lunedì 11 gennaio 2016

A Milano per questo telescopio non c'è posto...

Accade abbastanza spesso che nella storia delle cose umane "oggetti" diventati con il tempo privi di interesse pratico, se non quasi un peso di cui liberarsi, dopo qualche decennio possano diventare invece parte di un patrimonio storico da preservare e valorizzare. Gli strumenti scientifici non fanno eccezione, anche se non sempre sono sentiti dalla pubblica opinione come parte di un eredità culturale, quantomeno al di fuori degli ambiti più o meno ristretti dei laboratori e dei musei.

Ci stiamo riferendo, qui, al Telescopio Mertz alla cui vicenda storica, quasi un'epopea, abbiamo dedicato la puntata precedente di questo blog. A tutti gli effetti questo telescopio, sia come vero e proprio strumento avanzato di ricerca scientifica, sia per ciò che ha rappresentato per l'Italia di quegli anni, assume un ruolo di testimone prezioso di un'epoca. Eravamo rimasti alla fine della vita operativa di questo strumento che, grossomodo negli anni '60 del secolo scorso finiva, diviso nelle sue varie componenti non immediatamente riutilizzabili, imballato in casse conservate nei locali dell'Osservatorio Astronomico di Brera. Fine comune ed in fondo comprensibile di uno strumento scientifico quando il progresso tecnologico lo rende obsoleto.

Tuttavia, l'idea di poter rimettere a disposizione non tanto degli scienziati, ma quanto del grande pubblico, quello che è stato un autentico gioiello dell'astronomia milanese ed italiana in realtà è sempre stata presente fra gli astronomi di Brera. Si dovette però aspettare una cinquantina d'anni affinché i tempi divenissero maturi per iniziare un'opera di restauro, quando cioè i vari fattori necessari si combinarono in maniera opportuna.

Il recuperare uno strumento scientifico, le cui componenti, quelle che ancora esistevano almeno, erano spesso in condizioni di precaria conservazione non è infatti un intervento facile e richiede competenze specialistiche e fondi per coprire le inevitabili spese. E le competenze furono trovate in realtà a poca distanza, sia fisica che "relazionale" dalla sede storica dell'Osservatorio nel palazzo di Brera.
Alcune delle fasi iniziali del restauro
A Milano, infatti, esiste un'associazione, per molti aspetti straordinaria ed allo stesso semi-sconosciuta, che si occupa del recupero di strumenti scientifici antichi: la Associazione per il Restauro degli Antichi Strumenti Scientifici (ARASS). Si tratta di un'associazione che agisce su base in gran parte (anche se non solo) volontaria e che vede il contributo di persone di varia competenza, ingegneria, elettronica, meccanica, ebanisteria, ecc. e che da diversi anni si occupa di rimettere "a nuovo" il patrimonio strumentale di cui, tanto per cambiare, il nostro paese è estremamente ricco. Non mi dilungo ulteriormente nel descrivere le molteplici attività, passate e presenti, di ARASS, il sito dell'associazione è una buona fonte di informazioni ed in questo video uno di tecnici di ARASS, Nello Paolucci, descrive in breve le attività dell'associazione:


Quello che comunque a noi preme qui è che ARASS pochi anni fa prese in carico il restauro del glorioso telescopio. Il secondo tassello, quello dei fondi per il restauro stesso, vide invece soluzione quando l'On. Lino Duilio, a suo tempo Presidente della V Commissione Bilancio della Camera, si interessò alla vicenda ottenendo lo stanziamento di un finanziamento di circa 80.000€ nell'ambito più generale dei fondi a disposizione per il recupero del patrimonio artistico e culturale locale. 

