giovedì 16 agosto 2012

Il telescopio REM

REM, Rapid Eye Mount. non ha ovviamente nulla a che vedere con il gruppo pop ormai sciolto di Michael Stipe e compagni.

Il telescopio REM con il centro galattico sullo sfondo
Si tratta, al contrario, di un ambizioso progetto tecnologico che risale, nelle fasi di design, ad ormai quasi 10 anni fa. Il telescopio è di piccola taglia, 60cm, in molti gruppi astrofili ce ne sono di più grandi, ma è stato congegnato per studiare in maniera efficiente uno dei fenomeni più intriganti della moderna  astrofisica: i lampi di luce gamma, o gamma-ray burst.
Nelle fasi iniziali di questi eventi possiamo infatti avere emissione ottica molto brillante. In un caso, addirittura, si è raggiunta una magnitudine tale da essere in linea di principio osservabile ad occhio nudo. E tuttavia il fenomeno per essere osservato richiede un'estrema rapidità di reazione. Poche decine di secondi al massimo, e da qui la necessità di progettare un telescopio che potesse puntare verso una regione di cielo non nota a priori molto velocemente. Oltre alla struttura meccanica, per ottenere questo risultato, è stato necessario progettare un telescopio completamente robotico in modo da poter evitare tempi morti di reazione, e capace di lavorare a più di diecimila km dagli astronomi che l'hanno progettato. Il supporto degli efficienti tecnici di ESO in loco è sempre stato notevole, ma è chiaro che l'ottenere i risultati accennati ha richiesto di sviluppare delle modalità completamente nuove di concepire un telescopio da terra.
Qui possiamo per altro vedere un semplice video con una dimostrazione del funzionamento del telescopio per le scuole.
Il gruppo strumenti di REM.
In aggiunta a questo, ed in maniera un po' più tecnica, il telescopio segue alcuni dei dettami progettuali presenti nei moderni strumenti ottici. Ovvero la massimizzazione della raccolta dati a parità di tempo osservativo. Nel percorso ottico infatti si ha la presenza di un componente ottico, detto "dicroico", che è in grado di separare la luce raccolta dal telescopio in due fasci: uno con radiazione superiore a circa 1 micron, il vicino infrarosso, ed uno a lunghezze d'onda inferiori, la banda ottica. I due fasci quindi vengono raccolti da due camere indipendenti ed in questo modo il telescopio osserva simultaneamente nell'ottico e nel vicino infrarosso.

Gli specchi primario e terziario di REM
Il gruppo di tecnici ed astronomi presenti in vari turni qui a La Silla (Fabrizio Vitali e Francesco D'Alessio da Roma, Emilio Molinari da TNG, Giuseppe Malaspina, Daniela Tresoldi, Giseppe Crimi, Dino Fugazza ed io da Brera) sta infatti lavorando per migliorare ancora le prestazioni sostituendo la vecchia camera ottica con una di nuova concezione che, inserendo altri prismi dicroici, è in grado di ottenere, in maniera simultanea, osservazioni in 4 filtri diversi. Evidentemente moltiplicando l'efficienza scientifica del telescopio congiuntamente, naturalmente, all'eccezionale trasparenza del cielo di La Silla.

Inoltre, sfruttando l'occasione di questo importante "upgrade", si è proceduto ad una manutenzione generale di tutte le componenti, hardware e software, che ci vedrà occupati per probabilmente un'altra settimana. Avremo tempo quindi di parlane ancora!


mercoledì 15 agosto 2012

Briefing prima delle osservazioni

Comunque si arrivi al nostro osservatorio, una volta che ci siamo acclimatati il primo passo per cominciare le attività osservative vere e proprie è quello di contattare, o essere contattati, dall'astronomo di supporto. Questa figura assume nomi a volte diversi in diverse organizzazioni, ma in sostanza è un astronomo con il compito di introdurre l'osservatore alla strumentazione, al telescopio, ecc. Di fatto la strategia osservativa e le scelte specifiche di configurazione della strumentazione possono essere discusse in questa fase in modo da adattarle al meglio alle condizioni del momento.
Uno scorcio della sala riunioni di La Silla

