giovedì 9 agosto 2012

Competitività della ricerca e finanziamenti europei

Alcuni mesi fa ho assistito a Lecco, organizzato dalla locale Camera di Commercio, ad un incontro sul tema della relazione fra formazione ed innovazione. L'area lecchese, ho scoperto, ha il privilegio di essere uno dei migliori esempi italiani di sinergia fra università ed aziende. 

All'incontro ha partecipato anche il min. Profumo, ed in particolare ricordo un passo del suo discorso in cui, senza mezzi termini, diceva che il livello del finanziamento pubblico alla ricerca nei prossimi anni sarà, nella migliore delle ipotesi, costante e che, in ogni caso, era da considerare solamente come un aiuto per piccoli progetti mentre il grosso dei finanziamenti dovrà arrivare da bandi europei. Quello che accade, infatti, è che l'Unione Europea ha attivi dei programmi per il finanziamento della ricerca di base ed applicata ai quali possono partecipare ricercatori, sia di enti pubblici che privati, da tutta Europa ed anche spesso da alcuni stati coi quali ci siano accordi specifici.

Come alcuni ricorderanno abbiamo tempo fa parlato di un collega di Brera, Luigi Guzzo, che è stato appunto premiato con un cospicuo finanziamento per condurre ricerche su temi legati alla cosmologia.

Non desidero ora entrare nel merito della discussione, complessa, su quale debba essere la fonte migliore di finanziamento per ricerca di base, anche di questo ne abbiamo già parlato per altro. Tuttavia sia dall'intervento del Ministro che in generale tramite notizie a mezzo stampa e TV sappiamo che l'Italia, a margine di una competitività eccellente dei propri organismi di ricerca parrebbe essere invece uno dei paesi agli ultimi posti in Europa per le capacità di attrarre finanziamenti premiali. Un tema ricorrente, anch'esso ben noto, è che noi in Europa spendiamo più di quanto siamo capaci di ricevere. 

Si badi che qui si parla specificatamente di fondi premiali per ricerca e sviluppo, non entro nel merito di altre voci di finanziamento europeo che coinvolgono altri settori come la Pubblica Amministrazione in generale. Fondi premiali significa, essenzialmente, che per avere accesso a questi fondi è necessario preparare un dettagliato programma di ricerca, un piano di spesa, ecc. e che lo stesso viene valutato da apposite commissioni in una o più fasi successive.

Ebbene, come stanno le cose?

Diamo un'occhiata al grafico che presento qui di seguito: 

E' ricavato dalla pubblicazione "Strategic Plan for Astronomy in the Netherlands 2011-2020 (http://xxx.lanl.gov/abs/1206.5497). L'istogramma mostra, limitatamente all'astronomia, il numero di finanziamenti fra il 2008-2011 ottenuti da vari paesi europei, in assoluto e normalizzati alla popolazione degli stati.
Come possiamo vedere il numero assoluto di finanziamenti ottenuti dall'Italia è abbastanza lusinghiero, ma una volta che normalizziamo il tutto alla popolazione del paese ecco che in questa classifica siamo al penultimo posto. Dopo la Germania, anch'essa non molto ben piazzata, e prima della Polonia. A margine segnaliamo come l'Olanda in questa classifica eccella ed in effetti l'organizzazione della ricerca scientifica e formazione olandesi sono realmente uno dei punti di eccellenza di quel paese.

Tuttavia prendere questi risultati senza discussione rischia di portare a risultati a dir poco fuorvianti. Con un collega di Brera, Giacomo Bonnoli, abbiamo infatti cercato di capire meglio quale sia il livello di competitività italiana in questo settore. Se non altro per risolvere l'evidente contraddizione fra un settore, quello della ricerca, che si dice, ed i numeri lo confermano, essere una delle punte di diamante del sistema Italia e che invece non appare essere molto ben valutato a livello europeo.

Come sempre il problema è che le statistiche sono uno strumento prezioso, insostituibile, di analisi socio-economica a patto di sapere cosa si fa, e di farlo bene. C'è sempre spazio per miglioramenti ed affinamenti, ma non c'è spazio di superficialità ed approssimazioni. 

