venerdì 14 novembre 2014

Comete, spese, e PIL

Il 12 novembre abbiamo seguito con trepidazione l'"accometaggio", concediamoci un simpatico  neologismo, della sonda Philae sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. L'interesse, quasi si potrebbe dire l'entusiasmo, del grande pubblico per l'evento è stato palpabile. In Italia come nel resto del mondo. E certamente si è trattato di un'impresa dal punto di vista ingegneristico oggettivamente eccezionale.

Una delle prime immagini dal "suolo" cometario inviate da Philae
Oggi stiamo ricevendo informazioni un po' più dettagliate ed elaborate. Sappiamo che l'atterraggio non è stato per nulla semplice, e che la sonda ha probabilmente rimbalzato in qualche occasione, ma che appare essere in buone condizioni. Una delle prime immagini inviate a Terra dalla sonda, in cui si vede una delle gambe della stessa con in primissimo piano il terreno cometario, ha degli aspetti persino commoventi.
Commoventi, dico, sia per la suggestione del pensiero di questo oggettino costruito dall'uomo, a mezz'ora luce da Terra, che lavora su un corpo celeste rimasto indisturbato dai tempi della formazione del sistema solare. Ma anche per il pensiero del lavoro di tante persone che per lungo tempo ha accompagnato questa missione. Pensata verso la fine degli anni '80, sviluppata nella seconda metà del decennio successivo e lanciata nel 2004. E quindi in volo nello spazio da un decennio e, tramite orbite accuratamente calcolate, arrivata all'appuntamento con la cometa. Ingegneri, tecnici, scienziati di varie estrazioni, al lavoro in un contesto soprannazionale frutto della cooperazione europea. Philip Dick componeva, qualche anno fa, il famosissimo romanzo "do androids dream of electric sheep?" (in italiano, "il cacciatore di androidi"). Viene da pensare, giochiamo senza inibizioni per un po', se il robottino sulla 67P aveva pensieri suoi quando, atterrando, si è trovato a rimbalzare e rotolare sulla superficie della cometa!

Europa ieri e oggi...
Tornando seri, oggi, nel pieno sviluppo di una crisi economica che si è trasformata, o è sempre stata, in una crisi sociale, culturale, di principi e valori, e che inevitabilmente dovrebbe portarci a porci delle domande importanti sul nostro stile di vita e modello di sviluppo, appare quasi retorico ricordare cosa non molti decenni fa l'Europa è stata. A fianco possiamo vedere una composizione fotografica, certamente retorica, ma non priva di significato, che mostra un terreno sfregiato da buche di artiglieria o bombardamento. L'Europa della Grande Guerra, 100 anni fa. E il rendering pittorico di Philae sulla cometa, esempio indiscutibile di dove la cooperazione internazionale può portare. La cooperazione di noi tutti.

Ma, esattamente, fuor di retorica, dove è che siamo arrivati? Senza dubbio tutto questo è scenografico ed anche affascinante, ma ne vale la pena, in un continente flagellato da disoccupazione, debiti incombenti, movimenti xenofobi, ed in generale da una diffusa e percepibile sensazione di sfiducia e di disastro imminente? Ha senso spendere una marea di soldi quando si tagliano le spese dei servizi in ogni settore? Domande non solo non-retoriche, ma direi persino doverose.

A riguardo, alcuni conoscenti mi hanno segnalato questo servizio giornalistico. Guardatelo, è fortemente sintomatico. Ora, vorrei evitare di cadere nella sterile polemica politica interna, non è rilevante in se. Dalla stessa testata sono arrivati servizi molto migliori su questa impresa. Ma questo servizio specifico, che nelle intenzioni voleva probabilmente essere "leggero", di "costume", con un occhio strizzato all'uomo della strada che ha ben altri problemi a cui pensare, è riuscito ad inserire in pochi minuti una vera "summa" di dove la pochezza di pensiero, la superficialità, e presunzione stanno rischiando di portarci. Un esempio di anti-giornalismo, i cui danni nei riguardi della pubblica opinione, che ha ben diritto di chiedersi come vengono spesi i soldi delle proprie tasse, sono potenzialmente enormi. 

Quanto costa Rosetta?
Tuttavia, come si diceva, magari in maniera goffa e dozzinale, il servizio in questione ha portato alla luce domande che senza dubbio una parte almeno dell'opinione pubblica si pone. Discutiamone quindi con calma.
Innanzitutto il costo della missione è stato (è...) ovviamente rilevante. Si tratta, cifra tonda, di qualcosa vicino a 1,4 miliardi di Euro. Per avere un'idea si tratta di una cifra comparabile allo 0,1% del prodotto interno lordo (PIL) del nostro Paese in un anno. La cifra però ovviamente va distribuita per tutta la durata, inclusa la fase di sviluppo della missione, e divisa per i contribuenti europei. Non è difficile calcolare che, quindi, per ogni cittadino europeo la missione Rosetta sia costata qualcosa tipo 3-4€. Meno, molto meno, di un cinema in grossomodo vent'anni di lavoro. O, se volete, pochi decimi di Euro per anno. E con questo capitale si è costruito tutto. La potenza delle collaborazioni è che rende possibile con un carico finanziario davvero modesto per i cittadini imprese di grande portata come queste, e come molte altre.

Tuttavia, sebbene l'avere coscienza di quanto le attività spaziali scientifiche costino in realtà pochissimo nel budget complessivo aiuti a porre la questione in una prospettiva corretta, la cifra in se non esaurisce la discussione. La questione è che per quanto piccola sia la spesa, queste cifre vengono tolte ad altri capitoli di spesa potenzialmente più urgenti o rilevanti. É meglio mandare un robottino su una cometa o dare una migliore assistenza domiciliare a degli anziani? O garantire un supporto a famiglie in difficoltà economica? O ad una qualunque delle attività sociali mai sufficientemente apprezzate e finanziate?

L'argomento è complesso, a rischio perenne di derive demagogiche di cui, per altro, i parlamenti nazionali ed europei conoscono bene gli effetti. Ma in ultima analisi può essere presentato in maniera semplice. E la risposta è chiara: vale la pena sempre di investire in conoscenza ed innovazione, ed il confronto con le esigenze primarie immediate è ingannevole.