A differenza, infatti, di quanto comunemente si crede, la conduzione di una campagna osservativa richiede una pianificazione molto precisa delle azioni. Probabilmente qui diamo un ulteriore colpo alla visione romantica delle osservazioni astronomiche, ma l'idea di essere in cupola con il vostro telescopio a disposizione e, magari, pensare che Giove è così brillante questa notte che potrebbe essere carino osservarlo è in effetti nella realtà implausibile. La competizione per l'utilizzo dei moderni telescopi è così alta da rendere necessario utilizzare ogni minuto a disposizione sull'obiettivo primario.

Val la pena, probabilmente, di aprire una veloce parentesi per spiegare come nasce un programma di osservazioni. Il tutto, naturalmente, parte da un'idea scientifica, per esempio un problema aperto o la verifica di una predizione di un modello teorico. Periodicamente, per ESO ogni sei mesi, è possibile presentare delle proposte di osservazione ai vari osservatori, e queste proposte sono documenti piuttosto dettagliati nei quali si spiega il contesto generale dell'idea, il tipo di osservazioni necessarie per il progetto, e tutte le varie informazioni di contorno sulla procedura osservativa da seguire, il tempo telescopio necessario, e così via. A questo punto dei comitati di astronomi si riuniscono e valutano quali proposte sono le più meritevoli ed interessanti ed assegnano il tempo disponibile a queste. Come accennavo la competizione è estremamente sensibile. Ad ESO a seconda dei vari telescopi/strumenti si può andare da un fattore 3 a quasi 10 nel rapporto fra proposte presentate e quelle accettate.

Definita comunque la strategia nel dettaglio, l'attività osservativa comincia al tempo stabilito e gli astronomi coinvolti nelle osservazioni si trovano nella sala di controllo dove il telescopio e gli strumenti vengono poi guidati da personale specializzato. Ebbene sì... neppure il telescopio è "toccato" dall'astronomo. La complessità e sofisticazione delle moderne strumentazioni fa sì che tutte le operazioni vengano compiute da persone parte dello staff dell'osservatorio lasciando all'astronomo il solo compito di definire e valutare la strategia scientifica. Si tratta a dire il vero di una configurazione molto efficiente anche se, ammetto, può generare qualche disappunto in appassionati che magari sognano di poter "mettere le mani" su uno dei moderni giganti dell'astronomia ottica. In effetti, come ho accennato poco fa, addirittura le attività avvengono nella sala di controllo, e questo locale non è più nemmeno nelle vicinanze del telescopio. Qui a La Silla la "control room" è ad un paio di chilometri dai telescopi controllati, e tutto avviene ormai in maniera remota.

In realtà l'essere tutti quanti nella sala di controllo presenta diversi vantaggi. Per esempio durante le osservazioni può essere interessante vedere cosa stanno facendo altri colleghi con gli altri telescopi dell'osservatorio in qui siete. E queste strutture sono in generale piuttosto confortevoli, affossando ancora di più l'immagine eroica dell'astronomo sul picco della montagna con il suo telescopio isolato dal mondo...

E, a supporto delle fatiche delle notti osservative, va detto che la magnifica cucina di La Silla sa anche escogitare interessanti contromisure...
Per prepararsi alle lunghe notti osservative dell'inverno australe si possono
utilizzare strumenti di antica e consolidata efficacia.
Nella prossima puntata avremo invece modo di capire meglio cosa stiamo facendo noi con REM.

martedì 14 agosto 2012

La Silla

Taxi alle 8:30 dalla guesthouse. Quindi c'è anche il tempo di fare una buona colazione senza svegliarsi troppo presto. E quindi di nuovo nel traffico della capitale per una buona ora verso l'aeroporto. In compenso all'aeroporto non c'è fila particolare ed in breve siamo di nuovo in volo verso La Serena. Il tragitto è paragonabile ad un Milano-Roma, con però il magnifico panorama della costa oceanica a sinistra ed il terreno sempre più brullo e desertico mano a mano che si sale verso nord. Poco prima di atterrare un occhio attento può scorgere in lontananza verso l'interno le cupole dell'osservatorio americano del Cerro Tololo con il telescopio Gemini-South.