L'idea fondante della nostra analisi è che appare senz'altro vero che diamo all'Europa più di quanto siamo in grado di recuperare. Tuttavia, i contributi versati da ogni paese sono naturalmente proporzionali al PIL dello stesso, che nel caso dell'Italia è comunque di tutto rispetto. La "popolazione" che è in grado di competere per ottenere i finanziamenti, ovvero i ricercatori, nell'accezione più ampia del termine, è invece, e non è un segreto, molto ridotta per un paese ad economia evoluta come il nostro. Questo sia in rapporto alla popolazione generale, quella utilizzata nel grafico precedente, sia in rapporto al PIL stesso. 

Innanzitutto abbiamo cercato di ottenere dei dati sufficientemente aggiornati sui finanziamenti europei per la ricerca. Le fonti possono essere le più disparate, ma noi abbiamo utilizzato questa basata sul magazine online della Società Italiana di Statistica. 
Dall'articolo segnalato riportiamo una tabella relativa al programma quadro FP7, ovvero il più recente fra i programmi di finanziamento europei. La tabella che ci interessa è mostrata di seguito:


Come vediamo, a confronto con altri 5 grandi stati europei, Germania, Francia, Regno Unito, Olanda e Spagna, il nostro Paese ha una percentuale di successo nell'ottenimento dei finanziamenti di poco più del 18%, minore di quello di tutti gli altri paesi considerati, anche se non dissimile a quello della Spagna. Di seguito in forma grafica:


Ora, a dire il vero, una percentuale del 18% non è affatto disprezzabile, rimane però vero che gli amici olandesi arrivano al 26.1%, come dire che per noi meno di una domanda su 5 è finanziata, mentre per loro più di una su 4. E' un segno, quindi, che effettivamente un "gap" di competitività con i (migliori) paesi europei esiste. Non mi dilungo in questa sede a cercare di identificarne le cause, ma sarebbe anche questo un interessante ed importante argomento di discussione.

In questo sito, invece, abbiamo recuperato dei dati ragionevolmente aggiornati sul prodotto interno lordo (PIL) di vari paesi europei (al 2010) sia totale che pro-capite. Riporto di seguito la tabella principale:


Come si vede, ed è ben noto, Italia e Spagna sono fra i 6 paesi considerati quelli con PIL pro-capite più ridotto, sebbene naturalmente non disprezzabile in assoluto. Rispetto all'Olanda ogni cittadino italiano, per semplificare, risulta avere a disposizione il 30% in meno di reddito. Un valore, si badi, enorme se pensato in una prospettiva di popolazione.

Infine presso l'Ufficio Europeo di Statistica, l'Eurostat, abbiamo recuperato informazioni sul numero di ricercatori (al 2010) impegnati nei vari settori nei vari stati europei e, come riferimento, Giappone e Stati Uniti. Per i "non addetti ai lavori" il numero di ricercatori è espresso in unità di FTE, o "Full Time Equivalent". Si tratta di una maniera che permette di confrontare la forza lavoro a disposizione superando in parte le differenze legislative, organizzative, ecc., esistenti fra paesi differenti. Anche qui riporto la tabella principale per i nostri scopi:


E si vede che anche in questa classifica l'Italia è lontana, anzi, lontanissima, dalle posizione di vetta. Vediamo meglio in forma grafica per i 6 paesi che abbiamo scelto per la nostra analisi:



E qui uno dei problemi del nostro Paese emerge con chiarezza. L'Italia investe in innovazione veramente molto poco, anche normalizzando i dati alla ricchezza del Paese, ovvero al PIL. I ricercatori, nel nostro Paese, sono merce rara.

A questo punto, mettendo insieme tutti questi dati, si ottengono risultati notevolmente interessanti e, direi, chiarificatori.

Come possiamo immaginare, la capacità di chiedere finanziamenti in regime premiale, e di ottenere risultati lusinghieri, dipende essenzialmente dalla capacità del "sistema ricerca" di produrre domande ben preparate e competitive, ed ovviamente dal numero di ricercatori che possono competere. Se proviamo a normalizzare le domande preparate dal nostro Paese alla forza lavoro per la ricerca, ovvero in sostanza al numero di ricercatori, pubblici e privati, che queste domande le possono preparare abbiamo che questi grafici ci comunicano una visione molto diversa della competitività italiana:



Come vediamo, prima di tutto il numero di richieste provenienti da ricercatori del nostro Paese è elevato, paragonabile a quello dell'Olanda se normalizziamo alla forza lavoro disponibile per la ricerca. Contrariamente alla percezione comune, i ricercatori italiani competono frequentemente a livello europeo, probabilmente anche spinti da una mancanza di finanziamenti "interni" che diventa sempre più severa anno per anno. Ed inoltre il tasso di successo in proporzione al numero di ricercatori è assolutamente prestigioso. Meglio di buona parte dei partner europei, e secondo solamente a quello dell'Olanda che, come abbiamo visto, è oggettivamente un paese all'avanguardia in questo contesto.