Vediamo però di capire perché con una serie di ragionamenti semplici e non tecnici, avvertendo che su queste pagine abbiamo trattato di queste temi in varie forme più volte in passato (informatica, istruzione, grandi infrastrutture scientifiche, cultura, ecc.). Il punto chiave di tutto il ragionamento è comprendere innanzitutto che per poterci permettere tutti i servizi di cui abbiamo bisogno, e che lo Stato direttamente o indirettamente è delegato ad elargire, è necessario avere a disposizione le risorse finanziarie per farlo. Sembra una banalità, ma non lo è per nulla. Il gratuito, in realtà, non esiste. Nemmeno il prezioso ed encomiabile servizio di volontariato. I servizi richiedono competenze, strutture e spesso tecnologia, e tutto questo costa. Uno dei pregiudizi più diffusi, ovviamente basati sull'enorme cumulo di ingiustizie con cui quotidianamente abbiamo a che fare, è che se le risorse fossero meglio distribuite... "ce ne sarebbe per tutti". Tutto questo non è privo di logica, è un fenomeno ben noto in economia, dove una adeguata politica fiscale che guidi una redistribuzione dei redditi di vario genere porta ad economie più efficienti e competitive. Ed al contrario, dove le differenze fra i primi e gli ultimi della classe sono eccessive, di solito anche le strutture economiche sono inefficienti. Ma in sostanza, fatto salvo che una maggiore equità sarebbe un grande passo avanti in tutti i sensi, per avere le risorse per poter fornire i servizi che sempre in maggiore intensità sono richiesti bisogna avere un'economia in grado di produrle. E non è certo una grande scoperta che le risorse vengono create tramite il lavoro. Ed a questo punto la domanda si trasforma sul come si può fare a rendere il lavoro più produttivo. E la risposta la sappiamo da sempre. C'è necessità di innovazione tecnologica e di sviluppo di competenze tecniche. In pratica, se vogliamo avere aziende che producono reddito è necessario che queste aziende, in qualunque settore, siano in grado di competere sul mercato globale (altrimenti chiudono... mi pare ne sappiamo qualcosa in Italia). E se questa competizione non vogliamo che la si conquisti con politiche di contenimento salariale, cosa che per altro sta avvenendo da tempo in tutta Europa, l'unica alternativa è quella della formazione e dello sviluppo tecnologico. Quindi da qui l'importanza primarie della scuola di ogni ordine e grado e della ricerca scientifica. Un robottino sulla cometa potrà dare risposte che i planetologi cercano da tanto, ed aumentare il nostro livello di conoscenza e consapevolezza. Temi che non è possibile quantificare realmente nella loro importanza fondamentale. Ma anche se fossimo, contrariamente all'Ulisse dantesco, "fatti come bruti" e conseguire virtù e conoscenza non ci interessasse più di tanto, avere mandato Philae a mezz'ora luce dalla Terra ha permesso a generazioni di ingegneri di acquisire le competenze ed esperienza per risolvere problemi complessi. Pensate alle questioni di navigazione, elettronica, comunicazioni, generazione di energia. Per non parlare delle competenze nell'organizzazione di lavori in contesti complessi e multi-nazionali, il cosiddetto management. E queste competenze non rimangono nell'ambiente scientifico. Gli scienziati, nelle Università ed Enti di Ricerca, formano studenti, laureandi e dottorandi, e questi portano le loro competenze nel mondo del lavoro. E le aziende che sanno valorizzare queste competenze, ce ne sono molte più di quanto si pensi anche in Italia, sono in grado di offrire capacità produttive di altissimo valore aggiunto. Ovvero, perdonate la brutalità, fanno guadagnare molti soldi...

Il punto è che l'importanza della competenza specifica, il "know-how" come dicono gli anglosassoni, non viene chiaramente percepita nella quotidianità. Può sembrare, ingannevolmente, che basterebbe ad esempio un po' più di buon senso e magari di onestà per sistemare tutto. Questi sono certamente  requisiti di base, ovvero non se ne può fare a meno, ma su quelli va costruita una struttura di formazione e valorizzazione che richiede grandi imprese scientifiche e tecnologiche.

In buona sostanza, le grandi imprese scientifiche (ma non solo) permettono di convertire con grande efficienza i finanziamenti pubblici in competenze che tornano al mondo industriale ed imprenditoriale, e più in generale alla società. La collaborazione europea, sulla quale si dovrebbe essere molto più cauti nel celebrare giudizi dozzinali con leggerezza, ha permesso alle economie europee di crescere e produrre ricchezza e benessere. E, per dirla in breve ma in maniera efficace, ogni soldo speso per la grande (ma anche piccola) scienza, ne produce molti di più. Badate che si tratta di un tema che è stato studiato seriamente, e che si potrebbe in altra sede quantificare in termini di resa dell'investimento (fra il 20 ed il 50%). Permettendo, qui ovviamente semplifico un po', di finalmente chiudere il cerchio che unisce Philae sulla cometa ed i nostri anziani che hanno bisogno di assistenza sanitaria specializzata.

Tagliamo le prime, ci dobbiamo scordare anche le seconde.




mercoledì 12 novembre 2014

E quindi è arrivato il gran giorno!

Personalmente non sono un planetologo, vale a dire non appartengo a quella categoria di astrofisici che si occupa di pianeti e, in senso esteso, di tutti i corpi "minori" del Sistema Solare. Anzi, a dire il vero, dovremmo dire dei sistemi solari, al plurale, visto che abbiamo ormai evidenza di circa un paio di migliaia di pianeti intorno ad altre stelle, i cosiddetti eso-pianeti. Ed il loro numero è in continuo e rapido aumento.

Mi occupo, al contrario, di oggetti cosmologici, le cui distanze si misurano in miliardi di anni luce, e non in unità astronomiche! Però per oggi almeno, le padroni della scena sono loro: le comete! Oggetti di taglia molto ridotta, una decina di km di lunghezza, grossomodo, con forme irregolari. 

La cometa 67P/Churyumov-Garesimenko fotografata dalla sonda Rosetta
Il grande evento è, immagino, conosciuto anche ai non addetti ai lavori. Oggi da una sonda, Rosetta, si distaccherà un piccolo oggetto, il "lander", chiamato "Philae", che in circa 7 ore dovrebbe depositarsi dolcemente sulla superficie della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko! Nel momento in cui sto scrivendo queste note Philae si sta distaccando dalla sonda madre, Rosetta.

Motivi per studiare le comete in effetti ce ne sono moltissimi, si tratta di oggetti la cui formazione risale agli albori del sistema solare, ed è ampiamente possibile che una parte importante dell'acqua del nostro pianeta sia stata dovuta ad un gran numero di impatti cometari nelle prime fasi di formazione della Terra.

Però quello a cui oggi stiamo per assistere è anche uno straordinario evento ingegneristico. La cometa sui cui si appoggerà Philae, come si vede anche abbastanza bene nelle immagini diffuse dall'ESA, è formata da due grosse strutture di qualche km di dimensione, ed è quindi un corpo dalla ridottissima gravità superficiale. Tuttavia è anche un oggetto in rapida rotazione, ha un periodo di circa 12 ore. Di conseguenza portare la piccola sonda a contatto del suolo cometario dolcemente, ed evitare che rimbalzi via o si scontri in maniera brusca è tutt'altro che un compito agevole.
Se pensiamo che Rosetta è stata lanciata nel 2004, dieci anni fa, e per tutto questo tempo è stata sottoposta all'ambiente decisamente non amichevole dello spazio interplanetario le preoccupazioni dei tecnici che guidano questa missione sono ben comprensibili.

Il cortile interno del palazzo della Pinacoteca di Brera
Si potrebbe scrivere a lungo sulle comete, dalla formazione ad evoluzione, al loro ruolo nella cultura e letteratura, ecc. Tuttavia, quale occasione migliore di questa per invece parlarne dal vivo? Oggi pomeriggio, grossomodo dalle 16 fino a poco prima delle 18, l'"accometaggio" è previsto intorno alle 17 ora italiana, nella magnifica sede del Palazzo di Brera, a Milano, alcuni colleghi dell'Osservatorio Astronomico di Brera, ed il sottoscritto, si troveranno con il pubblico per seguire in diretta il susseguirsi degli eventi ed interagire con il pubblico e gli appassionati.

Appuntamento quindi oggi pomeriggio a Brera, per un pomeriggio cometario!



lunedì 6 ottobre 2014

Fantascienza d'annata!

Ricordo uno spot pubblicitario degli anni '90, mi pare, che vedeva un tizio abbastanza carismatico con degli occhiali a specchio, sui quali venivano proiettate delle figure luminose in rapido movimento, che diceva: "potevamo stupirvi con effetti speciali ma noi siamo scienza, e non fantascienza"! E poi continuava pubblicizzando non ricordo cosa...