A La Serena purtroppo il cielo è di nuovo coperto, anche se la temperatura comincia ad essere molto più gradevole. La macchina ESO ci aspetta e quindi ci muoviamo verso l'interno. In realtà, per una buona parte del tragitto, costeggiamo la costa lasciando alle spalle l'ampia baia sabbiosa di La Serena e Coquimbo, ed il Pacifico ci regala alcuni scorci suggestivi mentre le colline e montagne dell'interno assumono la tipica colorazione bruna di queste zone.

Tipico panorama lungo il tragitto verso La Silla
La zona tecnicamente non è ancora definita deserto, siamo intorno ai confini sud del deserto di Atacama vero e proprio. In effetti la vegetazione stentata, e tipica delle zone aride, è però ampiamente presente. Ci sono anche diversi cactus con la curiosa forma a candelabro. Nel complesso ricorda abbastanza il panorama di alcuni film western, o magari il teatro delle sfortunate imprese di Wile Coyote...

A dire il vero, il viaggio dura più del previsto. Lungo la strada infatti abbiamo il "piacere" di incontrare un trasporto eccezionale che occupa tutta l'ampia carreggiata. Una specie di enorme pignone. In pratica per un'oretta ce lo teniamo davanti fino a quando ci è possibile superarlo e ritroviamo, finalmente, la strada libera.

La caretera panamericana
E' abbastanza interessante comunque vedere come anno dopo anno si "popola" quest'area desertica, lungo il tragitto incontriamo persino una centrale eolica in costruzione. La ricerca di infrastrutture moderne del Cile è decisamente impressionante.

In ogni dopo circa 2 ore di viaggio è possibile vedere la sella montana, "la silla" appunto, su cui è adagiato l'osservatorio anche se siamo, in linea d'aria, ancora a diverse decine di chilometri di distanza. E' decisamente una visione magnifica, anche per i non astronomi.

Pur avendo ormai ho perso il conto delle volte che sono salito a questo osservatorio rimane sempre un piacere tornarci. Più che in tutti gli altri che mi è capitato di poter visitare. In un certo senso comunica un'aria di familiarità. Appena arrivati infatti incontriamo alcuni tecnici cileni ed è un po' come salutare vecchi amici. 

In ogni caso una volta assegnata la stanza e goduto di un buon pranzo siamo pronti per cominciare. Ma di questo parleremo la prossima puntata! Per il momento concludo con la visione dalla mia finestra...

Panorama verso est dalla mia stanza. In basso l'infermeria dell'osservatorio


Guesthouse

Atterrati verso le 8, troviamo una Santiago piuttosto uggiosa e freddina. Niente di speciale comunque, da queste parti siamo in fondo nell'equivalente del nostro febbraio.

Il tempo comunque di espletare le varie formalità doganali e siamo in mano ad ESO, come sarà più o meno sempre fino alla fine della nostra missione.

ESO, ovvero European Southern Observatory, Osservatorio Europeo dell'Emisfero Sud, è un'organizzazione europea sovra-nazionale nata nel 1962, con lo scopo di costruire strumenti osservativi per astronomia ottica che permettessero all'astronomia europea di porsi all'avanguardia e comunque in grado di competere con, per esempio, gli Stati Uniti. Se vogliamo una cosa tipo il CERN per l'astronomia. L'Italia, però, si è aggiunta alle nazioni del consorzio solo nel 1982 per varie ragioni, ed oggi il consorzio include anche nazioni che europee non sono (il Brasile, per esempio). Se si da un'occhiata veloce alle varie realizzazioni che nel corso degli anni ESO è stata in grado di portare a termine si tratta senza dubbio di uno degli esempi di maggiore successo di cooperazione continentale. C'è da sperare, apro e chiudo una parentesi, che nell'attuale degenerazione isterica non ci si riesca di sfasciare anche questo.

