venerdì 14 novembre 2014

Comete, spese, e PIL

Il 12 novembre abbiamo seguito con trepidazione l'"accometaggio", concediamoci un simpatico  neologismo, della sonda Philae sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. L'interesse, quasi si potrebbe dire l'entusiasmo, del grande pubblico per l'evento è stato palpabile. In Italia come nel resto del mondo. E certamente si è trattato di un'impresa dal punto di vista ingegneristico oggettivamente eccezionale.

Una delle prime immagini dal "suolo" cometario inviate da Philae
Oggi stiamo ricevendo informazioni un po' più dettagliate ed elaborate. Sappiamo che l'atterraggio non è stato per nulla semplice, e che la sonda ha probabilmente rimbalzato in qualche occasione, ma che appare essere in buone condizioni. Una delle prime immagini inviate a Terra dalla sonda, in cui si vede una delle gambe della stessa con in primissimo piano il terreno cometario, ha degli aspetti persino commoventi.
Commoventi, dico, sia per la suggestione del pensiero di questo oggettino costruito dall'uomo, a mezz'ora luce da Terra, che lavora su un corpo celeste rimasto indisturbato dai tempi della formazione del sistema solare. Ma anche per il pensiero del lavoro di tante persone che per lungo tempo ha accompagnato questa missione. Pensata verso la fine degli anni '80, sviluppata nella seconda metà del decennio successivo e lanciata nel 2004. E quindi in volo nello spazio da un decennio e, tramite orbite accuratamente calcolate, arrivata all'appuntamento con la cometa. Ingegneri, tecnici, scienziati di varie estrazioni, al lavoro in un contesto soprannazionale frutto della cooperazione europea. Philip Dick componeva, qualche anno fa, il famosissimo romanzo "do androids dream of electric sheep?" (in italiano, "il cacciatore di androidi"). Viene da pensare, giochiamo senza inibizioni per un po', se il robottino sulla 67P aveva pensieri suoi quando, atterrando, si è trovato a rimbalzare e rotolare sulla superficie della cometa!

Europa ieri e oggi...
Tornando seri, oggi, nel pieno sviluppo di una crisi economica che si è trasformata, o è sempre stata, in una crisi sociale, culturale, di principi e valori, e che inevitabilmente dovrebbe portarci a porci delle domande importanti sul nostro stile di vita e modello di sviluppo, appare quasi retorico ricordare cosa non molti decenni fa l'Europa è stata. A fianco possiamo vedere una composizione fotografica, certamente retorica, ma non priva di significato, che mostra un terreno sfregiato da buche di artiglieria o bombardamento. L'Europa della Grande Guerra, 100 anni fa. E il rendering pittorico di Philae sulla cometa, esempio indiscutibile di dove la cooperazione internazionale può portare. La cooperazione di noi tutti.

Ma, esattamente, fuor di retorica, dove è che siamo arrivati? Senza dubbio tutto questo è scenografico ed anche affascinante, ma ne vale la pena, in un continente flagellato da disoccupazione, debiti incombenti, movimenti xenofobi, ed in generale da una diffusa e percepibile sensazione di sfiducia e di disastro imminente? Ha senso spendere una marea di soldi quando si tagliano le spese dei servizi in ogni settore? Domande non solo non-retoriche, ma direi persino doverose.

A riguardo, alcuni conoscenti mi hanno segnalato questo servizio giornalistico. Guardatelo, è fortemente sintomatico. Ora, vorrei evitare di cadere nella sterile polemica politica interna, non è rilevante in se. Dalla stessa testata sono arrivati servizi molto migliori su questa impresa. Ma questo servizio specifico, che nelle intenzioni voleva probabilmente essere "leggero", di "costume", con un occhio strizzato all'uomo della strada che ha ben altri problemi a cui pensare, è riuscito ad inserire in pochi minuti una vera "summa" di dove la pochezza di pensiero, la superficialità, e presunzione stanno rischiando di portarci. Un esempio di anti-giornalismo, i cui danni nei riguardi della pubblica opinione, che ha ben diritto di chiedersi come vengono spesi i soldi delle proprie tasse, sono potenzialmente enormi. 

Quanto costa Rosetta?
Tuttavia, come si diceva, magari in maniera goffa e dozzinale, il servizio in questione ha portato alla luce domande che senza dubbio una parte almeno dell'opinione pubblica si pone. Discutiamone quindi con calma.
Innanzitutto il costo della missione è stato (è...) ovviamente rilevante. Si tratta, cifra tonda, di qualcosa vicino a 1,4 miliardi di Euro. Per avere un'idea si tratta di una cifra comparabile allo 0,1% del prodotto interno lordo (PIL) del nostro Paese in un anno. La cifra però ovviamente va distribuita per tutta la durata, inclusa la fase di sviluppo della missione, e divisa per i contribuenti europei. Non è difficile calcolare che, quindi, per ogni cittadino europeo la missione Rosetta sia costata qualcosa tipo 3-4€. Meno, molto meno, di un cinema in grossomodo vent'anni di lavoro. O, se volete, pochi decimi di Euro per anno. E con questo capitale si è costruito tutto. La potenza delle collaborazioni è che rende possibile con un carico finanziario davvero modesto per i cittadini imprese di grande portata come queste, e come molte altre.

Tuttavia, sebbene l'avere coscienza di quanto le attività spaziali scientifiche costino in realtà pochissimo nel budget complessivo aiuti a porre la questione in una prospettiva corretta, la cifra in se non esaurisce la discussione. La questione è che per quanto piccola sia la spesa, queste cifre vengono tolte ad altri capitoli di spesa potenzialmente più urgenti o rilevanti. É meglio mandare un robottino su una cometa o dare una migliore assistenza domiciliare a degli anziani? O garantire un supporto a famiglie in difficoltà economica? O ad una qualunque delle attività sociali mai sufficientemente apprezzate e finanziate?