Qualche settimana fa, invece, il presidente dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), Giovanni Bignami, ospite di una trasmissione televisiva, discuteva ovviamente di temi di divulgazione astronomici. Ad un certo punto il conduttore accennò ad un argomento legato alla fantascienza cercando però come di scusarsi per la commistione fra scienza e fantascienza, evidentemente pensata essere quasi offensiva per uno scienziato di professione. Al contrario Bignami invece, brevemente, spiego come la fantascienza, la fantasia in generale, possa essere una compagna di viaggio di uno scienziato senza che le due cose generino contraddizioni, se non addirittura alimentandosi positivamente a vicenda.

Basterebbe magari citare il caso di Fred Hoyle, prolifico e talentuoso scienziato ma anche autore di fantascienza di gran livello. E ce ne sarebbero volendo molti altri, in alcuni casi scrittori di professione con formazione o passato da scienziati professionisti (ad esempio Isaac Asimov) o scienziati prestati alla professione di narratore come il collega Valerio D'Elia, dell'Osservatorio di Roma, recente autore de "La Prole di Adec".

Però la scusa per questo lungo incipit è in realtà solo per segnalarvi quello che, di recente "dissotterrato" dagli archivi da appassionati cinefili, è probabilmente il più vecchio film di fantascienza italiano mai realizzato. Si tratta di "Matrimonio interplanetario", del 1910. Disponibile ad esempio qui (o qui)!

Un fotogramma di "Matrimonio interplanetario".
La storia è quantomai improbabile, ma anche simpatica. In pratica un gaudente astronomo terrestre si invaghisce di una principessa marziana e, tramite varie fasi che non divulgo per non togliere la sorpresa,  alla fine la coppia celebrerà un nobile matrimonio simbolicamente in campo neutro, sulla Luna! Sono una dozzina di minuti di film muto, 5 anni dopo la morte di Jules Verne, e 45 dalla pubblicazione di "Dalla Terra alla Luna" di cui si percepisce chiaramente l'influenza.

Di solito l'ambito titolo di "primo film di fantascienza" della storia viene attribuito al famoso "Le Voyage Dans La Lune", direttamente preso dal racconto di Verne, che risale a soli 8 anni prima, il 1902. Anche in questo caso la pellicola (qui) è breve, una decina di minuti, ma con un po' di comprensione per l'epoca risulta ancora godibile. 

Se siete appassionati, ovvio!




venerdì 3 ottobre 2014

Estinzioni...

Abbastanza spesso, in astrofisica, ci si imbatte in lavori che cercano di determinare se alcuni degli eventi che conosciamo accadere nello spazio possano avere causato alcune delle estinzioni che sappiamo essere avvenute nel corso della storia della vita biologica sul nostro pianeta.

Andiamo dal tema, noto e ben fondato, della caduta di asteroidi sulla Terra, a quelli non meno intriganti, o inquietanti se vogliamo, degli effetti di una esplosione di una supernova nelle vicinanze del sistema solare o, più di recente, di un gamma-ray burst (GRB).

Per quanto riguarda la caduta di asteroidi il tema è in realtà legato alla valutazione precisa degli effetti, alla probabilità di caduta in futuro, e alla ricerca di tracce fossili di eventi nel passato. Anche solo guardando la superficie della Luna con un piccolo telescopio è immediato rendersi conto che il bombardamento meteorico, almeno nel passato della vita del sistema solare, è stato intenso. È se questi oggetti hanno impattato sulla Luna non ci sono ragionevoli dubbi sul fatto che anche la Terra è stata sottoposta allo stesso trattamento. E, a dire il vero, si conoscono diversi crateri da impatto sulla superficie del nostro pianeta. Per chi fosse interessato ad un approfondimento di questo tema Alessandro Manara, collega dell'INAF / Osservatorio Astronomico di Brera, ha pubblicato un interessante libretto divulgativo dal titolo molto evocativo: "La Terra nel mirino".

Invece se si passa a considerare eventi esterni al sistema solare, come appunto le supernove, non ci sono molti dubbi che eventi del genere possano essere distruttivi per la biosfera terrestre. Il punto è però valutare la distanza a cui l'evento deve accadere per avere effetti importanti, la probabilità, ecc. Esiste una svariata pubblicistica seria sull'argomento, per non parlare di un'infinità di materiale di qualità più o meno dubbia. Invece eccellente, ma esplicitamente sul lato "fantasy", e meritorio di una citazione, è l'intrigante racconto di fantascienza di Arthur C. Clarke (sì, quello di "Odissea 2001 nello spazio"!) dal titolo di "La stella". Si tratta della storia di un'esplorazione terrestre su un lontano pianeta su cui si trovano i resti di una civilta che è stata distrutta dall'esplosione del loro sole come supernova. Uno degli scienziati scopre, all'apice del racconto, che calcolando il tempo di propagazione della luce dell'esplosione la stella di Betlemme, la guida secondo la tradizione dei Magi, era proprio l'eco lontano dell'esplosione di questa supernova. Ingenerando quindi un interessante paradosso scenico fra l'apparizione della stella dei Magi, e la drammatica distruzione di una civiltà, nella realtà costituite dallo stesso fenomeno.

Più recente, invece, è l'ingresso nell'ambito club dei potenziali portatori di apocalisse dei GRB. A differenza dell'esplosione di supernove, i GRBs hanno la caratteristica di colpire per un tempo molto inferiore ma intensità proporzionalmente superiore, e si tratta in ogni caso di un fenomeno intrinsecamente molto più raro. Tuttavia la combinazione della molto maggiore distanza a cui l'essere investiti da un GRB potrebbe essere letale e della più bassa probabilità ha generato un risultato in parte  sorprendente: nella passata vita della Terra esiste una elevata probabilità che il nostro pianeta sia stato investito da un evento del genere (cosa che non implica però certezza...), e circa il 50% di probabilità che questo sia accaduto negli ultimi 500 milioni di anni. 
Ciò che rende questi risultati anche più suggestivi è che sono stati di recente pubblicati da uno dei padri nobili della teoria interpretativa più diffusa per i GRB: lo scienziato israeliano Tsvi Piran. Il lavoro è liberamente scaricabile qui. Si tratta di un articolo molto tecnico, naturalmente, ma essenzialmente si basa sul fatto che in passato i GRB erano notevolmente più frequenti che nell'universo attuale, e considerando l'evoluzione che oggi in parte consciamo della dimensione tipica delle galassie, si arriva alla sconcertante conclusione che a causa dell'effetto distruttivo dei GRB sull'ecosfera di un pianeta di tipo terrestre la vita (come noi la conosciamo) è molto improbabile che si possa essere sviluppata nelle parti interne delle galassie come la nostra, ma diventa invece possibile nelle zone periferiche. Dove, non a caso quindi, secondo questa idea, il nostro sistema solare si trova. Ma c'è di più. Dal momento che la nostra galassia è piuttosto massiccia ed estesa, la gran parte delle galassie dell'universo è di taglia molto più ridotta della nostra, gli autori di questo lavoro calcolano che solo il 10% delle galassie sono in grado di ospitare la vita (come noi la conosciamo). La gran parte delle galassie dell'universo sarebbe stata dunque "sterilizzata" dai GRB! 