In ogni caso, come accennavo sopra, appena fuori dall'aeroporto troviamo il taxi organizzato da ESO che nel traffico intenso del Santiago del lunedì mattina, orario di punta quanto non mai, ci porta, finalmente, alla "guesthouse", o "casa de Huespesdes". Si tratta di una graziosa villetta con diverse stanze nel quartiere residenziale di Santiago di "Las  Condes" dove, normalmente, gli astronomi che si apprestano ad essere trasferiti verso uno dei siti osservativi cileni dell'ESO pernottano per una o più notti a seconda delle necessità. Al lato pratico è in sostanza un piccolo albergo per astronomi che, nel corso degli anni, è diventato una specie di punto fermo sociale per gli osservatori europei. A pranzo o a cena si può discutere delle osservazioni effettuate o da fare, sentire qualche curiosità dell'ambiente (si, insomma, vero e proprio gossip astronomico...), e così via.

Il patio della guesthouse ESO a Santiago
Nel nostro caso, io ed il mio collega Dino Fugazza, ceneremo nella guesthouse e domani mattina partiremo abbastanza presto verso La Silla, dove plausibilmente arriveremo intorno alle due del pomeriggio. Non è un viaggetto da poco, in aereo verso la gradevole cittadina turistica di La Serena, e quindi in macchina o bus verso l'osservatorio per due-tre ore lungo la, per certi versi mitica, Caretera Panamericana.

Tornando alla guesthouse, vale senz'altro la pena di accennare ad un rituale ormai d'abitudine per gli astronomi che pernottano o sono di passaggio. Si tratta dell'aperitivo serale detto "pisco sour". Il pisco è un liquore tipico del Perù e del Cile, anzi c'è, tanto per cambiare in sud America, una forte disputa su cui possa fregiarsi il titolo di averlo "inventato". Ed il cocktail è appunto a base di pisco con aggiunta di  limone e zucchero. Alla fine non risulta fortissimo, ma comunque, a stomaco vuoto è sensibile...

Il pisco alla guesthouse

Dopodiché, come si diceva, cena, chiacchere, dopo cena nel salotto della guesthouse e poi via per la salita verso i deserti del nord l'indomani.

domenica 12 agosto 2012

Milano - Santiago

E ritorno. Ma non veloce.

Purtroppo da quando Malpensa è stata degradato a scalo regionale muoversi da Milano è diventato un po' più complicato. Meno voli diretti, meno destinazioni. 

Per il Cile però non è cambiato molto. A suo tempo c'era un diretto Alitalia su Buonos Aires, e si arrivava almeno nell'inverno australe in aeroporto proprio all'alba argentina. Spettacolo magnifico ma poi c'era ancora le Ande da scavalcare per arrivare a Santiago. Per cui, in buona sostanza, uno scalo c'è sempre ed arrivare da quelle parti richiede sempre molto tempo. Stavolta partenza poco prima delle 17 da Linate. Sosta lunga al Charles de Gaulle a Parigi, e poco prima di mezzanotte partenza per il Cile. Arrivo previsto nella prima mattinata cilena dove saremo presi in carico da ESO.

Stavo riflettendo che la prima volta che sono "sceso" in Cile per osservare è stato proprio nell'agosto del 1992, ed ancora a La Silla dove stavo per sostenere il mio primo "run" osservativo da imberbe dottorando alle primissime armi. Sono quindi giusto vent'anni. Il numero fa paura. Implica che sto (anagraficamente...) diventando vecchio!