L'argomento è complesso, a rischio perenne di derive demagogiche di cui, per altro, i parlamenti nazionali ed europei conoscono bene gli effetti. Ma in ultima analisi può essere presentato in maniera semplice. E la risposta è chiara: vale la pena sempre di investire in conoscenza ed innovazione, ed il confronto con le esigenze primarie immediate è ingannevole.

Vediamo però di capire perché con una serie di ragionamenti semplici e non tecnici, avvertendo che su queste pagine abbiamo trattato di queste temi in varie forme più volte in passato (informatica, istruzione, grandi infrastrutture scientifiche, cultura, ecc.). Il punto chiave di tutto il ragionamento è comprendere innanzitutto che per poterci permettere tutti i servizi di cui abbiamo bisogno, e che lo Stato direttamente o indirettamente è delegato ad elargire, è necessario avere a disposizione le risorse finanziarie per farlo. Sembra una banalità, ma non lo è per nulla. Il gratuito, in realtà, non esiste. Nemmeno il prezioso ed encomiabile servizio di volontariato. I servizi richiedono competenze, strutture e spesso tecnologia, e tutto questo costa. Uno dei pregiudizi più diffusi, ovviamente basati sull'enorme cumulo di ingiustizie con cui quotidianamente abbiamo a che fare, è che se le risorse fossero meglio distribuite... "ce ne sarebbe per tutti". Tutto questo non è privo di logica, è un fenomeno ben noto in economia, dove una adeguata politica fiscale che guidi una redistribuzione dei redditi di vario genere porta ad economie più efficienti e competitive. Ed al contrario, dove le differenze fra i primi e gli ultimi della classe sono eccessive, di solito anche le strutture economiche sono inefficienti. Ma in sostanza, fatto salvo che una maggiore equità sarebbe un grande passo avanti in tutti i sensi, per avere le risorse per poter fornire i servizi che sempre in maggiore intensità sono richiesti bisogna avere un'economia in grado di produrle. E non è certo una grande scoperta che le risorse vengono create tramite il lavoro. Ed a questo punto la domanda si trasforma sul come si può fare a rendere il lavoro più produttivo. E la risposta la sappiamo da sempre. C'è necessità di innovazione tecnologica e di sviluppo di competenze tecniche. In pratica, se vogliamo avere aziende che producono reddito è necessario che queste aziende, in qualunque settore, siano in grado di competere sul mercato globale (altrimenti chiudono... mi pare ne sappiamo qualcosa in Italia). E se questa competizione non vogliamo che la si conquisti con politiche di contenimento salariale, cosa che per altro sta avvenendo da tempo in tutta Europa, l'unica alternativa è quella della formazione e dello sviluppo tecnologico. Quindi da qui l'importanza primarie della scuola di ogni ordine e grado e della ricerca scientifica. Un robottino sulla cometa potrà dare risposte che i planetologi cercano da tanto, ed aumentare il nostro livello di conoscenza e consapevolezza. Temi che non è possibile quantificare realmente nella loro importanza fondamentale. Ma anche se fossimo, contrariamente all'Ulisse dantesco, "fatti come bruti" e conseguire virtù e conoscenza non ci interessasse più di tanto, avere mandato Philae a mezz'ora luce dalla Terra ha permesso a generazioni di ingegneri di acquisire le competenze ed esperienza per risolvere problemi complessi. Pensate alle questioni di navigazione, elettronica, comunicazioni, generazione di energia. Per non parlare delle competenze nell'organizzazione di lavori in contesti complessi e multi-nazionali, il cosiddetto management. E queste competenze non rimangono nell'ambiente scientifico. Gli scienziati, nelle Università ed Enti di Ricerca, formano studenti, laureandi e dottorandi, e questi portano le loro competenze nel mondo del lavoro. E le aziende che sanno valorizzare queste competenze, ce ne sono molte più di quanto si pensi anche in Italia, sono in grado di offrire capacità produttive di altissimo valore aggiunto. Ovvero, perdonate la brutalità, fanno guadagnare molti soldi...

Il punto è che l'importanza della competenza specifica, il "know-how" come dicono gli anglosassoni, non viene chiaramente percepita nella quotidianità. Può sembrare, ingannevolmente, che basterebbe ad esempio un po' più di buon senso e magari di onestà per sistemare tutto. Questi sono certamente  requisiti di base, ovvero non se ne può fare a meno, ma su quelli va costruita una struttura di formazione e valorizzazione che richiede grandi imprese scientifiche e tecnologiche.

In buona sostanza, le grandi imprese scientifiche (ma non solo) permettono di convertire con grande efficienza i finanziamenti pubblici in competenze che tornano al mondo industriale ed imprenditoriale, e più in generale alla società. La collaborazione europea, sulla quale si dovrebbe essere molto più cauti nel celebrare giudizi dozzinali con leggerezza, ha permesso alle economie europee di crescere e produrre ricchezza e benessere. E, per dirla in breve ma in maniera efficace, ogni soldo speso per la grande (ma anche piccola) scienza, ne produce molti di più. Badate che si tratta di un tema che è stato studiato seriamente, e che si potrebbe in altra sede quantificare in termini di resa dell'investimento (fra il 20 ed il 50%). Permettendo, qui ovviamente semplifico un po', di finalmente chiudere il cerchio che unisce Philae sulla cometa ed i nostri anziani che hanno bisogno di assistenza sanitaria specializzata.

Tagliamo le prime, ci dobbiamo scordare anche le seconde.




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