Per cui, in buona sostanza, non solo la ricerca italiana, pubblica e privata, si mostra estremamente competitiva, anche se ci sono chiari margini di miglioramento. Ma la mancanza di efficacia nel riportare "in casa" i finanziamenti a disposizione appare essere ampiamente attribuibile alla ridotta forza lavoro a disposizione. A tutti gli effetti l'Italia, non mettendo in campo una politica ambiziosa (o anche solamente sensata), a sostegno della ricerca ed innovazione, si trova paradossalmente a finanziare ricercatori di altri paesi per il semplice motivo di non averne a sufficienza nel proprio Paese. 
Addirittura quello che emerge è che, a fronte di risorse assolutamente non paragonabili a quelle a disposizione dei diretti concorrenti, buona parte del distacco in termini assoluti nella capacità di attrarre finanziamenti è recuperato proprio grazie alla vitalità (ed efficienza) della relativamente esigua coorte di ricercatori a disposizione.  

In un recente passaggio del Ministro, da un articolo comparso su Repubblica, si parla di 500 milioni "mancanti" proprio nel settore ricerca e innovazione. Per ottenere questi soldi bisognerebbe sostanzialmente raddoppiare la nostra capacità di attrarre finanziamenti. Verrebbe da dire che basterebbe avere un numero di "operatori" almeno in linea con quello dei paesi con i quali dovremmo confrontarci per ottenere il risultato desiderato. E tutto questo senza necessità di alcuna rivoluzione nella struttura degli enti di ricerca, università, ecc. 

Al lato pratico tuttavia nei prossimi anni invece l'Italia ha intrapreso con decisione la politica di ridurre, non aumentare, il numero di professionisti della ricerca, per lo meno, quelli su fondi pubblici. Questo non è il risultato di una specifica scelta politica, ma la conseguenza della mancata identificazione del settore ricerca (e formazione) come strategico, e quindi l'applicazione al settore dei vari provvedimenti volti al contenimento della spesa pubblica (blocco delle assunzioni, limitazione del turn-over, ecc.). Non appare, probabilmente è pleonastico dirlo, una politica molto saggia e lungimirante. 

Passatemi un paragone calcistico. Sarebbe folle un paese che decidesse di finanziare un campionato europeo alla pari di altri paesi europei, per poi scoprire però che non si hanno squadre sufficienti per partecipare e che quindi quei soldi, pagati dai contribuenti, verranno utilizzati da giocatori di altri paesi. E che, pur coscienti del problema, si è in aggiunta anche deciso di ridurre il numero di quelle esistenti. 
Del calcio, magari, si può anche fare a meno. Di ricerca ed innovazione in un paese come il nostro temo proprio di no.



lunedì 6 agosto 2012

Curiosity, killed the cat?

Ve lo ricordate quel gruppo pop inglese che si chiamava "Curiosity killed the cat"? Per chi era giovinetto nei lontani, drammaticamente lontani, anni '80 è un nome familiare. A dire il vero non mi ricordo con certezza una canzone specifica di questi tipi, ma il nome buffo mi è venuto in mente questa mattina mentre guardavo le immagini dell'atterraggio di Curiosity. Un collega che mi ha fatto giurare sul sangue di non rivelarne mai l'identità, ha avuto il coraggio di proseguire nella battuta chiedendosi se nell'atterraggio marziano la nostra amata sonda non abbia, appunto, schiacciato inavvertitamente un gatto marziano... 

A parte la battuta terrificante abbiamo comunque un altro rover che viaggerà su Marte se tutto va bene per un paio d'anni, e stavo pensando a quanti racconto o film di fantascienza ho incontrato in cui le desolate pianure marziane erano protagonisti di avvenimenti vari. Non poi tanti... in fondo i marziani sono un mito di fine ottocento, ma neppure pochi, magari più che altro con Marte colonia terrestre. Se non ricordo male gli invasori della "Guerra dei mondi", romanzo di Wells e film venivano da Marte. E Marte era lo scenario di "Atto di forza". Per non parlare delle suggestive fantasie del grande e da poco scomparso Bradbury o l'epopea dei canali di Schiapparelli e Lowell.

