giovedì 16 febbraio 2017

Democrazia diretta e democrazia indiretta

Quale relazione ci può essere fra un blog dedicato alla cultura e divulgazione scientifica e temi politici? 

Certamente non molto rilevanti, se di intende con “politica” lo schierarsi da una parte o dall’altra. In fondo concetti come opinione e convinzione, e tutto il corollario emotivo che sono tipici della vita politica di un paese, sono abbastanza alieni alla metodologia scientifica.
Tuttavia, le relazioni possono invece diventare strette se si esce dalla logica del quotidiano e dello schieramento e ci si propone di discutere degli “strumenti” tramite i quali si esprime la vita politica stessa di una democrazia. Esiste infatti a possibilità di affrontare questioni come, ad esempio, l’efficacia di varie possibili leggi elettorali, la configurazione istituzionale e molti altri con le metodologie tipiche dell’analisi scientifica nel sociale.

Un caso molto interessante, e con conclusioni parzialmente sorprendenti, è stato trattato abbastanza di recente da Björn Tyrefors Hinnerich and Per Pettersson-Lidbom, due economisti dell’Università di Stoccolma, che hanno pubblicato nel giornale “Econometrica” un lavoro dal titolo: “Democracy, Redistribution, and Political Participation: Evidence from Sweden 1919-1938” (Democrazia, Redistribuzione, e Politica Partecipativa: Evidenze dalla Svezia fra il 1919 ed il 1938). 

L’antefatto è legato ad una serie di importanti riforme attuate in Svezia nei primi decenni del ‘900, e fra le quale la configurazione delle istituzioni amministrative dei comuni al di sotto ed al di sopra dei 1500 abitanti (di allora, quindi non paesi piccolissimi). 
Al di sotto di questo limite le comunità dovevano essere gestite con metodologie da “democrazia diretta”. Le decisioni infatti venivano prese con assemblee pubbliche formate dai cittadini, al tempo probabilmente maschi ed adulti, ed essenzialmente si votava con alzata di mano. Invece per quelli più popolosi di questo limite si dovevano avere consigli comunali eletti ogni 4 anni con partiti e quant’altro, in maniera non dissimile da quanto abbiamo noi.

I ricercatori che hanno curato questo studio hanno quindi selezionato dei comuni un po’ più grandi ed un po’ più piccoli di questo limite, in modo da avere un campione di confronto ragionevolmente omogeneo. Ed hanno cercato di identificare se vi fossero delle differenze nelle politiche condotte in queste città.

E con qualche sorpresa, come si era anticipato, si osservò che nei comuni gestiti a democrazia diretta, rispetto agli altri, le spese che oggi definiremmo per “welfare” erano del più basse di circa il 50%. Un valore decisamente rilevante.

L’interpretare questo "dato osservativo" non è necessariamente banale. Sempre gli stessi ricercatori hanno proposto una chiave interpretativa abbastanza verosimile secondo la quale la configurazione a "democrazia diretta", pur con la sua oggettiva seduzione concettuale, tenderebbe a lasciare i singoli cittadini, oggi diremmo l’utenza diffusa, senza protezione e, di fatto, influenzabile con maggiore facilità dalle personalità più rilevanti di una comunità. Personalità che, inevitabilmente, erano spesso anche i più benestanti. Al contrario, laddove la rappresentanza era indiretta, e quindi gestita da partiti, politiche di ridistribuzione delle risorse  o comunque a vario titolo  “sociali", potevano essere portate avanti con maggiore efficacia. 

Il tutto è oggettivamente interessante, in quanto suggerisce che i meccanismi di rappresentanza diretta non siano efficaci ad ottenere il risultato che spesso viene invocato per la loro adozione. Naturalmente non è immediato estrapolare dalla realtà presa in esame ad una regola generale, anche se ho sentito citare questo lavoro per la prima volta da un dibattito svolto nel Canton Ticino, dove apparentemente lo stesso fenomeno è in azione.

Rimane invece vero, considerazione da tenere in debita importanza in periodi di discussione su leggi elettorali, che la scelta di una specifica modalità istituzionale, anche nell'ampio scenario offerto dalle moderne democrazie, non è mai realmente neutra o solamente conforme ad una astratta visione concettuale. Molto spesso le conseguenze su come una società si modifica in base alle scelte fate possono essere molto meno semplici da identificare ed immaginare di quanto comunemente pensato.

venerdì 13 gennaio 2017

Una buona scuola

La scuola, buona o meno buona che sia, è sempre stato un argomento di dibattito politico, talvolta anche veemente, Infatti, per la verità, non ricordo che sia mai stato diverso anche in passato, quando da ragazzo ogni mattina ci si trovava fra banchi e visi famigliari. Ogni riforma o proposta di riforma, è sempre stata accolta od osteggiata con toni (melo-)drammatici e, in generale, le lamentele sono sempre state più abbondanti dei plausi. Con ruoli spesso curiosamente ribaltati al cambio delle maggioranze di governo.

Rimane però vero che la scuola, al di là della contingenza politica, è il luogo principe dove i nostri giovani si formano, tecnicamente certamente, ma anche in relazione alla coscienza, civile e culturale. 

La vulgata comune, come è noto, tende a descrivere le nostre istituzioni scolastiche come decrepite e, sostanzialmente, inefficienti. Non è che i problemi manchino in effetti, tuttavia la realtà è parecchio più variegata ed è possibile proporre un’analisi un po’ meno emotiva e più distaccata della situazione reale sia per scuole primarie e secondarie che per le università. Ma basta in realtà davvero dare un’occhiata al mondo della scuola senza paraocchi per trovare delle situazioni di assoluta eccellenza, in cui cioè docenti e studenti stringono un’alleanza positiva ottenendo risultati didattici di assoluto valore. Alcuni anni fa’, ad esempio, avevo riportato un’esperienza legata alla didattica dell’astronomia che vedeva un approccio sinergico fra cultura umanistica e scientifica attraverso una lettura critica dell’Odissea.

Ora, invece, mi è capitato di conoscere un progetto, denominato “Vola l’universo”, ideato dalla Prof.ssa di Science Naturali dell’IIS Manfredi Azzarita di Roma Claudia Barucci. L’idea, senza dubbio interessante, era di sviluppare, nel corso dell’anno scolastico 2015 - 2016, un piccolo filmato amatoriale su tematiche di chimica od astronomia da parte degli studenti. Sono venuto a conoscenza di questo progetto tramite, appunto, uno di questi ragazzi, Cristian Sicorschi che mi aveva contattato casualmente su Facebook .

A dire il vero, Cristian, descrivendo le vari fasi del progetti, ha anche candidamente ammesso che lo stesso non fu mai consegnato nei tempi previsti, anche perché oggettivamente si tratta di un’impresa non banale. Ed invece, con il benestare della docente, dopo diversi mesi un filmato di una quarantina di minuti, denso di contenuti e di spunti interessanti ha finalmente visto la luce. L’impegnativo documentario è reperibile su youtube, ed ha visto insieme a Cristian operare altri due studenti: Dario Albert Bel e Stefano Mossa. Uno egli aspetti più intriganti di questo lavoro è che mentre Cristian risiede a Roma, Dario e Stefano vivono rispettivamente in Puglia ed in Sardegna. Un esempio pregevole di collaborazione nell’epoca del web. Considerando ovviamente i mezzi a disposizione, la complessità tecnica, e certamente il contesto di scuola secondaria, il risultato è senza dubbio pregevole.

Una buona scuola.