le missioni Apollo e l'atmosfera magica di quel periodo, accompagnata dalle prime immagini in bianco e nero degli astronauti saltellanti sulla Luna, hanno lasciato un'impronta indelebile. Quelle conferenze, di fatto, ebbero un successo di pubblico (di critica non so...) clamoroso. Ed in tempi di crisi globale, il tornare per qualche tempo ad un'epoca, piena di contraddizioni, dove però sembrava che non ci fosse un problema che con passione e dedizione non potesse essere risolto, probabilmente male non fa. Magari anche solo per reagire con un confronto critico all'epoca attuale dove invece sembra che nessun problema possa essere mai risolto, e l'unica alternativa per il futuro sembra essere quella di salvarsi fino a che è possibile.

Che la magnifica desolazione ci ispiri ancora un po'.