Tutto molto carino, si dirà, ma cosa centra tutto questo in un blog di cultura scientifica legato all'astrofisica? Tutto e niente, allo stesso tempo.

Come molti titoli di giornale hanno evidenziato, al momento del touch-down, ed immagino con conferma dalla telemetria che tutto fosse avvenuto nella maniera corretta, c'è stata un'esplosione di euforia generale, con tecnici ed ingegneri che si abbracciavano con un'enfasi gioiosa e, diciamolo, tutta americana. Però chi ha qualche dimestichezza con le missioni spaziali conosce l'enorme quantità di lavoro che sta dietro ogni minuto di missione effettiva, ed i lunghi anni di attesa da quando una missione è ideata a quando i primi componenti vedono la luce per poi, anni dopo, attivarsi sul campo. In fondo c'erano decisamente buoni motivi per fare festa. 

Mi viene in mente, ormai oggi siamo in piena suggestione cinematografica, un'intervista a Tom Hanks, ben noto attore, a proposito del film "Apollo 13" diretto dal mitico Richie Cunningham che si ostina a dire di chiamarsi nella realtà Ron Howard. Ebbene, a proposito del film, uno dei motivi di maggiore fascino era l'atmosfera anni '60 che lo permeava, kennedyana potremmo dire. Dove la sensazione che non ci fosse problema che con passione e competenza e lavoro di squadra non potesse essere risolto contrastava fortemente con il clima di sfiducia ed individualismo generale della metà degli anni '90. 

Mi pare che ad un quindicennio di distanza le cose non siano cambiate ed anzi, probabilmente fortemente peggiorate, fra spettri di crisi globali, dissoluzioni di eurozone, e prospettive a dir poco difficoltose per il futuro. 
In un certo senso sembra proprio che abbiamo bisogno di recuperare un po' di anni '60, almeno nello spirito, e chissà che le grandi collaborazioni scientifiche, dove scienziati di molte nazionalità lavorano insieme non certo per i soldi ma per un ideale di conoscenza non possano essere il nucleo di una rinascita del nostro modo di affrontare i problemi e, più in generale, di un modello sociale e di sviluppo dove ci sia spazio per anche altro che non le sole alchimie speculative basate sul principio del "far soldi sul niente..."

sabato 4 agosto 2012

Curiosità su Marte

Ormai ci siamo... a breve un'altra sonda terrestre, il "Mars Science Laboratory", raggiungerà l'orbita marziana ed un rover verrà fatto scendere sul terreno. Il famoso Curiosity, decisamente più massiccio e sofisticato dei suoi gloriosi predecessori.

Se ne può discutere all'infinito, e certamente l'appetibilità mediatica da sola non fa il valore scientifico, ma rimane vero che l'idea di una sonda terrestre che atterra su un altro pianeta oggi come decenni fa è estremamente suggestiva. Per lo specialista come per il semplice appassionato.

E quindi anch'io mi accodo senza ritegno fra gli entusiasti dell'evento! Stavolta, fra l'altro, potremmo avere una'autentica diretta video in quanto il tutto verrà ripreso dalla telecamera "Mars Descent Imager", amichevolmente MARDI. Si tratta di un oggettino di poche decine di cm, ma che promette di lasciare immagini memorabili e suggestive.

Le procedure di discesa dovrebbero cominciare verso domenica notte e comunque alla pagina della NASA qui raggiungibile, in alto a destra, c'è il simpatico "Curiosity Clock" che indica quanto manca all'atterraggio. Al momento in cui scrivo queste note l'orologio dice che mancano poco meno di un giorno e mezzo all'evento!

Insomma, nell'attesa di avere risultati scientifici, per il momento godiamoci la discesa! 

domenica 15 luglio 2012

Scuola e astronomia

Ammetto che possa apparire quasi un ritornello retorico, ma anche, se non soprattutto, in tempi di spending review e di esigenza di tornare a spendere meno di quanto si produce, un Paese che non sa investire in formazione, oltre che ricerca ed innovazione, non ha futuro.