Sebbene lo studio provenga da scienziati di indubbia reputazione non c'è dubbio che il dibattito si sia acceso con ampi schieramenti di scettici e favorevoli. Abbiamo infatti ancora una conoscenza parziale di diversi degli ingredienti dello studio, per cui siamo ben lontani dal poter proporre una visione esente da critiche sostanziali.
Rimane comunque piuttosto suggestivo il vedere come il progredire delle conoscenze astrofisiche leghi sempre più l'esistenza della vita sul nostro pianeta ad eventi e fenomeni ad esso fisicamente  remoti ma evidentemente connessi.

Un argomento di riflessione certamente non privo di fascino.

domenica 25 maggio 2014

La "prepotenza" della gravità

La gravità, come è abbastanza noto, è la "forza" in natura meno intensa. Il confronto di solito lo si opera con la repulsione elettrostatica fra due protoni, con particelle più leggere va anche peggio, e quello che si ottiene è che l'interazione gravitazionale è completamente trascurabile rispetto a quello elettromagnetica.
Però se ampliamo la visuale e cominciamo a ragionare dalla scala planetaria a dimensioni sempre maggiori vediamo che invece la gravità la fa da padrona. Per descrivere il nostro Universo su grande scala solo la gravità, e le sue leggi, sono necessarie. Almeno per quello che ne sappiamo oggi...

Agli occhi degli studenti delle scuole superiori la gravità sembra per altro qualcosa di molto più abbordabile dell'elettromagnetismo, per non parlare delle sottigliezze delle forze nucleari. E tuttavia ben oltre la semplicità della formulazione Newtoniana, sorprende da diversi punti di vista l'enorme complessità che i sistemi guidati dalla gravità possono mostrare. E tutto questo rimanendo saldamente nel regime della gravità classica. Se si prendono in considerazione gli scenari relativistici, o addirittura i tentativi di armonizzazione fra relatività generale e meccanica quantistica, la cosiddetta gravità quantistica, scopriamo che indagare su cosa la gravità sia, quali siano i fenomeni che provoca, implica il compiere un viaggio intellettuale di prim'ordine fra le affascinanti formulazioni della fisica moderna.

Di questi temi ho avuto recentemente il piacere di parlare in due occasioni, presso il planetario di Lecco, su organizzazione dell'attivissimo gruppo astrofili Deep Space, ed a Genova, presso i locali della Biblioteca Berio, su organizzazione dell'Associazione Urania. In entrambi i casi argomenti di più diretto interesse di appassionati di astronomia, come la genesi ed il significato dei concetti di materia ed energia oscura, si sono connessi a tematiche forse più generali ma senz'altro non più semplici, come il concetto di spazio-tempo e di dimensionalità, ed il significato profondo dell'essere la forza di gravità una forza a raggio d'azione infinito.

Per chi fosse interessato la presentazione è qui disponibile. 


lunedì 12 maggio 2014

Scienza e Pseudoscienza

Viviamo, senza dubbio, e probabilmente siamo solo agli inizi, nella cosiddetta "civiltà dell'informazione". Siamo letteralmente bombardati da informazioni di ogni genere, ed apparentemente non c'è settore dello scibile umano che non sia raggiungibile velocemente e facilmente. 
È stato fatto notare, con un po' di enfasi senza dubbio, ma non certo senza buone ragioni, che con i nostri smartphones, da quelli più economici a quelli di fascia alta, in pochi click abbiamo a disposizione quantità di informazioni enormi che fino ad un decennio fa erano accessibili solo tramite faticose e lunghe ricerche in biblioteche ed archivi.

Ma non è, come sempre, tutto oro quello che luccica. Le potenzialità sono enormi, e già oggi con un uso accorto della tecnologia possiamo usufruire di possibilità inimmaginabili anche solo pochi anni fa. Ma rimane invece aperto, ed anzi direi che è enfatizzato al massimo, il problema della qualità delle informazioni a cui accediamo.

Il problema presenta due aspetti. La qualità delle informazioni "a monte", e la capacità dell'utente "a valle" di discernere fra buona e cattiva informazione. Non è che in linea di principio sia un problema nuovo,  tuttavia la facilità con la quale oggi accediamo alle informazioni lo rende critico. Nell'epoca delle "news", potremmo dire, la capacità di leggere (e capire) gli editoriali è di drammatica attualità.

Senza dubbio una adeguata preparazione dell'utenza ha il suo ruolo. Il fatto che troviamo delle informazioni su un sito non rende queste informazioni necessariamente affidabili. E tutte le "buone pratiche" di accesso alle informazioni del tempo che fu sono ancora attuali. Ad esempio la verifica delle fonti, il confronto delle versioni, ecc. 

Però nella bulimia mediatica in cui viviamo non sempre questo è possibile, e spesso non conclusivo. Se ad esempio volessimo farci un'idea dell'importanza o meno della vaccinazione di massa ci troveremmo in breve sommersi da un numero enormi di siti in cui si riporta senza mezzi termini l'inutilità, o quantomeno la dubbia utilità, di questa pratica di Sanità Pubblica.
Ma potremmo parlare di altre questioni, meno o altrettanto importanti socialmente, per le quali la rete non è in assoluto una buona fonte di informazioni. Dalle scie chimiche, alle terapie per malattie gravi e meno gravi, all'evoluzione biologica, ai temi di carattere teologico. Per non parlare di bufale fra il serio ed il faceto come la nota vicenda della portaerei americana che intrattiene una discussione rabbiosa via radio con un faro spagnolo...

Certamente una buona cultura scientifica può mettere l'utente in grado di districarsi in maniera proficua fra i tranelli della rete. Non si tratta di avere le competenze dirette per valutare la veridicità o meno di tutte le affermazioni con le quali abbiamo a che fare. Si tratta di sviluppare una "forma mentis" capace di immediatamente identificare almeno le più grossolane (e sono la grande maggioranza) panzane mediatiche. 

Si tratta di buone regole in sostanza piuttosto semplici. Stare cauti quando il contenuto ideologico domina si quello tecnico, quando le fonti di informazioni non sono esplicitate, quando si pone un'enfasi eccessiva sul parere del prof. "tale dei tali" piuttosto che nei dati. Quando chi supporta la nostra tesi è immancabilmente parte di università, laboratori, istituti in paesi remoti e di cui non si ha notizia alcuna. Quando si indugia nel piacere quasi nevrotico di identificare complotti occulti per la massa ma ben noti e chiari per chi scrive.

Qualcuno si è divertito a preparare un sito dove è possibile ottenere delle tipiche frasi "complottiste" ottenute mettendo insieme in maniera casuale vere espressioni tolte da tipici messaggi da cui siamo quotidianamente invasi nel web. Colpisce come a prima vista si tratta di frasi a cui, in un certo senso, siamo ormai abituati nella nostra quotidianità di utenti della rete.

Tuttavia non è solo questione di cultura, esistono esempi noti di come verità pseudoscientifiche sono accettate e divulgate in ambienti ad alta scolarizzazione e tenore di vita. Il vecchio mito positivista secondo il quale l'istruzione avrebbe eliminato fenomeni di superstizione e credenze para-scientifiche si è rivelato fallace. Come è stato detto anche in passato, l'istruzione aumenta il numero di persone che sanno leggere, ma non necessariamente di coloro che sanno cosa leggere...

L'argomento in se meriterebbe ampie discussioni e riflessioni, e certamente non siamo in grado di esaurirle in queste poche righe. 
Oggi pomeriggio, in ogni caso, presso le strutture dell'Università del Tempo Libero di Vimercate, avremo la possibilità di discutere alcuni esempi in cui verità pseudo-scientifiche sono diventate di pubblico dominio nonostante la spesso chiara mancanza di supporti documentali o addirittura l'evidente inconsistenza delle tesi con gli stessi. A questo sito, per chi fosse interessato, potete trovare le trasparenze con gli argomenti che oggi tratteremo.


venerdì 9 maggio 2014

Giulio Racah


Giulio Racah è stato uno dei più autorevoli fisici italiani della seconda metà del secolo scorso.

