domenica 10 giugno 2012

Ricerca e spending review

ovvero, non è che "taglia di qui e taglia di là" si ridurranno ancora una volta i fondi a disposizione della ricerca in Italia?

L'allarme lo lanciano tre sigle sindacali: FLC CGIL, FIR CISL e UIL RUA. 
Inciso... se al momento vi sfugge il significato delle sigle associate a quello delle tre principali organizzazioni sindacali del nostro paese siete in buona compagnia. Significano, google docet: FLC, Federazione Lavoratori della Conoscenza; FIR: Federazione Innovazione e Ricerca; RUA: Ricerca Università Afam, dove prevenendo l'ulteriore obiezione, Afam sta per Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica.

Tornando seri, il rapporto fra sindacati e mondo della ricerca è, in realtà, complesso e non privo di contrasti. Il documento in cui si invita il Governo ad atti coraggiosi ed innovativi, per l'Italia, in favore della ricerca ed innovazione è però degno di nota (scaricabile qui), anche se non necessariamente condivisibile in ogni suo punto. E comunque merita considerazione permettendo di identificare in forma sintetica alcuni dei principali problemi che affliggono il mondo della ricerca italiana in maniera sempre crescente.

Schematicamente:
  1. Esiste una relazione strettissima fra ricerca, di base ed applicata, e competitività di un sistema industriale avanzato. In effetti è un tema talmente dibattuto che, a tutti gli effetti, potrebbe apparire scontato. Nella realtà non mancano affatto contesti sociali, anche di rilievo, in cui la ricerca è vista come un "lusso insostenibile".
  2. Questo lo aggiungo io: Anche dove questa associazione è accettata si ha spesso una visione distorta della ricerca  italiana, vista in maniera poco differenziata da un qualunque baraccone del pubblico impiego, nella migliore delle ipotesi patria di indolenti nullafacenti. Non mi addentro nella sociologia dei rapporti fra Cittadino e Pubblica Amministrazione, ma per quanto possa servire vale la pena di ricordare che la ricerca di base è a tutti gli effetti una delle eccellenze del Paese. Qualcosa di cui andare orgogliosi piuttosto che bollare come irrilevante sulla base dei propri pregiudizi.
Di fatto, sebbene almeno a livello di dibattito politico questi argomenti sembrano essere accettati e condivisi, nella realtà evidentemente non è così. Basti ricordare, per esempio, e sempre facendo riferimento al documento delle sigle sindacali che:
  1. Allo scopo di ottenere risparmi di bilancio in seguito a tagli continui perpetrati dai vari governi che si sono succeduti nel nostro Paese negli ultimi anni, di fatto è stata abolita pressoché qualunque progressione di carriera per il personale degli enti di ricerca ed Università. Come dire, che lavorare in Italia non solo implica il dover combattere con finanziamenti di minore entità e di difficile prevedibilità, ma sta diventando sempre più una specie di "missione", con la certezza di non avere alcun riconoscimento, anche solo di forma.
  2. Stanno ancora peggio i giovani, come sempre. I nostri enti di ricerca ed Università hanno accumulato negli anni un numero enorme di precari, ovvero persone che dopo anni di formazione ed attività di ricerca con contratti a termine non hanno letteralmente nessuna possibilità di poter ottenere una posizione stabile come scienziati. Per l'INAF, a margine di circa un migliaio di dipendenti, i precari sono vicini a numero impressionanti di 300. Una situazione esplosiva frutto ancora delle politiche di contenimento della spesa che hanno pianificato ed attuato un programma di diminuzione del numero di ricercatori in Italia. 
Queste politiche di contenimento della spesa presentano due punti critici fondamentali. Il primo di questi è che sono slegati da qualunque valutazione di qualità. Sono puramente numerici. Ad esempio il cosiddetto turn-over, ovvero il fatto che le risorse liberate da chi va in pensione sono riutilizzabili per l'assunzione di nuovo personale giovane solo nella misura del 20%. Vale a dire, tenendo conto dell'anzianità, ecc., per poter assumere un giovane devono andare in pensione grossomodo 3 anziani. 
E quindi l'Italia è uno dei paesi avanzati con il poco invidiabile record di investire in ricerca programmando la riduzione del numero di scienziati...
Il secondo è che sono troppo generici. Questi meccanismi di contenimento della spesa, nella loro brutalità, non riguardano solo enti di ricerca ed Università, con alcune eccezioni, ma in generale tutto il pubblico impiego. Tuttavia, il non sapere, plausibilmente per problemi di accettazione da parte della pubblica opinione,  definire delle priorità per il mondo della ricerca è una colpa grave da parte della politica del nostro Paese. Dove serve, con buone ragioni, è stato fatto. Per esempio per forze armate, polizia, in qualche caso sanità, ecc. E' solo questione di volontà politica.


Qualche speranza l'aveva suscitato l'attuale Governo tecnico, ma fino ad ora non si possono registrare interventi di sostanza anche se è corretto riconoscere che se non altro non c'è un atteggiamento definibile quasi di ostilità come quello che emergeva anche solo poco tempo fa. E' decisamente preoccupante però che in più occasioni il Min. Profumo abbia prospettato scenari di sostanziale ridimensionamento per la ricerca italiana, sempre più incapace di sostenersi con investimenti interni, da parte dello Stato, ed invitata a considerare i fondi esterni, come per esempio quelli di provenienza dall'Unione Europea, come fonte primaria. 
Naturalmente l'argomento è complesso, e non c'è dubbio che il Paese debba migliorare la propria capacità di attrarre finanziamenti internazionali di tipo premiale. Ma venendo a mancare o diventando marginale il ruolo dello Stato, nella pratica si trasformerà la comunità scientifica italiana in una comunità scientifica "di italiani", con legami sempre meno stretti con la realtà produttiva e sociale e sempre più invogliata raggiungere, anche fisicamente, quei paesi più attivi nel settore della ricerca ed innovazione, portando di fatto ad una marginalizzazione culturale ed economica del nostro Paese.

Come concludono le sigle sindacali, il tempo delle ambiguità è finito. Ormai non è più procrastinabile il prendere decisioni importanti e lungimiranti. Non è solo in gioco qualche settore della ricerca di base, e magari anche applicata, italiana. C'è molto di più. O si costruisce una nuova identità sociale e culturale del Paese, con rinnovata capacità di innovare e costruire il futuro, oppure siamo realmente alla fine dei giochi.




1 commento:

  1. Ciao Stefano, condivido in pieno ... aggiungerei una considerazione in più'.
    Immagiamo che riusciamo ad attrarre fondi UE per il 2013 e il 100% della ricerca lo finanziamo così'. I cittadini inconsapevoli saranno contentissimi ... e se poi il 2014 andasse male perché' per esempio la UE ha la priorità' di salvare banche?! Quale banca o imprenditore metterebbe mai il suo portafoglio tutto nelle mani altrui e di fatto mettendosi in condizione di non potere più' esercitare il diritto di decidere su che cosa e quanto investire!? Premetto che ho appena ricevuto rimborso da europlanet per una missione estera ... quindi, come tutti, mi sforzo di "sfruttare" i canali di finanziamento UE ... ma ci deve essere un equilibrio tra le risorse di finanziamento ... altrimenti finisce come con le arance siciliane ... spariranno da ogni mercato pur essendo le migliori!

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