Comunque questo mi ha dato l'opportunità di seguire in presa diretta l'impressionante crescita economica di quel paese. La prima volta, nel 1992 appunto, sono stato accolto appena sceso dall'aereo da una pioggia scrosciante e ricordo con curiosità e pena la periferia povera della città. Pochi anni dopo arrivò il magnifico aeroporto internazionale e la periferia cominciò a lasciare il posto ad un fiorire di aziende grandi e piccoli che hanno sempre più costellato la strada dall'aeroporto alla città. Segno di un ben noto ed evidente, da molti punti di vista, boom economico. Ma avremo altre occasioni di parlare del Cile.

Prossimo messaggio da Santiago. Altro continente, altra stagione.

venerdì 10 agosto 2012

Cosa fanno gli astronomi?

Di solito questa domanda, fatidica, arriva durante le serate divulgative quando l'ambiente si è rilassato a sufficienza e si è creata, per così dire, una certa familiarità.

In realtà, come per tutte le attività di ricerca di base, è oggettivamente non semplice da comprendere come possa svolgersi la giornata "tipo" di un astrofisico. Di sicuro la quotidianità non assomiglia affatto a quella suggerita da alcuni stereotipi letterari o cinematografi. Non passiamo le giornate alle prese con i più grandi dilemmi dell'umanità, non abbiamo comunicazioni segrete con alieni, non siamo circondati da macchinari segreti di cui solo pochi eletti sono a conoscenza... e, comunque, se così fosse, non posso dirlo!

Ma, in realtà, quello che veramente colpisce il grande pubblico è scoprire che anche la più solida delle aspettative viene delusa. Gli astronomi, normalmente, non lavorano la notte... 

Il punto, ovviamente, è che le attività osservative sono certamente parte della vita di un astronomo, così come le attività di laboratorio lo sono di un fisico di altri settori. Solo che l'immagine ideale e anche un po' romantica dell'astronomo che ogni notte prende il suo telescopio e scruta il cielo alla ricerca dell'inaspettato ha senza  dubbio il suo fascino, ma è sbagliata... E per molti appassionati il comprendere come un astronomo professionista non sia una specie di astrofilo evoluto, che abbia cioè la fortuna ed il privilegio di poter fare per lavoro quello che molti fanno strappando con fatica tempo alla professione e alla famiglia, è  un po' sconcertante.

E quindi, la domanda, ma se non osservate, cosa fate?

E quindi da capo. A parlare di progetti di ricerca, di lento, quasi noioso a volte, accumulare di dati. Ma anche di lavoro di gruppo stimolante, di internazionalità. Ed anche, quasi a sorpresa, di osservazioni!

Sebbene lontana dalle aspettative dell'immaginario del grande pubblico le attività osservative, specialmente per chi lavora con strumentazioni ottiche, presentano ancora aspetti di grande fascino. Oggi come in passato, per esempio, i migliori osservatori sono posti in luoghi magnifici, ed oggi anche remoti e spesso esotici. Inoltre il concentrato di tecnologia e di competenze di una moderna struttura osservativa non è poi una realtà lontanissima dalla visione cinematografica che a volte colpisce il grande pubblico.

Alcuni dei telescopi di La Silla con la grande struttura del 3.6m al centro
Per cui, per venire incontro alle continue domande che gli appassionati rivolgono, ho deciso che proverò a descrivere come avviene una "missione osservativa" tipo, e questo sfruttando l'occasione di un viaggio in Cile che sto per cominciare domenica verso l'osservatorio dell'ESO di La Silla
Non è una pura missione osservativa, in realtà io e diversi colleghi degli osservatori di Milano, Roma e TNG saremo impegnati in un aggiornamento importante di un piccolo ma avanzato telescopio robotico di cui abbiamo già parlato in altre occasioni

Si tratta di REM, riportato anche nell'immagine qui sotto. Nel corso della missione, quindi, vedremo in diretta "dove vanno gli astronomi", come organizzano le osservazioni e le attività correlate, e già che ci siamo vedremo anche un po' di "vita di osservatorio". 

Il telescopio robotico REM

Ma non voglio anticipare troppo. Vedremo passo per passo cosa accade...