Colpevolmente, sono a venuto a conoscenza di questo personaggio solo in seguito ad un soggiorno in Gerusalemme presso la Hebrew University, lavorando con un gruppo di scienziati che si occupano di lampi di luce gamma, e scoprendo che era di nazionalità italiana solo molto più tardi...

E in realtà dietro questa personalità così rilevante nel mondo della fisica teorica si rivela una storia interessante e ricca di suggestioni che insieme al collega Fabrizio Tavecchio, dell'INAF / Osservatorio Astronomico di Brera, abbiamo deciso di raccontare in un articolo per il Giornale di Astronomia, storica rivista di cultura e divulgazione astronomica della SAIt, Società Astronomica Italiana.

L'articolo è stato ripreso da alcune testate web ed è quindi disponibile in rete, ed allora lo ripropongo per chi fosse interessato. Qui potete trovare il link.


martedì 29 aprile 2014

Pianeti di classe M

Nella saga di Star Trek, perdonatemi l'incipit molto "nerd", quando si incontra un pianeta di tipo terrestre, vale a dire un pianeta adatto alla vita umana, si dice che sia un pianeta "di classe M".

Noi non abbiamo, purtroppo, i motori a curvatura, il teletrasporto e tutto l'armamentario tecnologico della saga, ma non sorprenderà sapere che la scoperta di pianeti di tipo terrestre attorno ad altre stelle rappresenta di gran lunga l'argomento scientifico più eccitante del prossimo decennio, e forse oltre.

Pochi giorni fa i media hanno dato ampio risalto alla scoperta del pianeta Kepler 186f, un pianeta di taglia simile alla Terra nella regione di abitabilità di una stella di piccola massa a circa 500 anni luce da noi. 

È troppo presto per farsi prendere dall'eccitazione, non abbiamo praticamente alcuna reale informazione sulle condizioni ambientali di questo pianeta, se abbia un'atmosfera, ecc. E non l'avremo per molti anni ancora, sebbene la tecnologia che gli astronomi applicano alla ricerca di pianeti stia facendo finalmente passi da gigante.

Nel 1995, infatti, due valenti astronomi svizzeri, Michael Mayor e Didier Queloz, resero pubblica la notizia della scoperta per primo pianeta intorno ad una stella di tipo solare, vale a dire 51 Pegasi
Ricordo bene l'evento, in quanto la rassegna stampa fu presentata durante un congresso internazionale a Firenze dedicato alla fisica delle stelle di tipo spettrale avanzato (le cosiddette, con un po' di ironia, "stelle fredde"...) al quale stavo partecipando.
Si trattava di un pianeta quantomai atipico rispetto a quelli che conosciamo nel nostro sistema solare. Di grande massa ma orbitante a piccolissima distanza dalla sua stella. Segno che, come sempre, la natura offre agli scienziati una varietà molto maggiore di quella che la nostra fantasia tipicamente è in grado di concepire.

Sia come sia, da allora la ricerca di pianeti extra-solari è diventata un'attività sempre più importante nella moderna astrofisica, e con tecniche sempre più ingegnose e missioni spaziali dedicate, una ventina di anni dopo siamo ormai a quasi 2000 pianeti extra-solari confermati!

Certamente non è che ci accontenti di catalogare sempre più pianeti, si calcola che nella nostra Galassia ne potremmo avere centinaia di miliardi... ma la suggestiva prospettiva di trovare "altre Terre" è certamente sempre presente nei programmi di ricerca.

Non si tratta di compito facile, ed al contrario presenta delle difficoltà tecnologiche straordinarie. Dalla semplice identificazione di pianeti di piccola massa, già operazione complessa, alla caratterizzazione degli stessi, con lo studio delle atmosfere quando presenti, alla ricerca, intrigante prospettiva di un futuro forse non così lontano, di bio-marcatori. Ovvero di caratteristiche osservative che siano compatibili e talvolta prova inequivocabile di presenza di vita come noi la conosciamo sul nostro pianeta.

Potremmo essere testimoni diretti di un'ennesima rivoluzione copernicana che l'astronomia regalerà all'umanità.

Di questo e di molto altro abbiamo parlato ieri pomeriggio a Vimercate nell'ambito dei corsi dell'Università del Tempo Libero. Per i più curiosi il materiale mostrato e discusso è ora disponibile online

Buona ricerca!

lunedì 7 aprile 2014

The Big Iron

Il sistema /360 IBM

Il grande ferro.

Ed in effetti stiamo parlando di hardware, ferraglia. 
A Milano, presso il palazzo di Brera, nel momento in cui scrivo, si sta svolgendo un convegno, organizzato dall'ARAAS - Brera, intitolato proprio "The Big Iron" dedicato alla celebrazione di un cinquantenario speciale: il 7 aprile 1964 l'IBM presentava un sistema informatico che avrebbe fatto epoca, il sistema /360. Qui possiamo trovare il programma del convegno.

La storia dell'informatica italiana si riallaccia per altro immediatamente a quell'epoca speciale per l'industria e la cultura italiana che è stato il dopoguerra, diciamo dagli anni '50, dove le innovazioni in tutti i campi stavano plasmando la società italiana e il suo impetuoso boom economico.

Lo sviluppo dell'informatica aveva influenze nei settori più disparati, e certamente fra questi anche l'astrofisica. A questo riguardo è di ovvio interesse ripercorre le varie tappe tramite le quali l'astrofisica italiana in generale, e l'Osservatorio Astronomico di Brera in particolare, hanno cominciato a dotarsi di strumenti informatici sempre più sofisticati. All'inizio si trattava di calcolatori nel senso più letterale della parola, macchine utilizzate per risolvere complessi problemi di calcolo. Ma nel giro di pochi anni, salvando il lato computazionale, i computer divennero sempre più strumenti  legati anche all'acquisizione di dati per la gestione di enormi flussi di informazioni. Oppure da strumenti legati ad una concezione centralizzata, i mainframe con i terminali remoti, fino all'informatica personale che caratterizza i tempi moderni.

Insieme al collega Mario Carpino, sempre dell'Osservatorio Astronomico di Brera, siamo infatti stati invitati a questo convegno per delineare, brevemente, la "storia informatica" del nostro istituto. È più in generale come l'informatica influenza il lavoro degli astronomi.
Alcuni accenni sono qui disponibili.


Addendum il giorno dopo.
Ammetto che il convegno, almeno a giudicare dal programma, potesse fornire spunti di oggettivo interesse ma anche apparire potenzialmente noioso. In realtà questa impressione si è rivelata quantomai sbagliata. Molti dei relatori sono stati protagonisti diretti dell'epopea del supercalcolo italiano. Dagli inizi grazie ai finanziamenti del Piano Marshall dopo la guerra, allo sviluppo dei primi calcolatori italiani negli anni '50. Progetti di assoluta avanguardia che portarono ad esempio alla creazione di imprese commerciali come la Olivetti.
A dire il vero, giudizio personale, fa un certo effetto vedere l'effervescenza non solo imprenditoriale di quell'Italia. Per un certo, non breve, periodo il nostro Paese (la maiuscola qui ci sta d'obbligo) fu veramente la terra delle opportunità. Aziende ed università erano alla ricerca continua di talenti e dove l'investimento, in tutti settori, era pensato con prospettive generazionali e non speculative. Lungo se non lunghissimo termine, non l'immediato tornaconto.
Era un'altra Italia.


giovedì 13 marzo 2014

Fine osservazioni!

