martedì 26 maggio 2015

SKA: non si balla più

Poco più di un mese fa ci eravamo lasciati con l'attesa per la decisione finale sulla sede del quartiere generale dello Square Kilometer Array, più noto come SKA.

SKA, giusto per re-inquadrare la questione, è un ambizioso progetto che si svilupperà appieno in almeno un quindicennio a partire da ora per andare a costituire un radiotelescopio di grandi dimensioni e che rivoluzionerà la radioastronomia. Si tratta insomma di un progetto scientifico estremamente avanzato con tutte le enormi ricadute industriali ed economiche dell'impresa.

Per mettere a punto una "macchina" così colossale, come è ormai in uso nelle attività scientifiche di punta, si è formato un consorzio plurinazionale in modo da ridurre la spesa ed aumentare le competenze a disposizione, anche industriali, per la fase di progettazione e realizzazione dell'opera. Al momento al consorzio aderiscono 11 paesi, indicati nella mappa in figura, e diversi altri seguono con interesse il progetto o è in corso di negoziazione il loro ingresso.

I paesi (al novembre 2014) che aderiscono al consorzio SKA

L'Italia partecipa al consorzio da alcuni anni, anche se stiamo solo ora arrivando alle fase, diciamo così, operative. Le fasi dove vengono definite le commesse industriali, le sedi delle varie strutture. E, con oggettiva sorpresa dei più, inclusi dei partner del progetto, il nostro Paese decise di mettersi in corsa per ospitare il quartier generale dell'organizzazione, in diretta competizione con il Regno Unito. Io per primo, ammetto, che quando venni a sapere di questa candidatura non sono riuscito a nascondere un certo scetticismo, misto comunque ad una piacevole sorpresa, in quanto fino ad allora la partecipazione italiana a SKA sembrava, per motivi di budget, più un "essere parte del gruppone" che molto altro. La sede proposta era comunque una splendida struttura storica di Padova, il Castello Carrarese, recentemente restaurata.

Una veduta del Castello Carrarese

La valutazione è stata inizialmente assegnata ad un comitato tecnico/scientifico che doveva tenere conto di diversi fattori come, ad esempio, la consistenza della comunità scientifica locale, le infrastrutture di trasporto a grande scala e locali, e così via. Ovviamente una parte importante del processo di valutazione doveva essere legato agli impegni a lungo termine garantiti dalle autorità politiche. Su questo punto per altro, dopo anni di disimpegno, pare che invece le autorità del nostro Paese siano state lucide e presenti. Ed in effetti la valutazione portò al risultato, per certi versi dirompente ed inaspettato all'interno del consorzio SKA, di vedere la proposta italiana nettamente preferita (qui alcuni accenni alla valutazione, in inglese). La storia è complessa, ne abbiamo già parlato in precedenza, ma una seconda tornata di valutazione nella quali i due contendenti hanno avuto la possibilità di ripresentare le proprie credenziali ebbe lo stesso risultato. Ed il comitato tecnico/scientifico sancì che sebbene entrambe le sedi proposte fossero più che adeguate allo scopo, la soluzione italiana era per molti versi quella preferita.

La palla quindi a questo punto è passata al "board" di SKA, ovvero la struttura di governo di SKA con rappresentanti di tutti i paesi membri. Ed è qui che invece, con notevole disappunto da parte italiana, la soluzione inglese, Manchester, è risultata la preferita con ampia maggioranza (parrebbe 5 voti a favore di Manchester, 1 a favore di Padova, e 5 astenuti). Andando a vedere un po' più in dettaglio la votazione del "board" di SKA quello che emerge è una curiosa alleanza legata ai paesi parte del Commonwealth, con invece gli altri partner coinvolti a preferire appunto una prudente astensione. Presumibilmente il timore di perdere il controllo del progetto, che ricordo fin dall'inizio ha visto la componente inglese giocare un ruolo centrale, insieme ad un'operazione di lobbying evidentemente non riuscita con gli altri membri, ha portato al risultato finale.

Sia come sia, per quanto in tutta questa vicenda non siano mancati passaggi oggettivamente discutibili, dove il fair play scientifico ha lasciato il posto ad un brutale pragmatismo politico/industriale, è stato fatto notare come il Paese sia stato in grado di competere al meglio quando la scienza e le competenze tecniche erano in gioco. Quando invece è stata la politica a prendere il sopravvento siamo abbastanza nettamente naufragati sebbene, va detto, l'avversario era decisamente ostico e non sia ovvio che ci siano state mancanze specifiche anche da questo punto di vista.

Il futuro ora è incerto. Senza dubbio le ottime ragioni scientifiche ed industriali per essere parte del progetto permangono sostanzialmente inalterate. Al contrario, l'aver dovuto cedere sul lato quartier generale, potrebbe autorizzare una ragionevole negoziazione su altri ruoli. C'è solo da sperare che non ci si faccia guidare dall'aspetto emotivo e si ragioni con la prospettiva pluri-decennale che un progetto di questa portata comporta. In un certo senso l'avventura comincia ora.