sabato 1 ottobre 2011

La scienza come professione?

Ovvero, è consigliabile ad un giovane la carriera di ricercatore?

E' una domanda comune che infatti più volte mi è capito di ricevere alla fine delle mie conferenze. In un certo senso provo un po' di tenerezza nel rivedermi in quei ragazzi che si avvicinano, spesso timidamente, e pongono la domanda sulle prospettive professionali nella ricerca. 

E quindi, quale è la risposta?

Penso che in realtà bisogna definire bene la domanda, come sempre in scienza. Se ciò che si intende è se è possibile perseguire un proprio sogno di attività di ricerca con una prospettiva professionale che non richieda l'allontanamento permanente dall'Italia la risposta è, ora, purtroppo no. 

Inutile cercare giri di parole. Al momento le possibilità che il nostro paese può offrire ad un aspirante scienziato sono nulle. Anzi, l'obiettivo dell'attuale Governo è quello di arrivare ad una riduzione del numero di ricercatori nel corso dei prossimi 10 anni, nel contesto più generale della riduzione della spesa pubblica tramite anche la riduzione del numero dei dipendenti. L'INAF, Istituto Nazionale di Astrofisica, su quasi 1000 dipendenti ha circa 300 persone "precarie". Almeno il 50% formato da scienziati fra i 30 e 40 anni, molto stimati ma con pressoché nessuna possibilità di inserimento nell'ente nei prossimi anni. 

E la situazione dei finanziamenti è altrettante drammatica. Alcune università sono al livello di non potere quasi garantire nemmeno gli stipendi. A partire dai primi anni '90 ad oggi il finanziamento a disposizione della ricerca di base in Italia si è quasi dimezzato. Come dire che il ruolo plausibile del nostro paese nel futuro prossimo sarà quello di una progressiva marginalizzazione intellettuale.

E quindi, è il caso di lasciare perdere?

Su questo non sarei invece così drastico. Per due ragione. La prima, per certi versi banale, è che non è detto che le cose non possano cambiare. Probabilmente per le professioni intellettuali la situazione non è mai stata così triste in Italia da che esiste la Repubblica. Ma c'è un'oggettiva speranza che proprio la coscienza acquisita della situazione critica in cui il paese ora si trova possa dare la spinta per la proposizione di politiche più coraggiose e di lunga prospettiva.

Però, sebbene è possibile ed ovviamente sperabile un cambio sostanziale di marcia del paese, è bene che comunque i giovani che si desiderano intraprendere questa professione amplino in maniera rilevante la loro visione. Messa in un conto una dura militanza in un corso di laurea ad indirizzo scientifico, nel momento in cui si prova un dottorato di ricerca,  se appena appena uno non guarda lo scenario italiano come preferenziale le cose cambiano totalmente. 

In un certo senso un laureato, per esempio, in fisica che vorrebbe intraprendere la carriera di ricercatore deve imparare fin da subito a guardare al "mondo" come mercato potenziale. Bisogna imparare a ragionare, insomma, come cittadini del mondo, ovvero al di là della retorica, a pensare di essere portatori di una professionalità di valore che in molti contesti è importante ed apprezzata. Si parla, tradizionalmente, degli Stati Uniti, ma anche, per rimanere in Europa, la Germania offre ora diverse opportunità. Ed i paesi emergenti, Cina in testa, hanno letteralmente fame di ricercatori con programmi di reclutamento di scienziati stranieri decisamente rilevanti.

Non ho mai amato la retorica dei "cervelli in fuga", chi conosce il contesto sa che la realtà è enormemente più variegata delle schematizzazioni da slogan. Ma semplicemente il giovane laureato deve guardare al mercato possibile della ricerca con una prospettiva "laica". Dove mi offrono possibilità, io vado. Italia, Europa, o estero. La scienza moderna è così fortemente internazionalizzata da rendere le distinzioni di nazionalità pressoché irrilevanti. Evitando di domandarsi che possibilità offre il mercato italiano, uno impara semplicemente a domandarsi che possibilità offre il mercato. Punto. 

Ed allora il contesto cambia completamente. Se ad un laureando in questo momento mi trovo costretto a dire che non c'è sostanzialmente alcuna possibilità di entrare nel mondo della ricerca in Italia, a questa stessa persona posso senz'altro dire che c'è un'ampia richiesta, e quindi possibilità di lavoro ad alto livello, per ricercatori se si ragiona su scala globale. Possibilità così interessanti da far dire che non solo ne vale la pena, assumendo ovviamente di avere le giuste attitudini e motivazioni, ma che addirittura sia il caso di incoraggiare i giovani ad intraprendere questa strada senza eccessivi timori per il futuro.




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