Ancora da Cristina, in procinto di tornare a Santa Cruz e quindi di nuovo a Milano:


Oggi è stato l'ultimo giorno al Roque de los Muchachos. Domani mattina infatti io e Igor torneremo a Santa Cruz, per un ultimo giorno canario.

Oggi, come previsto, siamo andati a visitare MAGIC (I e II). Simona Paiano, una dottoranda di Padova che fa parte della collaborazione MAGIC, si è offerta di portarci a vedere i due giganteschi specchi (ben 17 metri di diametro) da vicino, spiegandoci al meglio il loro funzionamento e raccontandoci per che cosa vengono usati.

Entrambi sono costituiti da diversi segmenti, che questa volta sono quadrati, con il lato di circa 1 metro. In particolare ciascuno di questi segmenti in MAGIC I, il più vecchio dei due telescopi, è a sua volta formato da quattro specchi più piccoli affiancati. Entrambi i MAGIC sono stati costruiti con lo scopo di rivelare l'emissione di luce Cerenkov derivante dall'interazione dei raggi gamma con l'atmosfera, ed in origine sono stati pensati con lo scopo di rivelare la possibile emissione di radiazione a queste energie da parte dei Gamma Ray Bursts (senza mai ottenere alcun risultato al riguardo, purtroppo). Al momento entrambi i MAGIC vengono utilizzati per osservare diverse sorgenti astronomiche, come i Blazars, gli stessi Gamma Ray Bursts (sono in grado di puntare la regione di emissione del burst in un tempo di soli 15 secondi), microquasars, eccetera.

Ci colpisce che questi specchi siano esposti a cielo aperto, senza alcuna protezione dagli agenti atmosferici, e Simona ci spiega che non è necessario proteggerli, in quanto la degradazione di questi specchi è minima. Ovviamente è necessario porre attenzione alla camera che registra i dati, che nel caso di pioggia o alta umidità dell'aria deve necessariamente rimanere chiusa.
È stata senza dubbio una visita molto interessante, in quanto ci ha permesso di apprendere tanto su tecniche di osservazione molto diverse da quelle a cui ci siamo abituati in questi giorni, e quindi ringraziamo moltissimo Simona per la sua disponibilità.

La giornata si è conclusa con una tappa sull'oceano, nella punta a nord dell'isola, altro paesaggio meraviglioso che questa settimana ci ha offerto.
Torniamo a casa arricchiti da moltissime esperienze e desiderosi di rimetterci all'opera, sperando un giorno non lontano di poter tornare quassù a osservare il cielo.

mercoledì 12 marzo 2014

E finalmente le osservazioni!

Ancora da Cristina a La Palma:


Penultima tappa del mio viaggio, forse la più significativa. 

È stata una giornata estremamente lunga, perché, nonostante la certezza (più che altro la speranza) che saremmo dovuti restare svegli fino a tardi per osservare, quando ci si trova in un posto del genere non è possibile resistere alla tentazione di andare in giro a fare un milione di foto ricordo. E in effetti è così che è trascorsa una buona parte della nostra giornata: di mattina abbiamo passeggiato attorno alla Residencia, soffermandoci ai telescopi che incontravamo (in particolare a MAGIC, che è davvero stupendo), mentre subito dopo pranzo, prima di recarci al NOT ad incontrare Tapio, siamo andati a vedere da vicino Los Muchachos, da cui l'osservatorio prende il nome. Si tratta di alcune rocce piuttosto alte e di forma allungata, poste in cima a un picco. 
Lo spettacolo da lassù era mozzafiato: da una parte la bocca del vulcano, piena di nuvole e molto suggestiva, con sullo sfondo, in lontananza, il Teide, vulcano di Tenerife alto 3718 metri; dall'altra, tutti i telescopi dell'osservatorio (NOT, GranTeCan, TNG, Liverpool, Newton...). 

Il meteo oggi sembra essere dalla nostra parte, garantendoci sia di ammirare questi favolosi paesaggi, che di sperare in una buona notte di osservazioni. Anche Tapio, il nostro support astronomer, è della stessa idea. Quando lo incontriamo, alle 3 del pomeriggio, ci mettiamo infatti subito al lavoro, e per prima cosa ci occupiamo di prendere le immagini di calibrazione, dette FLAT e BIAS, che serviranno a correggere tutte le immagini che prenderemo durante la notte per effetti dovuti all'elettronica del sistema o alle disuniformità della camera CCD, grazie alla quale la radiazione proveniente dagli oggetti celesti viene raccolta, permettendoci di visualizzare le immagini su cui è possibile lavorare. Per il momento si lavora quindi ancora a cupola chiusa. 

Cristina ed Igor sotto il GranTeCan

Alle 17:30 io e Igor abbiamo appuntamento con Daniel, che lavora al Gran Telescopio Canarias (GranTeCan), il più grande telescopio al mondo, e che ha promesso di farci fare una specie di visita guidata. Il GranTeCan è un telescopio gigantesco: lo specchio primario, costituito da una trentina di segmenti esagonali, misura in totale 10,4 metri (superando di poco i "gemelli" Hawaiiani Keck, di 10 metri), il che significa che è circa 4 volte il NOT. Senza vederlo, non è possibile immaginarsi quanto possa essere grande!




Le condizioni metereologiche sembrano ottimali, quindi subito dopo una veloce cena alla Residencia ci rechiamo al NOT, dove Tapio ci sta già aspettando per prendere le prime misure a cupola aperta (che sono ancora misure di calibrazione da prendersi al tramonto, per assicurarsi l'uniformità del cielo). Verso le 20:30 possiamo iniziare con i nostri target! 
Cristina nella control room del NOT
La soddisfazione a fine serata è grande: siamo riusciti senza difficoltà, grazie al prezioso aiuto di Tapio, a prendere un sufficiente numero di misure per il nostro proposal. In particolare, abbiamo osservato utilizzando tecniche di polarimetria un balzar in due bande nell'ottico, R e B, prendendo immagini di un centinaio di secondi di integrazione, per una durata totale di 2 ore. Nel mezzo, abbiamo dovuto cambiare il puntamento del telescopio, in quanto ci è stato richiesto di osservare per circa 1 ora e mezza un Gamma Ray Burst esploso oggi. Inoltre abbiamo raccolto anche un migliaio di secondi di osservazione polarimetrica di una binaria X, che mi serviranno per completare un lavoro che sto portando avanti da qualche tempo.

È stato molto bello lavorare questa notte, anche perché per la prima volta ho avuto una responsabilità grande, e mi sono resa conto di essere in grado di giostrarmi abbastanza bene tra tutte le cose che vanno tenute d'occhio durante le osservazioni: tempi di esposizione, saturazione degli oggetti, quali filtri usare, che tecnica di osservazione preferire, eccetera.
Alla fine tutto è risultato essere molto naturale, e se per qualche motivo una scelta non è risultata ottimale (per esempio tempi di esposizione troppo brevi) siamo sempre riusciti a trovare una soluzione adeguata, senza nessun problema o perdita di tempo.

Sono ottimista sul fatto che potremo tirar fuori risultati interessanti da tutti questi dati: ora non resta che analizzarli! Ma ce ne occuperemo una volta tornati a casa...



martedì 11 marzo 2014

Al Roque de los Muchachos

Ancora da Cristina finalmente all'osservatorio.