Il processo complessivo di restauro meriterebbe in effetti una descrizione approfondita, diversi infatti sono stati i problemi che i tecnici di ARASS si sono trovati ad affrontare: da reperire disegni originali per ricostruire eventuali parti mancanti, a studiare soluzioni che permettessero di ridare allo strumento una struttura stabile ed allo stesso tempo documentare con accuratezza ogni passaggio. Un processo alquanto delicato in diverse fasi ma che è ormai, proprio di recente, arrivato alla sua felice conclusione. Il telescopio, decisamente maestoso nella sua completezza, è ormai pronto per essere portato in una sede espositiva adeguata e, possibilmente, valorizzato in un contesto nel quale sia possibile informare il visitatore sulle vicende storiche di questo strumento.
Il sottoscritto fra gli On. Bianco e Duilio
nei laboratori dell'ARASS
Ed è qui, purtroppo, che la vicenda prende una piega sostanzialmente inaspettata a causa di una questione complessa che non riguarda più il restauro o la storia del telescopio stesso, o i temi scientifici, ma che invece coinvolge il contesto culturale della città di Milano e le sue autorità politiche e personalità culturali.


Come si era accennato, il telescopio verso gli anni '30 del secolo scorso fu trasportato a Merate, dove abbiamo una delle due sedi dell'Osservatorio Astronomico di Brera, e lì rimase operativo fino gli anni '60. Oggigiorno la cupola originaria in cui era installato è occupata da um altro telescopio, di concezione più moderna, il telescopio Ruths, che fu progettato e costruito come dimostratore tecnologico di un'innovativa, per i tempi, tecnologia per costruzione di specchi per uso astronomico. Questo di fatto però implica che non sarebbe possibile, anche assumendo che avesse significato, rimettere il telescopio di Schiaparelli nella sua struttura meratese. 

In realtà fin dall'inizio dell'operazione ciò a cui si era pensato era di trovare una collocazione degna dello strumento pensando al tutto in una moderna logica espositiva. Una collocazione che valorizzasse lo strumento ed il suo significato ad esempio per la città di Milano e la sua storia industriale e culturale. Le possibilità potrebbero essere molte, tutte cariche di importanti enfasi espositive. Da, ad esempio, riportarlo a Milano presso la sede storica dell'Osservatorio nel Palazzo di Brera, ad altre collocazioni in centro città fra cui, forse, giudizio dello scrivente, la più significativa di tutte: ovvero il Museo della Scienza e Tecnica di Milano. Il magnifico museo milanese, per altro, già ospita significative testimonianze scientifiche ed industriali legate alla città di Milano. Si era anche pensato, ad un certo punto, ad una possibile valorizzazione, in questa caso naturalmente temporanea, legata all'Expo milanese da pochi mesi conclusa.



Nessuna di queste soluzioni, più o meno fattibili tecnicamente, è naturalmente a costo zero anche se si tratta, come per altro per il restauro, di cifre spesso oggettivamente modeste. Ma quello che non ci si aspettava, quantomeno fra coloro che hanno lavorato per rendere l'impresa possibile è stato il registrare una sostanziale indifferenza delle istituzioni milanesi alla cosa.



Qui non è che si voglia fare di tutta la proverbiale erba un fascio, e tantomeno unirsi all'improbabile coro dei critici della casta, nelle sue variegate forme. Non è questo il caso. E tantomeno disconoscere che si tratta di una questione non banale. È però vero che, a parte generiche attestazioni di interesse verso la vicenda, la sensazione è che realmente lo stesso interesse sia scarso, magari anche solo perché in buona fede non si è compreso di quanto importante e significativo questo strumento sia stato per la città. Certo che una classe dirigente, o alcune componenti della stessa, che disconosco il valore della memoria collettiva offre il fianco a diverse perplessità.

Del problema se ne è parlato in diverse occasioni ed in diverse sedi. Dalle pagine del Corriere della Sera, ad esempio, Giovanni Caprara, noto giornalista scientifico, non ha mancato di raccontare questa vicenda per certi versi senza dubbio incresciosa (qui l'articolo). Ed in più occasioni l'Osservatorio non ha mancato di sollecitare direttamente o indirettamente l'interesse delle istituzioni anche sollecitando, e spesso ottenendo, l'interesse dei media, come nell'occasione della presentazione pubblica del completamento del restauro da parte dell'allora Direttore Giovanni Pareschi:




Evento commentato anche da Severino Colombo ancora sulle pagine del Corriere della Sera:


L'articolo originale è reperibile qui.

Tuttavia, a tutt'oggi, una soluzione per la collocazione definitiva e di valore espositivo dello strumento non si vede. Non rimane che continuare nei limiti delle nostre possibilità a sensibilizzare l'opinione pubblica e le autorità competenti.