E nonostante taglia dissennati e non-tagli dove invece sarebbero stati più che doverosi, mancanza di meritocrazia e di incentivi, più attenzione alle garanzie che doveri, la scuola italiana pare ancora saper offrire, almeno occasionalmente, delle chicche di reale eccellenza.

Ho già accennato su queste "pagine" al Giornale della Società Astronomica Italiana, la SAIt. Effettivamente ignoro se si tratti di una pubblicazione acquistabile, per esempio, in edicola o se è riservata ai soli soci. Non so insomma quanto possa essere diffusa. Mi pare però che si tratti di una pubblicazione che accanto all'oggettivo interesse degli astronomi di professione ne aggiunga un altro, anche superiore, per gli appassionati e, in generale, per tutte le persone che pensano che l'istruzione e l'educazione alla conoscenza siano un valore. Verrebbe da dire che consiglierei l'abbonamento a tutte le scuole superiori italiane, se non sapessi che in molti casi dovrebbero essere gli stessi professori a pagarlo.

Comunque, tornando a noi, sull'ultimo numero, quello di Giugno 2012, compare un interessante articolo su un'esperienza didattica proposta e realizzata a Reggio Calabria intitolata: "Il Mediterraneo e le due molte storie. Sulla rotta di Omero". L'autore è Angela Misiano, responsabile scientifico del Planetario Pytagoras di Reggio Calabria e insegnante di scienze alle scuole superiori.

Di cosa si tratta? L'idea, nella sua semplicità, mi pare geniale. Densa di ricadute, di fascino, e legata a filo doppio con la realtà locale di Reggio, città mediterranea di antica nobiltà. In pratica il progetto vede la complementarietà degli insegnanti di scienze, di discipline umanistiche, in questo caso Dina Laganà, e di lingua inglese, Silvana Comi, tutti del Liceo Scientifico "Leonardo da Vinci" di Reggio Calabria. E prevede, tramite una lettura critica dell'Odissea, il cercare di ricostruire il viaggio di Ulisse facendo uso di conoscenze storiche, filologiche, astronomiche, di navigazione, dei venti, ecc. Il testo omerico infatti è in realtà moto ricco di informazioni riguardo al viaggio di Ulisse, e basandosi su fonti solide e verifiche continue tramite simulazioni del cielo nel periodo presumibile del viaggio (ottenute tramite un normale simulatore disponibile per pressoché ogni PC). La ricchezza dell'esperienza didattica che ne risulta, grazie senza dubbio alla competenza ed entusiasmo dei dicenti coinvolti è impressionante, specialmente per studenti calabresi che hanno la possibilità di "localizzare" nel loro territorio parte delle osservazioni. Non ho possibilità di discuterne pienamente qui, e rimando gli interessati al numero citato del Giornale della SAIt. Ma dubito che non si possa sentire quasi un po' d'invidia pensando magari ai nostri sonnacchiosi trascorsi liceali di, ahimè, ormai molti anni fa!

Rimane però suggestivo, anche senza cadere in continui stereotipi, vedere quale inventiva e capacità di innovazione abbia la nostra scuola anche in realtà certamente non esemplari quali quelle del mezzogiorno d'Italia fra criminalità organizzata, lavoro inesistente, e prospettive raramente migliori di una veloce emigrazione. Peccato che la professionalità di questi docenti dubito possa essere pienamente valorizzata nell'attuale panorama legislativo.

Di esempi come questi ne esistono senz'altro molti altri. Nel lecchese, territorio di elezione della sede di Merate dell'Osservatorio Astronomico di Brera / INAF, esistono diverse associazioni che, spesso in collaborazione con astronomi professionisti, propongono a scuole di vario grado esperienze didattiche probabilmente non così ricche di fascino storico ma non per questo meno di valore. E lo stesso accade a Roma da parte di molti colleghi dell'osservatorio della capitale. E chissà in quante altre realtà a me sconosciute.

Non so, in tempi di spread che esplode, parametri economici deprimenti, valutazioni di agenzie da "si salvi chi può", viene magari da pensare che fino a che c'è chi crede in questa sgangherata Italia che "fatti non foste per viver come bruti ma per seguir virtude ed canoscenza" forse un poco di speranza ancora c'è.


domenica 10 giugno 2012

Ricerca e spending review

ovvero, non è che "taglia di qui e taglia di là" si ridurranno ancora una volta i fondi a disposizione della ricerca in Italia?