Eccoci alla seconda tappa del nostro viaggio, quella che ci porterà all'Osservatorio di Roque de los Muchachos.

Cristina in cima alla caldera
L'Osservatorio è posto in cima all'isola di La Palma, ad un'altitudine di circa 2400 metri sul livello del mare (e quindi ad una considerevole distanza da dove abbiamo passato la prima notte del nostro viaggio). Ci mettiamo un paio d'ore a raggiungerlo, partendo subito dopo pranzo, percorrendo una strada molto piacevole anche se piena di tornanti. 
A quasi ogni curva la tentazione di fermarsi ad ammirare il panorama è enorme, e un paio di volte cediamo. L'ultima appena prima di arrivare in cima, dove avremmo dovuto iniziare a scorgere le cupole dei vari telescopi che sono disseminati qua e là sulla montagna. 
Il paesaggio è unico: roccia frastagliata color rosso/arancione, e, sullo sfondo, l'oceano! Incontriamo anche qualche frana recente lungo la strada, probabilmente causata dal cattivo tempo degli ultimissimi giorni. Effettivamente anche oggi il cielo non è limpido, ci sono molte nuvole in giro e minaccia pioggia. Ma abbiamo già imparato che le condizioni meteorologiche in quest'isola in mezzo all'oceano possono variare con grande rapidità, quindi non disperiamo.

Il telescopio NOT
Arriviamo al NOT con perfetta puntualità alle 15:00. Ad accoglierci, in una struttura adiacente al telescopio, troviamo il nostro support astronomer, Tapio. Con lui, dopo esserci fermati a scambiare due parole con un povero malcapitato che ha avuto l'idea di fare una passeggiata dal livello del mare fin quassù (con un inevitabile principio di congelamento) ci rechiamo finalmente alla cupola.
Le condizioni metereologiche purtroppo nel frattempo sono peggiorate, e il telescopio sembra immerso nella nebbia. Tapio è piuttosto pessimista sulla riuscita della nostra serata osservativa, anche se non si sbilancia troppo sulle previsioni ("se sapessi prevedere il futuro, farei un lavoro molto più remunerativo!"). A causa delle temperature che rasentano gli 0˚, la scaletta per arrivare alla cupola è quasi congelata, e inoltre tira un vento molto forte quassù. Siamo ben lieti quindi di entrare nella sala comandi del NOT! Qui Tapio ci spiega un po' come funzionano tutti i vari strumenti, e ci racconta brevemente quello che andremo a fare. Con nostro sollievo, scopriamo che resterà con noi durante l'intera durata delle osservazioni, quindi non scende in troppi dettagli per il momento. È molto bello trovarsi lì con il nostro support astronomer, che risponde con pazienza a tutte le nostre domande, anche quando sono molto banali. 

Prima di salutarci per andare a mangiare, facciamo un salto a guardare da vicino il telescopio. È molto emozionante perché, come ho scritto ieri, non mi è mai capitato di vederne uno così da vicino. Il NOT ha un diametro di 2.56 metri, e noi nello specifico lavoreremo con lo strumento ALFOSC. Anche in questo caso non ci tratteniamo molto, perché puntiamo a passarci più tempo durante la serata.

Durante la cena, che si è tenuta presso la Residencia dell'Osservatorio, abbiamo un bel dialogo con Tapio, che ci racconta un po' della sua vita, dei suoi studi, della sua famiglia. E purtroppo, verso la fine della cena, ci rendiamo conto che le condizioni meteorologiche sono decisamente peggiorate.  Infatti ha addirittura iniziato a piovere, il che implica alta umidità e quindi probabile congelamento della cupola. Questo rende praticamente impossibile pensare di fare le nostre osservazioni questa sera, anche se smettesse di piovere. Infatti Tapio ci spiega che per poter aprire la cupola è necessario attendere mezz'ora dopo che l'umidità sia scesa sotto il 90%. Ci consiglia inoltre di non muoverci dalla Residencia, in quanto potrebbe anche diventare pericoloso spostarsi con queste condizioni meteorologiche. 

Ci siamo quindi salutati sperando in un improvviso miglioramento, che purtroppo non è avvenuto (Umidità sempre superiore al 98%, nonostante la pioggia sia cessata presto). In fondo anche questo fa parte del lavoro dell'astronomo!

Confidiamo in domani, sperando che le condizioni metereologiche possano migliorare!

lunedì 10 marzo 2014

A La Palma!

Ed ecco, come promesso, il primo "report" di Cristina!


La cupola del NOT
Oggi inizia finalmente la mia breve avventura, che mi sta portando in cima alla montagna dell'isola di Santa Cruz de la Palma, ad osservare il cielo da uno dei grandi telescopi mondiali, il Nordic Optical Telescope (NOT). 

Mentre aspetto l'aereo che mi condurrà a La Palma, mi viene da pensare a quando per la prima volta mi è balenata nella mente l'idea di studiare fisica per imparare tutto il possibile sulle stelle e su tutti gli oggetti che popolano il cielo. Avevo solo 17 anni ed ero rimasta completamente affascinata da un professore, che poi sarebbe diventato un mio professore universitario, che raccontava a noi studenti come ha avuto origine l'Universo. Non che il cielo stellato non avesse avuto prima di allora alcuna attrattiva su di me (e su chi non ne ha?!)... Ma quella è stata senza dubbio una svolta significativa per me: passare da ammirare qualcosa di bello, le stelle, al chiedersi perché sia lì, cosa faccia, come funzioni. Penso che, in fondo, sia questa la prima mossa di un uomo (e di una donna) di scienza: chiedersi il perché di ciò che lo colpisce, e andare a fondo di quella cosa fino a sviscerarla del tutto. Posso assicurare che questo non toglie nulla al romanticismo e alle emozioni che si provano quando, nelle notti serene, si alza la testa verso l'alto e ci si lascia rapire dalla sensazione di infinito che una bellezza simile inevitabilmente suscita. Così, non senza timori, 
ho iniziato a studiare Fisica, e poi Astrofisica, fino alla laurea (pochi mesi fa). 
Al primo anno di Università ho avuto la grande occasione di utilizzare un telescopio per la prima volta. Si trattava di un piccolo telescopio che mi era stato regalato in onore della mia passione per le stelle, un rifrattore di 10 centimetri di diametro che di per sé non è in grado di mostrare chissà che... Ma immaginate che emozione grande sia stata per me osservare per la prima volta Giove e i suoi satelliti, Saturno e i suoi anelli, la Luna con i suoi crateri, l'alone verdastro che denota la presenza della nebulosa di Orione!
Per la prima volta, quello che studiavo era vero, davanti ai miei occhi! All'ora non avrei mai immaginato che avrei potuto arrivare dove sono oggi, ad osservare con un telescopio di 2 metri, a prendere dati su sorgenti molto più esotiche rispetto ai pianeti del sistema solare: buchi neri supermassicci al centro di galassie attive! 

Un'altra magnifica immagine del NOT
Con questo spirito attendo le osservazioni di domani: una grande attesa, che in fondo è iniziata tanti anni fa. Sarà certamente qualcosa di nuovo e stimolante per me, appena uscita dall'Università e abituata a lavorare su dati che qualcuno di più esperto di me ha avuto la fortuna di andare a prendere. 

Ora mi fermo, aspettando di poter fornire qualche dettaglio in più domani, dopo essere stata al NOT! A domani!

sabato 8 marzo 2014

Mimose astronomiche

Oggi, 8 marzo 2014, è la festa della donna!
La luna piena e delle mimose!