A domenica!


giovedì 9 agosto 2012

Competitività della ricerca e finanziamenti europei

Alcuni mesi fa ho assistito a Lecco, organizzato dalla locale Camera di Commercio, ad un incontro sul tema della relazione fra formazione ed innovazione. L'area lecchese, ho scoperto, ha il privilegio di essere uno dei migliori esempi italiani di sinergia fra università ed aziende. 

All'incontro ha partecipato anche il min. Profumo, ed in particolare ricordo un passo del suo discorso in cui, senza mezzi termini, diceva che il livello del finanziamento pubblico alla ricerca nei prossimi anni sarà, nella migliore delle ipotesi, costante e che, in ogni caso, era da considerare solamente come un aiuto per piccoli progetti mentre il grosso dei finanziamenti dovrà arrivare da bandi europei. Quello che accade, infatti, è che l'Unione Europea ha attivi dei programmi per il finanziamento della ricerca di base ed applicata ai quali possono partecipare ricercatori, sia di enti pubblici che privati, da tutta Europa ed anche spesso da alcuni stati coi quali ci siano accordi specifici.

Come alcuni ricorderanno abbiamo tempo fa parlato di un collega di Brera, Luigi Guzzo, che è stato appunto premiato con un cospicuo finanziamento per condurre ricerche su temi legati alla cosmologia.

Non desidero ora entrare nel merito della discussione, complessa, su quale debba essere la fonte migliore di finanziamento per ricerca di base, anche di questo ne abbiamo già parlato per altro. Tuttavia sia dall'intervento del Ministro che in generale tramite notizie a mezzo stampa e TV sappiamo che l'Italia, a margine di una competitività eccellente dei propri organismi di ricerca parrebbe essere invece uno dei paesi agli ultimi posti in Europa per le capacità di attrarre finanziamenti premiali. Un tema ricorrente, anch'esso ben noto, è che noi in Europa spendiamo più di quanto siamo capaci di ricevere. 

Si badi che qui si parla specificatamente di fondi premiali per ricerca e sviluppo, non entro nel merito di altre voci di finanziamento europeo che coinvolgono altri settori come la Pubblica Amministrazione in generale. Fondi premiali significa, essenzialmente, che per avere accesso a questi fondi è necessario preparare un dettagliato programma di ricerca, un piano di spesa, ecc. e che lo stesso viene valutato da apposite commissioni in una o più fasi successive.

Ebbene, come stanno le cose?

Diamo un'occhiata al grafico che presento qui di seguito: 

E' ricavato dalla pubblicazione "Strategic Plan for Astronomy in the Netherlands 2011-2020 (http://xxx.lanl.gov/abs/1206.5497). L'istogramma mostra, limitatamente all'astronomia, il numero di finanziamenti fra il 2008-2011 ottenuti da vari paesi europei, in assoluto e normalizzati alla popolazione degli stati.
Come possiamo vedere il numero assoluto di finanziamenti ottenuti dall'Italia è abbastanza lusinghiero, ma una volta che normalizziamo il tutto alla popolazione del paese ecco che in questa classifica siamo al penultimo posto. Dopo la Germania, anch'essa non molto ben piazzata, e prima della Polonia. A margine segnaliamo come l'Olanda in questa classifica eccella ed in effetti l'organizzazione della ricerca scientifica e formazione olandesi sono realmente uno dei punti di eccellenza di quel paese.

Tuttavia prendere questi risultati senza discussione rischia di portare a risultati a dir poco fuorvianti. Con un collega di Brera, Giacomo Bonnoli, abbiamo infatti cercato di capire meglio quale sia il livello di competitività italiana in questo settore. Se non altro per risolvere l'evidente contraddizione fra un settore, quello della ricerca, che si dice, ed i numeri lo confermano, essere una delle punte di diamante del sistema Italia e che invece non appare essere molto ben valutato a livello europeo.