L'allarme lo lanciano tre sigle sindacali: FLC CGIL, FIR CISL e UIL RUA. 
Inciso... se al momento vi sfugge il significato delle sigle associate a quello delle tre principali organizzazioni sindacali del nostro paese siete in buona compagnia. Significano, google docet: FLC, Federazione Lavoratori della Conoscenza; FIR: Federazione Innovazione e Ricerca; RUA: Ricerca Università Afam, dove prevenendo l'ulteriore obiezione, Afam sta per Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica.

Tornando seri, il rapporto fra sindacati e mondo della ricerca è, in realtà, complesso e non privo di contrasti. Il documento in cui si invita il Governo ad atti coraggiosi ed innovativi, per l'Italia, in favore della ricerca ed innovazione è però degno di nota (scaricabile qui), anche se non necessariamente condivisibile in ogni suo punto. E comunque merita considerazione permettendo di identificare in forma sintetica alcuni dei principali problemi che affliggono il mondo della ricerca italiana in maniera sempre crescente.

Schematicamente:
  1. Esiste una relazione strettissima fra ricerca, di base ed applicata, e competitività di un sistema industriale avanzato. In effetti è un tema talmente dibattuto che, a tutti gli effetti, potrebbe apparire scontato. Nella realtà non mancano affatto contesti sociali, anche di rilievo, in cui la ricerca è vista come un "lusso insostenibile".
  2. Questo lo aggiungo io: Anche dove questa associazione è accettata si ha spesso una visione distorta della ricerca  italiana, vista in maniera poco differenziata da un qualunque baraccone del pubblico impiego, nella migliore delle ipotesi patria di indolenti nullafacenti. Non mi addentro nella sociologia dei rapporti fra Cittadino e Pubblica Amministrazione, ma per quanto possa servire vale la pena di ricordare che la ricerca di base è a tutti gli effetti una delle eccellenze del Paese. Qualcosa di cui andare orgogliosi piuttosto che bollare come irrilevante sulla base dei propri pregiudizi.
Di fatto, sebbene almeno a livello di dibattito politico questi argomenti sembrano essere accettati e condivisi, nella realtà evidentemente non è così. Basti ricordare, per esempio, e sempre facendo riferimento al documento delle sigle sindacali che:
  1. Allo scopo di ottenere risparmi di bilancio in seguito a tagli continui perpetrati dai vari governi che si sono succeduti nel nostro Paese negli ultimi anni, di fatto è stata abolita pressoché qualunque progressione di carriera per il personale degli enti di ricerca ed Università. Come dire, che lavorare in Italia non solo implica il dover combattere con finanziamenti di minore entità e di difficile prevedibilità, ma sta diventando sempre più una specie di "missione", con la certezza di non avere alcun riconoscimento, anche solo di forma.
  2. Stanno ancora peggio i giovani, come sempre. I nostri enti di ricerca ed Università hanno accumulato negli anni un numero enorme di precari, ovvero persone che dopo anni di formazione ed attività di ricerca con contratti a termine non hanno letteralmente nessuna possibilità di poter ottenere una posizione stabile come scienziati. Per l'INAF, a margine di circa un migliaio di dipendenti, i precari sono vicini a numero impressionanti di 300. Una situazione esplosiva frutto ancora delle politiche di contenimento della spesa che hanno pianificato ed attuato un programma di diminuzione del numero di ricercatori in Italia. 
Queste politiche di contenimento della spesa presentano due punti critici fondamentali. Il primo di questi è che sono slegati da qualunque valutazione di qualità. Sono puramente numerici. Ad esempio il cosiddetto turn-over, ovvero il fatto che le risorse liberate da chi va in pensione sono riutilizzabili per l'assunzione di nuovo personale giovane solo nella misura del 20%. Vale a dire, tenendo conto dell'anzianità, ecc., per poter assumere un giovane devono andare in pensione grossomodo 3 anziani. 
E quindi l'Italia è uno dei paesi avanzati con il poco invidiabile record di investire in ricerca programmando la riduzione del numero di scienziati...
Il secondo è che sono troppo generici. Questi meccanismi di contenimento della spesa, nella loro brutalità, non riguardano solo enti di ricerca ed Università, con alcune eccezioni, ma in generale tutto il pubblico impiego. Tuttavia, il non sapere, plausibilmente per problemi di accettazione da parte della pubblica opinione,  definire delle priorità per il mondo della ricerca è una colpa grave da parte della politica del nostro Paese. Dove serve, con buone ragioni, è stato fatto. Per esempio per forze armate, polizia, in qualche caso sanità, ecc. E' solo questione di volontà politica.