Lasciamo un attimo da parte tutte le, per altro non prive di interesse, discussioni sul significato di questa ricorrenza. Ma utilizziamola come veicolo per introdurre un tema ampiamente dibattuto ma sempre di interesse: la presenza femminile nelle scienze in generale e l'astronomia in particolare.

Qualche tempo fa due colleghi dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), Maria Francesca Matteucci e Raffaele Gratton hanno pubblicato uno studio decisamente interessante (qui, in inglese) e dai risultati per certi versi inattesi. La presenza femminile nelle scienze è ancora ridotta, ma la situazione è decisamente migliore, in particolare in astronomia, per alcuni paesi tra cui l'Italia. Abituati a fare i conti quotidianamente con le mancanze del nostro Paese non si può dire che la notizia non colpisca. Un sunto dello studio con vari commenti ed interessanti tabelle e grafici lo si può trovare riportato da Media INAF, il prezioso periodico web dell'INAF di informazione e divulgazione sulle attività dell'ente. La peculiarità italiana è ancora più evidente se si considera che gli altri paesi che godono del privilegio di avere una nutrita presenza femminile negli ambienti accademici sono, mi si passi la parola, relativamente marginali per impatto scientifico, figlio ovviamente del peso economico globale. 
In un altro servizio sempre preso da Media INAF l'argomento è introdotto con un titolo piuttosto ardito. L'astrofisica sarebbe addirittura "Femmina e latina"! Ardito ma suggestivo, evocando in effetti immagini cinematografiche mediterranee.

Non è ovviamente che manchino difficoltà o ambiguità, ma senza dubbio si tratta di un patrimonio di cui il nostro sistema accademico, spesso (ed arbitrariamente) denigrato se non dileggiato, può certamente gloriarsi. Abbiamo presenze femminili ad alto livello, come ad esempio la già citata Francesca Matteucci, ordinario all'Università di Trieste, accademica dei Lincei, presidente del Consiglio Scientifico dell'INAF, e chissà cos'altro...

Ma ci sono anche le nuove leve. Ragazze competenti ed appassionate di scienza. Ed ancora in occasione della festa della donna è proprio di una di queste di cui parliamo oggi, e nei prossimi giorni: Cristina Baglio.
Cristina è una giovane ricercatrice in forza all'INAF / Osservatorio Astronomico di Brera e all'Università Insubria di Como dove sta seguendo i corsi per ottenere il dottorato di ricerca. Cristina si è occupata in passato di binarie X, sistemi binari dove le caratteristiche fisiche delle componenti il sistema e la distanza fra le stesse generano fenomeni estremamente energetici e molto affascinanti. La tecnica osservativa di studio che ha applicato, insieme al suo gruppo di ricerca guidato da Sergio Campana e Paolo D'Avanzo, non è certo una delle più semplici, si è trattato di compiere analisi di polarizzazione.

Il compiere osservazioni è agli occhi degli appassionati e del grande pubblico l'attività principe degli astronomi. La figura dell'astronomo, barbuto e magari un po' misantropo, sul picco di una montagna con il suo telescopio è quasi parte dell'immaginario collettivo. Una figura non corrispondente certamente alla realtà, ma stridente in maniera quasi comica quando pensiamo che le osservazioni sono compiute, come sarà a breve il caso, da giovani donne!
Una magnifica sequenza di telescopi a La Palma

Cristina, infatti,  domani partirà con un collega, Igor Andreoni, altro dottorando di Brera, per una missione osservativa con l'obiettivo di compiere osservazioni polarimetrie. In questo caso di altre categorie di sorgenti e le osservazioni saranno effettuate con il telescopio NOT (Nordic Optical Telescope) da 2,5m situato sull'isola di La Palma, nell'arcipelago delle Canarie. Il NOT, come molti altri telescopi, è situato sulla cima di un vulcano spento dove abbiamo una delle più ampie concentrazioni di telescopi dell'emisfero nord. Un'ambiente affascinante  e ricco di suggestioni.

E come suggello del tema di oggi, donne ed astronomia, Cristina nei prossimi giorni ci comunicherà i suoi appunti di viaggio! Una maniera non del tutto ovvia di comunicare la scienza... con gli occhi delle donne di scienza!


venerdì 21 febbraio 2014

Cosa alimenta le stelle?

La risposta, almeno fra gli appassionati, è abbastanza nota. È la fusione nucleare, ovvero il processo tramite il quale da elementi semplici (idrogeno, elio, ecc.) si formano elementi più complessi producendo nel contempo energia che va in parte a sostenere le strutture stellari. 

Meno noto è forse invece che lo studio della catena di reazioni che si è trovato essere efficaci negli interni stellari ha generato una ricaduta inaspettata ed eccezionale allo stesso tempo. Le abbondanze degli elementi chimici che osserviamo nell'universo mostrano la traccia chiarissima delle reazioni di fusione stellari, ma per poter ricostruire l'arricchimento chimico dell'universo, come il processo viene chiamato, è necessario ipotizzare che le prime stelle si siano formate da una miscela di idrogeno ed elio pressoché puri, ed in percentuali relativamente precise. Una miscela che si può essere naturalmente formata se l'universo nei suoi primordi, ovvero prima che si formassero le prime stelle, ha sperimentato una fase di breve durata ma caratterizzata da grandi densità e temperature. Come dire le fasi immediatamente successive al fenomeno che noi chiamiamo oggi "big bang"!
La corrispondenza molto precisa delle abbondanze chimiche dell'universo con i risultati attesi per delle reazioni nucleari primordiali e poi successivamente quelle efficaci all'interno delle stelle è uno dei tre pilastri osservativi su cui si fondano le varie sfaccettature della teoria del big-bang. Le altre due, per inciso, sono l'osservazione del fondo cosmico di microonde e l'espansione delle galassie.

Tornando alla fusione nucleare all'interno delle stelle, uno degli aspetti più intriganti di tutto questo è che all'epoca della pubblicazione de "L'origine delle Specie" da parte di Charles Darwin, nel 1859, il dibattuto sulla reale età della Terra era estremamente sentito in quanto, ad esempio, i tempi necessari per l'evoluzione biologica erano ampiamente troppo lunghi per i meccanismi di sostentamento della luminosità solare che allora venivano ipotizzati. Era una critica nemmeno mal posta all'evoluzionismo biologico. Fu solo infatti diversi decenni dopo che divenne chiaro che il nostro mondo doveva esistere da almeno qualche miliardo d'anni, e che la fusione nucleare offriva un meccanismo plausibile per sostenerne la fonte di energia: il Sole.

Ma probabilmente l'aspetto più suggestivo, almeno a livello divulgativo, di tutta questa tematica è lo scoprire come letteralmente noi siamo "figli delle stelle". Gli elementi chimici di cui siamo composti sono stati sintetizzati, prima che il Sole ed il nostro sistema solare si formasse, all'interno di una stella di massa maggiore del nostro Sole. Questa, al termine della sua vita evolutiva, è quindi esplosa come supernova e ha "inquinato" il gas da cui il Sole si è formato di elementi pesanti. Elementi che circa 5 miliardi di anni dopo ritroviamo a formare la Terra e noi stessi.

Queste, ed altre tematiche, sono state argomento di una conferenza tenuta presso gli amichevoli locali del Planetario di Lecco su organizzazione del locale attivo gruppo astrofili (Deep Space) qualche settimana fa. 

Per chi fosse interessato le trasparenza della conferenza sono disponibili qui!