Come sempre il problema è che le statistiche sono uno strumento prezioso, insostituibile, di analisi socio-economica a patto di sapere cosa si fa, e di farlo bene. C'è sempre spazio per miglioramenti ed affinamenti, ma non c'è spazio di superficialità ed approssimazioni. 

L'idea fondante della nostra analisi è che appare senz'altro vero che diamo all'Europa più di quanto siamo in grado di recuperare. Tuttavia, i contributi versati da ogni paese sono naturalmente proporzionali al PIL dello stesso, che nel caso dell'Italia è comunque di tutto rispetto. La "popolazione" che è in grado di competere per ottenere i finanziamenti, ovvero i ricercatori, nell'accezione più ampia del termine, è invece, e non è un segreto, molto ridotta per un paese ad economia evoluta come il nostro. Questo sia in rapporto alla popolazione generale, quella utilizzata nel grafico precedente, sia in rapporto al PIL stesso. 

Innanzitutto abbiamo cercato di ottenere dei dati sufficientemente aggiornati sui finanziamenti europei per la ricerca. Le fonti possono essere le più disparate, ma noi abbiamo utilizzato questa basata sul magazine online della Società Italiana di Statistica. 
Dall'articolo segnalato riportiamo una tabella relativa al programma quadro FP7, ovvero il più recente fra i programmi di finanziamento europei. La tabella che ci interessa è mostrata di seguito:


Come vediamo, a confronto con altri 5 grandi stati europei, Germania, Francia, Regno Unito, Olanda e Spagna, il nostro Paese ha una percentuale di successo nell'ottenimento dei finanziamenti di poco più del 18%, minore di quello di tutti gli altri paesi considerati, anche se non dissimile a quello della Spagna. Di seguito in forma grafica:


Ora, a dire il vero, una percentuale del 18% non è affatto disprezzabile, rimane però vero che gli amici olandesi arrivano al 26.1%, come dire che per noi meno di una domanda su 5 è finanziata, mentre per loro più di una su 4. E' un segno, quindi, che effettivamente un "gap" di competitività con i (migliori) paesi europei esiste. Non mi dilungo in questa sede a cercare di identificarne le cause, ma sarebbe anche questo un interessante ed importante argomento di discussione.

In questo sito, invece, abbiamo recuperato dei dati ragionevolmente aggiornati sul prodotto interno lordo (PIL) di vari paesi europei (al 2010) sia totale che pro-capite. Riporto di seguito la tabella principale:


Come si vede, ed è ben noto, Italia e Spagna sono fra i 6 paesi considerati quelli con PIL pro-capite più ridotto, sebbene naturalmente non disprezzabile in assoluto. Rispetto all'Olanda ogni cittadino italiano, per semplificare, risulta avere a disposizione il 30% in meno di reddito. Un valore, si badi, enorme se pensato in una prospettiva di popolazione.

Infine presso l'Ufficio Europeo di Statistica, l'Eurostat, abbiamo recuperato informazioni sul numero di ricercatori (al 2010) impegnati nei vari settori nei vari stati europei e, come riferimento, Giappone e Stati Uniti. Per i "non addetti ai lavori" il numero di ricercatori è espresso in unità di FTE, o "Full Time Equivalent". Si tratta di una maniera che permette di confrontare la forza lavoro a disposizione superando in parte le differenze legislative, organizzative, ecc., esistenti fra paesi differenti. Anche qui riporto la tabella principale per i nostri scopi:


E si vede che anche in questa classifica l'Italia è lontana, anzi, lontanissima, dalle posizione di vetta. Vediamo meglio in forma grafica per i 6 paesi che abbiamo scelto per la nostra analisi:



E qui uno dei problemi del nostro Paese emerge con chiarezza. L'Italia investe in innovazione veramente molto poco, anche normalizzando i dati alla ricchezza del Paese, ovvero al PIL. I ricercatori, nel nostro Paese, sono merce rara.

A questo punto, mettendo insieme tutti questi dati, si ottengono risultati notevolmente interessanti e, direi, chiarificatori.