Qualche speranza l'aveva suscitato l'attuale Governo tecnico, ma fino ad ora non si possono registrare interventi di sostanza anche se è corretto riconoscere che se non altro non c'è un atteggiamento definibile quasi di ostilità come quello che emergeva anche solo poco tempo fa. E' decisamente preoccupante però che in più occasioni il Min. Profumo abbia prospettato scenari di sostanziale ridimensionamento per la ricerca italiana, sempre più incapace di sostenersi con investimenti interni, da parte dello Stato, ed invitata a considerare i fondi esterni, come per esempio quelli di provenienza dall'Unione Europea, come fonte primaria. 
Naturalmente l'argomento è complesso, e non c'è dubbio che il Paese debba migliorare la propria capacità di attrarre finanziamenti internazionali di tipo premiale. Ma venendo a mancare o diventando marginale il ruolo dello Stato, nella pratica si trasformerà la comunità scientifica italiana in una comunità scientifica "di italiani", con legami sempre meno stretti con la realtà produttiva e sociale e sempre più invogliata raggiungere, anche fisicamente, quei paesi più attivi nel settore della ricerca ed innovazione, portando di fatto ad una marginalizzazione culturale ed economica del nostro Paese.

Come concludono le sigle sindacali, il tempo delle ambiguità è finito. Ormai non è più procrastinabile il prendere decisioni importanti e lungimiranti. Non è solo in gioco qualche settore della ricerca di base, e magari anche applicata, italiana. C'è molto di più. O si costruisce una nuova identità sociale e culturale del Paese, con rinnovata capacità di innovare e costruire il futuro, oppure siamo realmente alla fine dei giochi.




martedì 8 maggio 2012

Soldi, soldi, soldi...

è i titolo di una canzonetta dei primi anni '60, ma ricordo anche un esplicito "Viva la Money" di Tina Turner che, leggo sulla preziosa wikipedia, risale al 1978.

Il tema è comunque chiaro: i soldi. E visto il blog su cui scriviamo, stiamo naturalmente parlando dei finanziamenti alla ricerca scientifica. 

Non è mia intenzione qui cominciare l'ennesima discussione sulla scarsità degli stessi, magari in relazione ad altri paesi a noi relativamente affini per struttura economica.
Vorrei, invece, andare più sullo specifico per rispondere alla domanda che occasionalmente proviene anche dal semplice appassionato su quanti soldi realmente costa l'astrofisica italiana. 
Si tratta, a tutti gli effetti, di soldi pubblici, ovvero frutto delle tasse che ognuno (più o meno...) di noi paga. E quindi non c'è nulla di segreto, ed al contrario sarebbe bene che su queste cifre ci fosse un maggiore dibattito e consapevolezza. 

Lo spunto nasce dalla pubblicazione della proposta del Governo da sottoporre alle camere ed agli organismi competenti per il 2012 dello "Schema di decreto ministeriale per il riparto del Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca per l'anno 2012" che potete trovare quiIn questo documento ci sono per altro i finanziamenti previsti per i vari enti di ricerca italiani (CNR, INFN, ecc.).


Ma ecco i numeri.
Per quanto riguarda l'Istituto Nazionale di Astrofisica il contributo ordinario risulta essere di 80.455.666 €.
In parole più semplici più di 80 milioni di €. La cifra non è irrilevante, certamente. Per comprendere meglio di quanto si tratta possiamo osservare che nel 2011 la quantità di soldi necessaria per pagare gli stipendi di tutti i dipendenti INAF, scienziati, tecnici ed amministratori, è stata di poco più di 55 milioni di €. Per cui, grossomodo, possiamo dire che la percentuale dei finanziamenti ordinari che "se ne va" in stipendi è dell'ordine del 70%. 
Esiste un dibattito infinito per decidere se questa percentuale è corretta o eccessiva. Ovviamente la discussione è complessa anche perché lo stipendio di uno scienziato non è, evidentemente, una spesa "per burocrazia" ma essa stessa è finanziamento diretto per la ricerca. Sempre nel 2011, per esempio, la spesa per gli stipendi del settore tecnico-amministrativo è stata di poco più di 16 milioni di €. Vale a dire intorno al 20% del budget totale.