Come possiamo immaginare, la capacità di chiedere finanziamenti in regime premiale, e di ottenere risultati lusinghieri, dipende essenzialmente dalla capacità del "sistema ricerca" di produrre domande ben preparate e competitive, ed ovviamente dal numero di ricercatori che possono competere. Se proviamo a normalizzare le domande preparate dal nostro Paese alla forza lavoro per la ricerca, ovvero in sostanza al numero di ricercatori, pubblici e privati, che queste domande le possono preparare abbiamo che questi grafici ci comunicano una visione molto diversa della competitività italiana:



Come vediamo, prima di tutto il numero di richieste provenienti da ricercatori del nostro Paese è elevato, paragonabile a quello dell'Olanda se normalizziamo alla forza lavoro disponibile per la ricerca. Contrariamente alla percezione comune, i ricercatori italiani competono frequentemente a livello europeo, probabilmente anche spinti da una mancanza di finanziamenti "interni" che diventa sempre più severa anno per anno. Ed inoltre il tasso di successo in proporzione al numero di ricercatori è assolutamente prestigioso. Meglio di buona parte dei partner europei, e secondo solamente a quello dell'Olanda che, come abbiamo visto, è oggettivamente un paese all'avanguardia in questo contesto.

Per cui, in buona sostanza, non solo la ricerca italiana, pubblica e privata, si mostra estremamente competitiva, anche se ci sono chiari margini di miglioramento. Ma la mancanza di efficacia nel riportare "in casa" i finanziamenti a disposizione appare essere ampiamente attribuibile alla ridotta forza lavoro a disposizione. A tutti gli effetti l'Italia, non mettendo in campo una politica ambiziosa (o anche solamente sensata), a sostegno della ricerca ed innovazione, si trova paradossalmente a finanziare ricercatori di altri paesi per il semplice motivo di non averne a sufficienza nel proprio Paese. 
Addirittura quello che emerge è che, a fronte di risorse assolutamente non paragonabili a quelle a disposizione dei diretti concorrenti, buona parte del distacco in termini assoluti nella capacità di attrarre finanziamenti è recuperato proprio grazie alla vitalità (ed efficienza) della relativamente esigua coorte di ricercatori a disposizione.  

In un recente passaggio del Ministro, da un articolo comparso su Repubblica, si parla di 500 milioni "mancanti" proprio nel settore ricerca e innovazione. Per ottenere questi soldi bisognerebbe sostanzialmente raddoppiare la nostra capacità di attrarre finanziamenti. Verrebbe da dire che basterebbe avere un numero di "operatori" almeno in linea con quello dei paesi con i quali dovremmo confrontarci per ottenere il risultato desiderato. E tutto questo senza necessità di alcuna rivoluzione nella struttura degli enti di ricerca, università, ecc. 

Al lato pratico tuttavia nei prossimi anni invece l'Italia ha intrapreso con decisione la politica di ridurre, non aumentare, il numero di professionisti della ricerca, per lo meno, quelli su fondi pubblici. Questo non è il risultato di una specifica scelta politica, ma la conseguenza della mancata identificazione del settore ricerca (e formazione) come strategico, e quindi l'applicazione al settore dei vari provvedimenti volti al contenimento della spesa pubblica (blocco delle assunzioni, limitazione del turn-over, ecc.). Non appare, probabilmente è pleonastico dirlo, una politica molto saggia e lungimirante. 

Passatemi un paragone calcistico. Sarebbe folle un paese che decidesse di finanziare un campionato europeo alla pari di altri paesi europei, per poi scoprire però che non si hanno squadre sufficienti per partecipare e che quindi quei soldi, pagati dai contribuenti, verranno utilizzati da giocatori di altri paesi. E che, pur coscienti del problema, si è in aggiunta anche deciso di ridurre il numero di quelle esistenti. 
Del calcio, magari, si può anche fare a meno. Di ricerca ed innovazione in un paese come il nostro temo proprio di no.