Esistono anche altri fondi che verranno plausibilmente assegnati all'INAF. Si tratta di fondi che però hanno una destinazione specifica già decisa alla fonte. In un certo senso rappresentano indicazioni esplicite dell'autorità politica su settori considerati strategici i cui operare.

Ad esempio abbiamo 2 milioni di € come terza annualità a sostegno del Progetto bandiera "ASTRI - astrofisica con specchi a tecnologia replicante italiana", inserito nel Piano Nazionale della Ricerca  per gli anni 2011-2013. Si tratta di un ambizioso progetto tecnologico che vuole sviluppare competenze ed hardware per la nuova finestra dell'astrofisica costituita dalle osservazioni con telescopi Cerenkov da terra. Tempo fa abbiamo accennato al telescopio MAGIC, il progetto ASTRI vuole appunto sviluppare nuove tecnologie nello stesso filone di ricerca.

Abbiamo poi anche un finanziamento di 6 milioni di € per lo sviluppo di strumentazione per il futuro ed avveniristico progetto del telescopio ELT dell'ESO. Ne abbiamo parlato anche di questo. Si tratta di uno dei telescopi di prossima generazione con area di raccolta dell'ordine dei 40 metri.

Infine ci sono due finanziamenti più ridotti per il progetto SKA (750mila €), un radiotelescopio di nuova generazione parte dei programmi strategici dell'astronomia europea, ed un milione di € per lo sviluppo di telescopi ottici da integrare in una futura rete di sorveglianza per detriti spaziali, asteroidi, ecc.




mercoledì 4 aprile 2012

Divulgazione d'eccellenza

Molto spesso, quando si discute di divulgazione scientifica, ci si imbatte immediatamente nel problema di definire esattamente quale sia il livello più appropriato per ottenere una "divulgazione" efficace. 

In senso generale, naturalmente, la divulgazione si occupa di proporre e tradurre al grande pubblico argomenti scientifici specialistici, e questo appunto può avvenire a vari livelli di approfondimento. 
Nel caso specifico dell'astronomia spesso si sente dire, e con qualche ragione, che la nostra scienza è "naturalmente divulgabile", in quanto insieme a concetti fisici anche, o spesso, molto complessi esiste un aspetto estetico estremamente affascinante. 
In un certo senso anche senza spiegare nulla di come funziona una qualche classe di sorgenti astrofisiche molto spesso un insieme ben scelto di immagini astronomiche ottenute con i moderni strumenti è sufficiente, come potremmo dire in un gergo un po' brutale, a "fare serata".

In tutto questo c'è del vero, e per la verità non sono nemmeno sicuro che una divulgazione poco approfondita, e più volta al mostrare "le meraviglie del cielo" non abbia anch'essa un suo pieno diritto ad esistere.
Quello che però mi pare anche importante da sostenere è che, se non in contrapposizione senz'altro a completamento, la divulgazione più approfondita, tematica, è un passo importante di tutti coloro che si occupano di comunicazione della scienza. 

Non è sempre facile, o probabilmente non lo è mai, ma è proprio in questa fase che lo specialista può trasformare una gradevole serata accompagnata da magnifiche fotografie di stelle e galassie in un momento di riflessione e conoscenza della realtà fisica del mondo che ci circonda.

A questo riguardo mi sento di segnalare un sito che pubblica una raccolta di interventi curata dal collega dell'INAF / Osservatorio Astronomico di Bologna, Annibale d'Ercole. Si tratta di pubblicazioni, iniziate già dal 1999, che vengono proposte sul Giornale di Astronomia della Società Astronomica Italiana (SAIt), dal nome di "Spigolature astronomiche". Questi commenti, suddivisi in un primo livello accessibile ai più ed un secondo, opzionale, di maggiore approfondimento costituiscono uno dei migliori esempi di divulgazione didattica disponibili in rete. Mi pare allora di poter senz'altro consigliarne la lettura a tutti coloro che desiderano compiere un piccolo passo verso una maggiore comprensione delle tematiche fisiche di argomento astronomico. In aggiunta, naturalmente, alla sempre legittima, ed apprezzabile, fascinazione per le bellezze del cosmo.